In gita premio in Perù, Matteo Renzi è stato a lungo incerto se
telefonare a Rossella Orlandi, scriteriatamente scaricata dal suo sottosegretario Zanetti,
oppure a Orfini e Marino, per mettere fine alla pochade che sta coprendo di
ridicolo il Pd, Roma e l’Italia. Alla fine ha chiamato Valentino Rossi, portando il fondamentale
contributo del governo al grande piagnisteo nazionale sul complotto planetario
ai suoi danni. Quel che è accaduto domenica nel penultimo Gran premio di Sepang
in Malesia l’han visto e rivisto tutti: con Pedrosa e Lorenzo in fuga, Rossi è
impegnato in una serie di sorpassi e controsorpassi con Marquez, finché al
settimo giro rallenta all’improvviso e cambia traiettoria all’uscita di una
curva, allargandosi in cerca del contatto col rivale spagnolo. Questi lo sfiora
e lui lo allontana col piede o con la gamba facendogli perdere l’equilibrio.
Nella peggiore delle ipotesi è una scorrettezza gratuita, nella migliore un
fallo di reazione. I direttori di gara sanzionano Valentino con tre punti in meno sul
patentino e con l’obbligo di partire ultimo nel decisivo Gp di Valencia,
dove lo sfidante Lorenzo – anche lui spagnolo, indietro di 7 punti – ha molte
possibilità di recuperare e scavalcarlo in vetta alla classifica. Sanzione
piuttosto blanda rispetto al massimo della pena previsto in questi casi (tipo
la squalifica al Gp successivo: lo spiega Scanzi su il Fatto Quotidiano di
oggi). Senza entrare nella diatriba calcio sì-calcio no, la direzione motiva la
sanzione con la “guida irresponsabile di Rossi che ha deliberatamente provocato
il contatto”.
Apriti cielo. Anziché accettare il verdetto, atteso e dovuto, l’Italia
che conta si scatena nell’unico vero sport nazionale: il vittimismo
complottista. Come ai tempi di Calciopoli con ampio stuolo di prefiche
piangenti per la povera Juve, il povero Milan, la povera Lazio e la povera
Fiorentina. Marquez è cattivo perché si ostinava a superare il nostro campione,
anziché fermarsi sul ciglio della pista e lasciarlo passare. Sarà certamente
d’accordo con Lorenzo, pure lui spagnolo, per sabotare l’italiano. Ingrato che
non è altro: dopo aver beneficiato dell’amicizia di Valentino, l’ha tradito nel
momento del bisogno. Gli stessi che strillavano per la testata del feroce Zidane
al mite Materazzi nella finale di Germania 2006, ignorando che il francese
aveva perso il controllo reagendo alle provocazioni del nostro difensore, oggi
puntano il dito sulle provocazioni di Marquez (reo di mettercela tutta per
arrivare davanti a Valentino), mentre la reazione di Rossi non conta.
C’è chi mette in burletta il verdetto: non per dire che andava punito
anche Marquez (il che non sposterebbe di un millimetro le sorti del Mondiale),
ma che non andava punito Rossi. Il quale è innocente perché – tenetevi forte –
non è la sua gamba a scalciare Marquez, ma la testa dell’astuto spagnolo a
colpire la sua gamba. Una barzelletta che ricorda Servi della gleba di Elio e
le Storie tese: “Non sono stato molto bene. Mi han detto che c’ho il gomito che
fa contatto col ginocchio”.
Non sappiamo a quale scuola di pensiero s’iscriva Renzi che, con tutti i
casini che ha, perde tempo prezioso a impicciarsi di gare sportive che non lo
riguardano. Sappiamo invece da un apposito tweet che, per il senatore renziano Andrea
Marcucci, “i campionati vanno decisi in pista, non con decisioni arbitrarie a
tavolino”: se ne deduce che un corridore è autorizzato a scendere in pista
armato di kalashnikov senza che nessuno si permetta di sindacare con decisioni
arbitrarie a tavolino. Il presidente del Coni Giovanni Malagò osserva: “Valentino ha
riconosciuto di essere cascato nella provocazione” (e con ciò?), “c’è una
responsabilità da parte sua, però io voglio assolutamente difenderlo e non per
un fatto istituzionale”, bensì per “la poca sportività dimostrata da Marquez”
(quando? come? perché?), insomma “si è falsato il Mondiale e questo non lo
trovo giusto”. Quindi aboliamo la giustizia sportiva e d’ora in poi vale tutto?
Mirabile lezione di sportività dalla massima autorità sportiva.
Il Foglio, noto
per aver beatificato tutti i vip violatori di leggi dalla preistoria a oggi,
arricchisce la collezione: “Non si chiama ‘calcio’, quello di Vale Rossi, si
chiama solo legittima difesa”, scrive Claudio Cerasa, convinto che Lorenzo
fosse armato. Poteva mancare l’illuminato parere di Jovanotti? Non poteva.
Eccolo, sempre molto lucido: “È abbastanza chiaro quello che è successo”. Mica
tanto: “I primi giri mostravano una situazione insostenibile e nel momento in
cui Vale ha allargato la curva per rallentare l’attività e l’incursione
legittima dell’avversario, ma forse un po’ al limite, era naturale che
succedesse quello che è lì da vedere”. Cosa? “È un atteggiamento comune negli
esseri umani attaccare per poi fare la vittima”. Ecco: Marquez fa la vittima
perché cade, mentre Rossi è la vittima perché resta in piedi e viene
proditoriamente colpito da “penalizzazione eccessiva, anzi ingiusta”. Perché
lui “è bravissimo, un grandissimo sportivo, leale e giustamente vuole vincere”,
mentre Marquez non ne ha il diritto. Tiè. Stringente anche la logica di Arrigo
Sacchi: “In Marquez si percepivano odio ed astio”: Rossi invece è del partito
dell’amore.
Nello sport ridotto a succursale della politica, nessuno deve permettersi
di ricordare che le regole valgono per tutti, anche per chi è simpaticissimo
come Valentino. È l’Italia di Cetto La Qualunque: “Figlio mio, quante volte ti
ho detto di non mettere mai il casco: potrebbero pensare che sei timido! Si
comincia dando la precedenza a un incrocio e finisce che ti prendono per
ricchione”.
Marco Travaglio (Il Fatto Quotidiano, 28 ottobre 2015)
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