“Sinistra
masochista”: lo sfogo del premier rimbalza sui giornali e si tinge di complotto
nelle smorfie televisive di quelli del Giglio Magico, che dicono e non
dicono, ma lasciano intendere che l’opposizione interna del Pd ha
lavorato per il re di Prussia. Soprattutto in Liguria, in Umbria ma anche in
Campania, dove “sono riusciti a resuscitare Grillo e Casaleggio”. Senza contare
l’effetto Rosy Bindi e delle sue liste di impresentabili “che rese note a
poche ore dal voto hanno sconcertato e confuso molti elettori” (Serracchiani). Tremenda
vendetta invoca il pretorio contro il partito antipartito, vecchia
conoscenza della tradizione rossa che, ai suoi tempi, Stalin aveva liquidato
con certi sistemi spicci e che nella versione tweet di Matteo Renzi
suona così: “Il leader non intende cacciare nessuno ma basta con la corrente
organizzata”. Tradotto: cari Cuperlo, Fassina, Bersani e anche tu Speranza,
che sembri sempre cascare dal pero, state in campana perché adesso mi sto
veramente incazzando.
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Una reazione tutta
di nervi e che proprio per questo rivela una certa debolezza. Che i nemici
interni vadano o blanditi o soppressi prima che nuocciano alla causa e non
dopo, è l’abc della politica e non bisogna certo scomodare Machiavelli.
Con il risultato che oggi la minoranza, molto più baldanzosa di ieri, ha buon
gioco a ribaltare su Renzi l’accusa di avere minato l’unità del partito:
e del resto, si sente mormorare, chi semina vento, con quel che ne segue. Lo
spiega bene Fassina quando dice: “Il nostro elettorato non gradisce la svolta
liberista e plebiscitaria del premier”. Ovvero: come da risultati, la sinistra
conserva un forte consenso sociale nella base Pd che non ha gradito né il Jobs
act né la “buona scuola”. Ragion per cui facendo la guerra a noi, Renzi l’ha
fatta a milioni di elettori. Ma per lo statista di Rignano sull’Arno il
conto piuttosto salato del 31 maggio non si ferma qui.
Candidature
sbagliate
Non solo Raffaella
Paita in Liguria ma anche Alessandra Moretti nel Veneto, più che
doppiata da Luca Zaia, rappresentano quei nomi calati dall’alto e discutibili
per svariate ragioni, che un elettorato sempre più mobile non ha voluto subire
preferendo alle cabine elettorali quelle marine. Renzi ci ha messo la faccia
soprattutto con la ladylike Moretti, nell’indimenticabile video del viaggio in
auto dove Matteo fa le stesse smorfie dell’omino della callifugo Ciccarelli,
quello del “poveretto come soffre”.
La grana De
Luca
Anche qui era
tutto scritto. L’ex sindaco di Salerno ha vinto in Campania ma non potrà
governare in forza della legge Severino, e in attesa che i giudici si
pronuncino sul merito dei suoi ricorsi. Perché Renzi sia andato a ficcarsi in
questo ginepraio resta un mistero.
La tassa del
Mezzogiorno
È quella che il
leader sta pagando nelle regioni conquistate dal Pd ma che si comportano come
repubbliche autonome dal Nazareno. Non è un caso che Michele Emiliano,
supervotato nelle Puglie, abbia voluto far sapere che Renzi di lì non è
passato. In Campania, pur con tutti i suoi guai, De Luca risponde a De Luca.
Calabria e Sicilia (Crocetta) da tempo viaggiano per conto loro, così come
Zingaretti nel Lazio che renziano proprio non si può definire.
Insomma,
soltanto un anno dopo il famoso 40 per cento delle Europee, Renzi
assomiglia più a Enrico Letta che a David Cameron. E con questi risultati
certamente non può stare sereno.
Antonio Padellaro
(Il Fatto Quotidiano, 2 giugno 2015)
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