mercoledì 3 giugno 2015

Regionali 2015: Renzi, chi semina Paita e nervi raccoglie Toti, Zaia e vendette




“Sinistra masochista”: lo sfogo del premier rimbalza sui giornali e si tinge di complotto nelle smorfie televisive di quelli del Giglio Magico, che dicono e non dicono, ma lasciano intendere che l’opposizione interna del Pd ha lavorato per il re di Prussia. Soprattutto in Liguria, in Umbria ma anche in Campania, dove “sono riusciti a resuscitare Grillo e Casaleggio”. Senza contare l’effetto Rosy Bindi e delle sue liste di impresentabili “che rese note a poche ore dal voto hanno sconcertato e confuso molti elettori” (Serracchiani). Tremenda vendetta invoca il pretorio contro il partito antipartito, vecchia conoscenza della tradizione rossa che, ai suoi tempi, Stalin aveva liquidato con certi sistemi spicci e che nella versione tweet di Matteo Renzi suona così: “Il leader non intende cacciare nessuno ma basta con la corrente organizzata”. Tradotto: cari Cuperlo, Fassina, Bersani e anche tu Speranza, che sembri sempre cascare dal pero, state in campana perché adesso mi sto veramente incazzando.  

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Una reazione tutta di nervi e che proprio per questo rivela una certa debolezza. Che i nemici interni vadano o blanditi o soppressi prima che nuocciano alla causa e non dopo, è l’abc della politica e non bisogna certo scomodare Machiavelli. Con il risultato che oggi la minoranza, molto più baldanzosa di ieri, ha buon gioco a ribaltare su Renzi l’accusa di avere minato l’unità del partito: e del resto, si sente mormorare, chi semina vento, con quel che ne segue. Lo spiega bene Fassina quando dice: “Il nostro elettorato non gradisce la svolta liberista e plebiscitaria del premier”. Ovvero: come da risultati, la sinistra conserva un forte consenso sociale nella base Pd che non ha gradito né il Jobs act né la “buona scuola”. Ragion per cui facendo la guerra a noi, Renzi l’ha fatta a milioni di elettori. Ma per lo statista di Rignano sull’Arno il conto piuttosto salato del 31 maggio non si ferma qui. 

Candidature sbagliate

Non solo Raffaella Paita in Liguria ma anche Alessandra Moretti nel Veneto, più che doppiata da Luca Zaia, rappresentano quei nomi calati dall’alto e discutibili per svariate ragioni, che un elettorato sempre più mobile non ha voluto subire preferendo alle cabine elettorali quelle marine. Renzi ci ha messo la faccia soprattutto con la ladylike Moretti, nell’indimenticabile video del viaggio in auto dove Matteo fa le stesse smorfie dell’omino della callifugo Ciccarelli, quello del “poveretto come soffre”.  

La grana De Luca

Anche qui era tutto scritto. L’ex sindaco di Salerno ha vinto in Campania ma non potrà governare in forza della legge Severino, e in attesa che i giudici si pronuncino sul merito dei suoi ricorsi. Perché Renzi sia andato a ficcarsi in questo ginepraio resta un mistero.  

La tassa del Mezzogiorno

È quella che il leader sta pagando nelle regioni conquistate dal Pd ma che si comportano come repubbliche autonome dal Nazareno. Non è un caso che Michele Emiliano, supervotato nelle Puglie, abbia voluto far sapere che Renzi di lì non è passato. In Campania, pur con tutti i suoi guai, De Luca risponde a De Luca. Calabria e Sicilia (Crocetta) da tempo viaggiano per conto loro, così come Zingaretti nel Lazio che renziano proprio non si può definire. 

Insomma, soltanto un anno dopo il famoso 40 per cento delle Europee, Renzi assomiglia più a Enrico Letta che a David Cameron. E con questi risultati certamente non può stare sereno.




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