Ci sono segnali
che contano più di un trattato di sociologia. Ci sono messaggi che, messi
assieme come le tessere di un puzzle, descrivono il Paese meglio di qualsiasi
studio storico-politico. In queste settimane ne abbiamo colti tanti. L’immagine dei vigili urbani che
scortano la carrozza funebre di Vittorio Casamonica, identica a
quella utilizzata per le esequie di Lucky Luciano, si rivolge, per
esempio, al mondo di sotto. Comunica agli altri boss che “Roma è loro”
perché nella Capitale ci si può ancora mettere d’accordo con lo Stato e le
altre istituzioni. Dice alle mafie: noi siamo qui e ci resteremo sempre, nonostante
le inchieste e la memoria da moscerino di tanti politici, di molti giornali e
di troppe tv.
La destituzione dalle funzioni operative
di coordinamento tra i vari nuclei del Noe del colonnello Sergio De Caprio,
parla invece agli investigatori. Spiega semplicemente a tutti che non
farai carriera se arresti Luigi Bisignani, scopri i conti del tesoriere
leghista Francesco Belsito, rompi le uova nel paniere a Finmeccanica e sveli le
tangenti rosse della Cpl Concordia. Chiarisce che ti faranno saltare pure se
sei il Capitano Ultimo, se hai catturato Totò Riina e ora stai facendo
solo il tuo dovere. Anche perché non sta bene intercettare per caso il numero
due della Guardia di Finanza mentre parla con il premier Matteo Renzi, o
va a cena con il sindaco di Firenze Dario Nardella conversando amabilmente di
presunti ricatti al presidente Giorgio Napolitano.
La decisione
del direttore dell’Isola del Cinema, Giorgio Ginori, di vietare al Fatto Quotidiano
la sua festa a Roma, guarda poi – anzi si mostra – alle nomenklature
di partito. Dire “niente Festa se recitate le stra-pubbliche trascrizioni di
Mafia Capitale” fa sapere che si può stare tranquilli. Nel Belpaese c’è ancora
un sacco di gente che pagherebbe per servire. In autunno quando quasi
tutto il Parlamento (con complice sottovalutazione da parte della magistratura)
voterà una nuova legge bavaglio per limitare, con la scusa della privacy, la
pubblicazione di intercettazioni sgradite al Potere, da frotte di sedicenti
intellettuali gli applausi arriveranno a scrosci.
Infine, c’è la
scelta del governatore della Campania, Vincenzo De Luca. C’è la sua
decisione, avallata da Matteo Renzi, di correre alle elezioni appoggiato da
una lista ispirata dagli uomini Nicola Cosentino, il forzista
detenuto in attesa di giudizio per fatti di camorra. Quell’alleanza parla ai
cittadini. Dice che davvero l’Italia #cambiaverso. Perché cammina veloce a
passi da gambero. Torna ai Settanta e Ottanta quando nella Dc c’era posto per
uomini da rispettare come Mino Martinazzoli o Carlo Rognoni e per i voti e i
volti sporchi di Salvo Lima e Vito Ciancimino. Racconta come oggi per vincere
si faccia di nuovo finta di non sapere che la mafia è mafia solo se ha
rapporti con la politica. Perché se non li ha è solo “normale”
gangsterismo. E sarebbe già stata sconfitta da un pezzo.
Con una
differenza però. La linea della Palma, di cui scriveva tanti anni fa Leonardo
Sciascia, ha superato Roma e Firenze. E viaggia veloce verso le Alpi. Diventa
quotidiana normalità non solo per la politica. Anche per milioni di italiani.
Così, mentre si ascoltano le Autorità giustificarsi per mancata prevenzione
sulle esequie solenni per Vittorio Casamonica dicendo che in fondo quello
era un boss di secondo piano, vale la pena di prepararsi al futuro funerale di
Riina. Guardato il puzzle nel suo insieme, quando verrà il tempo, è giusto che
sia di Stato.
Peter Gomez (Il FattoQuotidiano del 22 agosto 2015)
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