domenica 5 luglio 2015

Non navi d'altomare ma scialuppe senza un futuro

 
Sapremo questa sera il risultato del referendum greco, ma fin d'ora possiamo prefigurare quello che avverrà dopo e perché. Se ne è scritto molto nei giorni scorsi e tutti i protagonisti in Grecia e in Europa e i commentatori hanno manifestato diagnosi e suggerito terapie.

La grande maggioranza, direi anzi la totalità, concorda sull'esito finale: la Grecia non deve uscire dall'euro e dall'Unione europea. Non solo sarebbe uno smacco ma metterebbe in moto uno sfascio generale dell'Unione che nessuno vuole, neppure i greci e neppure il loro attuale governo. Con una sola eccezione tuttavia: la Lega di Salvini e il partito della Le Pen. Sono nazionalisti anti-europei, sono protezionisti in economia e si oppongono ad ogni forma di immigrazione.

I 5Stelle non arrivano fino a questo punto ma in parte lo condividono, almeno per quanto riguarda Grillo e Casaleggio; tra i parlamentari cinquestelle no, non sono né l'euro né l'Ue i loro bersagli.
Per capire l'essenza di quanto sta accadendo (e non da qualche mese ma da alcuni anni) bisogna distinguere tra Autorità europee, singoli Paesi membri dell'Unione, opinione pubblica.

Le Autorità europee, intese come Commissione, Eurogruppo, Bce, vogliono che l'attuale sistema dell'Unione resti in piedi e nella misura del possibile faccia passi avanti verso una crescente integrazione economica. I governi confederati si rassegnano ad una normale integrazione purché non metta in discussione la sovranità politica. Non vogliono essere federati, non vogliono gli Stati Uniti d'Europa che li declasserebbero.

Vogliono una politica di crescita economica ed una flessibilità da attuare attraverso una politica di "deficit spending" di carattere keynesiano, che ogni governo attuerebbe secondo le proprie necessità e capacità. Naturalmente questo keynesismo tardivo deve essere concordato tra tutti i 28 Paesi dell'Unione e soprattutto con i 19 che hanno la moneta comune.

Come possiamo definire questa politica? Direi: nazionalismo concordatario, la Confederazione non è assolutamente in discussione, è necessaria affinché la porta verso la Federazione sia sbarrata.
Quanto alla pubblica opinione, essa è disaffezionata all'Europa; il suo europeismo era di facciata ma non sentiva l'Europa come una patria. La vera patria è la propria nazione e soprattutto la città dove vive e lavora. Una definizione appropriata? Nazionalismo comunale europeo.

Questa è la diagnosi che credo esatta mentre il popolo greco sta votando. Ma a mio modesto parere la terapia non è affatto quella. La sola efficace è proprio la terapia che tutti escludono e cioè andare veloci verso la costruzione degli Stati Uniti d'Europa.

L'ho scritto e detto più volte. In una società sempre più globale, dove milioni e milioni di persone, i popoli senza terra, sono in incontrastabile movimento e dove gli Stati che contano hanno dimensioni continentali, un'Europa federata sarebbe ai primi posti nel mondo. Ma se questo non avverrà noi usciremo dalla storia; vivacchieremo ai margini, ci impoveriremo gradualmente ma rapidamente, saremo a rimorchio di Stati potenti, decadremo demograficamente. Non saremo navi d'alto mare, ma scialuppe di salvataggio che non salveranno il nostro futuro. Non avremo alcun futuro, i nostri giovani emigreranno.

Il caso greco rende questi ragionamenti assai attuali. Ho fatto più volte il caso della California ma lo ricordo ancora una volta: la California è fallita due volte. Ha dovuto rimettersi in piedi con le proprie forze e guidata dai suoi governatori ce l'ha fatta, ma lo Stato federale non è intervenuto perché il bilancio e il debito della California (grande come l'Italia) non incidono minimamente sul bilancio e sul debito sovrano degli Usa.

Questa è la differenza. Se l'amministrazione federale Usa vuole dare un aiuto alle sue Californie in difficoltà, lo può fare ma il bilancio federale è tutt'altra cosa.

Vedete? Se ci fossero già gli Stati Uniti d'Europa il caso greco non sarebbe esistito nelle modalità che ha ora e che ci lascia tutti  -  greci compresi  -  col fiato in gola. *** In Italia intanto  -  problema greco a parte  -  ci sono altri temi particolarmente incombenti, il principale dei quali è la riforma (o abolizione che dir si voglia) del Senato, strettamente connesso alla legge elettorale. La riforma costituzionale dovrebbe andare all'esame del Senato nell'autunno prossimo oppure l'8 agosto. Nei prossimi giorni comincerà il dibattito nella Commissione Affari costituzionali presieduta dalla Finocchiaro e sarà lei a indicare la trasmissione all'Assemblea. La ministra delle Riforme, Elena Boschi preme per l'8 agosto perché questo è anche il desiderio di Renzi e i due sono una vera e propria coppia (politica ovviamente) che agisce sempre in perfetta sintonia.

Nel frattempo 25 senatori del Pd, il nocciolo duro dell'opposizione interna, hanno firmato un documento che rappresenta una vera e propria piattaforma programmatica che parte dalla riforma del Senato ma, attraverso di essa, raffigura i lineamenti di una sorta di rifondazione del Pd come partito di sinistra. Una sinistra dai lineamenti nuovi e quindi un cambiamento che tuttavia non coincide affatto con il cambiamento sempre evocato dal Renzi rottamatore.

