venerdì 12 giugno 2015

Le mani del tempo




Il tempo non ha volto. Però, forse, ha mani. Il mite fotografo di Colonia lo scoprì nell'ora più buia.


Di August Sander, anche molti appassionati di fotografia hanno in mente una schedina un po' semplificata: il fotografo che cercò di comporre il catalogo dell'umanità della sua epoca, o per lo meno della Germania della sua epoca, Uomini del XX secolo.

Impresa assai ambiziosa per un uomo solo, di fatto rimasta incompiuta, pubblicata molto parzialmente nel 1929 col titolo Antlitz der Zeit, volti del tempo, detestata dai nazisti che ne bruciarono le copie ancora in circolazione, si dice perché restituiva un'immagine assai poco ariana della razza eletta, o forse solo perché aveva una prefazione del comunista Alfred Döblin.

Francamente, pur apprezzando l'ambizione e lo stile, quel progetto così meticolosamente tassonomico mi ha sempre ispirato qualche dubbio. Persone classificate come tipi sociali, identificate solo per la professione (ma non tutte: gli intellettuali hanno un nome) e a volte neppure per quella: molte donne sono descritte solo come "moglie di".

Un rischio vagamente lombrosiano, di sovrapposizione fra carattere, professione e caratteristiche somatiche. Ho sempre cercato una chiave più efficiente per capire cosa davvero avesse in mente Sander. Be', forse l'ho trovata.

Perché quel santino convenzionale, come troppi nella sacrestia polverosa della storiografia fotografica tradizionale, non dice tutto. Andate a vedere, per capirlo, la bella mostra su Sander in corso al Palazzo Ducale di Genova. Troverete una piccola sezione, "Studi - l'uomo". Perdeteci un po' di tempo.

Sander ci lavorò nel 1944. Quando la Germania era ormai in ginocchio e in macerie. Lui era sfollato nel villaggio di Westerwald Kuchausen, lontano dalla città, dal suo studio che poi venne bombardato, dal suo archivio sotterrato ma ugualmente distrutto da un incendio.

Il figlio Erich, antinazista, era  in carcere, dove morì di lì a poco. Attorno a Sander, L'uomo tedesco del XX secolo si dissolveva in morte, distruzione, orrore, vergogna, paura: crepuscolo degli dèi.

Un uomo smembrato, frantumato, a pezzi. Un'umanità tutta da ricomporre. Io voglio credere - non lo sappiamo - che sia stata quella percezione drammatica di disintegrazione umana a dargli la forza disperata di ripensare il proprio lavoro.

In quel che gli restava delle sue fotografie, August scavò, tagliando dettagli, isolando frammenti di corpi. Concentrandosi specialmente su quegli "strumenti organici dell'uomo" che sono le mani.

Mani di artista, di pianista, di lavandaia, di fotografo... Mani a riposo e mani al lavoro, mani in primissimo piano, bianche sul fondo nero: veri ritratti di mani del XX secolo. Ne fece grandi pannelli, montaggi di dettagli grandi o piccoli, sequenze e accostamenti quasi ossessivi di mani, solo di mani.

Vista questa sezione, ho riguardato daccapo tutta la mostra, dall'inizio, a cominciare dai celeberrimi ritratti "tipologici", il pasticciere, l'operaio, l'artista... E l'ho fatto scordandomi i volti del tempo. Ho guardato solo le mani, di ogni ritratto, solo le mani.  Le mani degli umani.

È stata una folgorazione. Non c'è posa delle mani, nei ritratti classici di Sander, che non sia significante. Che non discorra, assecondando o completando o contestando la figura a cui appartiene. Mani parlanti, mani dialettiche. Avrete a portata di mano una delle tante antologie di Sander, vero? Fate la prova voi stessi.

 
Dipingere le mani, nelle botteghe degli Antichi Maestri, era la prova di maturità dell'apprendista promosso ad artista. Le mani erano più difficili perfino dei volti, perché apparentemente comuni, non individuali, prive di mimica e di espressione. Ma appunto, difficilissime da rappresentare con naturalezza, appendici impacciate dei corpi dipinti, renitenti alla posa...

Non per nulla, nel "sistema Morelli", geniale eccentrico metodo per riconoscere la mano di un pittore e distinguerne lo stile, le mani dipinte sono un elemento fondamentale, la spia più preziosa delle intenzioni e del genio personale dell'artista.

Il fotografo, le mani le trova già lì, non le deve inventare. Ma forse è ancora peggio. Se le lascia dove le trova, disturbano il ritratto, lo sbilanciano. Se le mette in posa, rischiano di rubare la scena. Che fare delle mani? Edward Weston chiese a Tina Modotti di nasconderle dietro la schiena, quando la fotografò nuda sull'azotea.

Le mani non sono pezzi del corpo come gli altri. Sono pezzi di corpo attivi, che generano azioni. Come le gambe, come gli occhi o la bocca. Ma solo le mani riescono a trasformare il mondo. Le mani sono i verbi transitivi del corpo. Le gambe camminano, intransitivo. Le mani manipolano sempre qualcosa, c'è un complemento oggetto.

La fotografia se la cava benissimo con gli aggettivi, i sostantivi, gli avverbi, perfino con qualche verbo intransitivo. Ma è in grande difficoltà coi verbi transitivi. Ho detto tante volte: una fotografia ci dice, meglio di qualsiasi parola, come le cose sono, ma non riesce a dirci cosa le cose fanno.

Per questo le mani sono l'irraggiungibile, la grande sfida del fotografico. Ma sono anche la vera sintassi dell'uomo quando non si limita ad essere (un tipo una categoria, una classificazione) ma tenta disperatamente, nonostante tutto, di fare (di modificare il mondo).

Voglio immaginare che August lo avesse capito, o magari solo intuito.


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