Il tempo non ha volto. Però, forse, ha mani. Il mite fotografo di Colonia lo scoprì nell'ora più buia.
Di August Sander, anche molti appassionati di fotografia hanno in mente una schedina un po' semplificata: il fotografo che cercò di
comporre il catalogo dell'umanità della sua epoca, o per lo meno della Germania
della sua epoca, Uomini del XX secolo.
Impresa assai ambiziosa per un uomo solo, di fatto
rimasta incompiuta, pubblicata molto parzialmente nel 1929 col titolo Antlitz
der Zeit, volti del tempo, detestata dai nazisti che ne bruciarono le copie
ancora in circolazione, si dice perché restituiva un'immagine assai poco ariana
della razza eletta, o forse solo perché aveva una prefazione del comunista
Alfred Döblin.
Francamente, pur apprezzando l'ambizione e lo stile,
quel progetto così meticolosamente tassonomico mi ha sempre ispirato qualche
dubbio. Persone classificate come tipi sociali, identificate solo per la
professione (ma non tutte: gli intellettuali hanno un nome) e a volte neppure
per quella: molte donne sono descritte solo come "moglie di".
Un rischio vagamente lombrosiano, di
sovrapposizione fra carattere, professione e caratteristiche somatiche. Ho
sempre cercato una chiave più efficiente per capire cosa davvero avesse in
mente Sander. Be', forse l'ho trovata.
Perché quel santino convenzionale, come troppi
nella sacrestia polverosa della storiografia fotografica tradizionale, non dice
tutto. Andate a vedere, per capirlo, la bella
mostra su Sander in corso al Palazzo Ducale di Genova. Troverete una
piccola sezione, "Studi - l'uomo". Perdeteci un po' di tempo.
Sander ci lavorò nel 1944. Quando la Germania era ormai in
ginocchio e in macerie. Lui era sfollato nel villaggio di Westerwald Kuchausen,
lontano dalla città, dal suo studio che poi venne bombardato, dal suo archivio
sotterrato ma ugualmente distrutto da un incendio.
Il figlio Erich, antinazista, era in carcere, dove morì di lì a poco. Attorno a Sander, L'uomo tedesco del XX secolo si
dissolveva in morte, distruzione, orrore, vergogna, paura: crepuscolo degli
dèi.
Un uomo smembrato, frantumato, a pezzi. Un'umanità
tutta da ricomporre. Io voglio credere - non lo sappiamo - che sia stata quella
percezione drammatica di disintegrazione umana a dargli la forza disperata di
ripensare il proprio lavoro.
In quel che gli restava delle sue fotografie, August scavò, tagliando dettagli, isolando frammenti di corpi.
Concentrandosi specialmente su quegli "strumenti organici dell'uomo"
che sono le mani.
Mani di artista, di pianista, di lavandaia,
di fotografo... Mani a riposo e mani al lavoro, mani in primissimo piano,
bianche sul fondo nero: veri ritratti di mani del XX secolo. Ne fece grandi
pannelli, montaggi di dettagli grandi o piccoli, sequenze e accostamenti quasi
ossessivi di mani, solo di mani.
Vista questa sezione, ho riguardato daccapo tutta la
mostra, dall'inizio, a cominciare dai celeberrimi ritratti
"tipologici", il pasticciere, l'operaio, l'artista... E l'ho fatto
scordandomi i volti del tempo. Ho guardato solo le mani, di ogni ritratto, solo
le mani. Le mani degli umani.
È stata una folgorazione. Non c'è posa delle mani, nei ritratti classici di Sander, che non sia significante. Che non discorra, assecondando o completando o contestando la figura a cui appartiene. Mani parlanti, mani dialettiche. Avrete a portata di mano una delle tante antologie di Sander, vero? Fate la prova voi stessi.
È stata una folgorazione. Non c'è posa delle mani, nei ritratti classici di Sander, che non sia significante. Che non discorra, assecondando o completando o contestando la figura a cui appartiene. Mani parlanti, mani dialettiche. Avrete a portata di mano una delle tante antologie di Sander, vero? Fate la prova voi stessi.
Dipingere le mani, nelle botteghe degli Antichi Maestri, era
la prova di maturità dell'apprendista promosso ad artista. Le mani erano più
difficili perfino dei volti, perché apparentemente comuni, non individuali,
prive di mimica e di espressione. Ma appunto, difficilissime da rappresentare
con naturalezza, appendici impacciate dei corpi dipinti, renitenti alla posa...
Non per nulla, nel "sistema Morelli", geniale eccentrico metodo per riconoscere la mano di un pittore e
distinguerne lo stile, le mani dipinte sono un elemento fondamentale, la spia
più preziosa delle intenzioni e del genio personale dell'artista.
Il fotografo, le mani le trova già lì, non le deve
inventare. Ma forse è ancora peggio. Se le lascia dove le trova, disturbano il
ritratto, lo sbilanciano. Se le mette in posa, rischiano di rubare la scena.
Che fare delle mani? Edward Weston chiese a Tina Modotti di nasconderle dietro la schiena, quando la fotografò nuda sull'azotea.
Le mani non sono pezzi del corpo come gli
altri. Sono pezzi di corpo attivi, che generano azioni. Come le gambe,
come gli occhi o la bocca. Ma solo le mani riescono a trasformare il mondo. Le
mani sono i verbi transitivi del corpo. Le gambe camminano, intransitivo. Le
mani manipolano sempre qualcosa, c'è un complemento oggetto.
La fotografia se la cava benissimo con gli
aggettivi, i sostantivi, gli avverbi, perfino con qualche verbo intransitivo.
Ma è in grande difficoltà coi verbi transitivi. Ho detto tante volte: una
fotografia ci dice, meglio di qualsiasi parola, come le cose sono, ma
non riesce a dirci cosa le cose fanno.
Per questo le mani sono l'irraggiungibile, la grande
sfida del fotografico. Ma sono anche la vera sintassi dell'uomo quando non si
limita ad essere (un tipo una categoria, una classificazione) ma tenta
disperatamente, nonostante tutto, di fare (di modificare il mondo).
Voglio immaginare che August lo avesse
capito, o magari solo intuito.
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