Il documento dei 25 reagisce al cambiamento renziano che viene considerato un cambiamento centrista che vorrebbe, certo, mantenere una presenza a sinistra, ma di fatto, per farla convergere verso il centro. Sembra una differenza più linguistica e bizantineggiante che discute sulle parole ma non sul concreto dei fatti; invece non è così e il cambiamento dei 25 (che probabilmente saranno 28 o 29 al momento del voto) lo dimostra assai chiaramente.

L'opposizione democratica non vuole soltanto un Senato direttamente eletto, accetta ovviamente che la fiducia al governo venga attribuita esclusivamente alla Camera, accetta anche la riduzione del Senato a cento senatori eletti, ma attribuisce ad essi un potere di controllo, di garanzia, e di efficienza del potere dell'esecutivo e ne specifica i temi ovviamente condivisi con la Camera. Riguardano appunto i poteri di controllo sull'esecutivo, un nuovo modo di eleggere il presidente della Repubblica prevedendo un ballottaggio tra i primi due votati dopo cinque votazioni andate a vuoto; la libertà religiosa, i diritti civili, le leggi sul lavoro, tutta la materia delle salvaguardie sociali, l'ascolto frequente delle organizzazioni sindacali e insomma una sinistra che risorga e ridiventi il nucleo essenziale del Pd, con particolare attenzione alla scuola e alla Rai che non può e non deve diventare una agenzia propagandista del potere esecutivo.

Alcune di queste proposte sono, a mio modo di vedere, sbagliate. Per esempio la riduzione del Senato a cento membri, più i senatori a vita. Questa riduzione ha un senso se accompagnata da analoga riduzione dei membri della Camera, altrimenti il peso dei senatori ogni volta che si riunisce il plenum del Parlamento diventerebbe minimo. Ma la sostanza di quel documento è largamente accettabile proprio per ridare al Pd quel carattere di partito progressista che ha largamente perduto.

Se Renzi si rendesse conto della sostanza del problema, avrebbe a mio avviso, una soluzione elegantemente efficace e praticabile. Dovrebbe stralciare dalla legge di riforma il tema della fiducia al governo da riservare unicamente alla Camera e abbandonare tutto il resto. Il bicameralismo non sarebbe più perfetto, ma tranne questa sostanziale innovazione, per il resto tutto resterebbe esattamente così com'è.

Ma se Renzi non vorrà correggere se stesso e proseguirà sulla strada tracciata dalla Boschi, allora questa volta rischia grosso. I 25 o 29 voti dei dissidenti, più quelli eventuali di Fitto e più le opposizioni, rischiano infatti di mettere Renzi in minoranza su un tema capitale. Si salverebbe soltanto riproponendo il patto con Berlusconi, ma se anche questo tentativo non riuscisse, dovrebbe almeno ottenere i voti di Verdini e quelli di Razzi (personaggio immortalato da Crozza). In questo caso si resterebbe sull'orlo di una vittoria o sconfitta dell'ordine di 5-6 voti e con essa una perdita di prestigio incommensurabile.
 
***

Sono rimasto alquanto stupito da un editoriale di ieri sul Corriere della Sera di Sabino Cassese. È un vecchio amico verso il quale ho sempre avuto grande stima ed è proprio quella nostra amicizia intellettuale che mi ha suscitato stupore per l'articolo in questione, il cui nucleo è il seguente: "La riforma costituzionale prevede una forte riduzione del bicameralismo e un modesto rafforzamento del governo. Il primo obiettivo è raggiunto svuotando di funzioni il Senato, riducendo il numero dei senatori e rendendone l'elezione indiretta. Il secondo obiettivo si ottiene affidando solo alla Camera il compito di dare la fiducia al governo e dando anche una corsia preferenziale alle sue proposte di legge. Non bisogna fare nessun passo indietro su questa riforma".

Questo, caro Sabino, è un regime potenzialmente autoritario. Oggi è impersonato da Renzi, ma in un domani potrebbe essere impersonato da Salvini o da Grillo e allora sarebbero guai molto seri per la democrazia italiana. Oppure pensi che Renzi governerà per i prossimi vent'anni? E che la visione autoritaria non si manifesterà anche in lui? Demos e kratos  -  lo sai bene anche tu  -  hanno significati assai contrastanti e quando prevale kratos , demos fa quasi sempre le valigie.

Post scriptum . Si capisce bene perché Grillo si trova ad Atene e fa il tifo per Tsipras e si capisce anche perché Salvini, pur non muovendosi da Milano, fa il tifo affinché nel referendum vinca il "no". Ma io non capisco affatto perché siano ad Atene anche Fassina e i suoi compagni della sinistra. Vogliono che l'Europa si arrenda al ricatto greco o che vada per aria?
Che l'ipotesi di un'Europa federale si allontani verso un tempo infinito? È questo ciò che vuole il pulviscolo di sinistra? Mi sembra un grave errore e un'assenza di "pensiero lungo" assai preoccupante per chi vorrebbe una sinistra seria e capace di governare.


Eugenio Scalfari (La repubblica - 5 luglio 2015


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