Come ci informa sul Fatto del 9 aprile Guido Rampoldi adesso Carnegie endowment uno dei think tank
più importanti degli Stati Uniti, consulente della Casa Bianca,
sostiene che “il baluardo contro il terrorismo non è al-Sisi ma la sua
vittima, i Fratelli musulmani – integralisti, inetti, percorsi da spinte
autoritarie, ma in definitiva in grado di evitare lo smottamento verso
la jihad di ampi settori del radicalismo”. Ma che geni. Che pensatori
lungimiranti. Con ‘pensatoi’ così si capisce perché gli Stati Uniti non
ne imbrocchino una dal 2001 quando, senza nessuna ragione plausibile,
aggredirono l’Afghanistan che non costituiva alcun pericolo per
l’Occidente.
Cosa
fosse il Generale Abd al-Fattah al-Sisi e quale inaudita violenza
antidemocratica fosse stata compiuta sui Fratelli musulmani io lo
scrissi circa due anni e mezzo fa (“Egitto, l’assurdo processo a Morsi”,
Il Fatto
9 novembre 2013): il presidente democraticamente eletto, Mohamed Morsi,
in galera con accuse ridicole insieme a tutta la dirigenza dei
Fratelli, 2.500 militanti uccisi durante due manifestazioni di protesta,
un regime dittatoriale instaurato in tutto il Paese (censura,
giornalisti in carcere insieme a chiunque fosse individuato come
oppositore, condanne a morte, assassinii dell’intelligence e
desaparecidos). Quei dati che riportavo nel novembre 2013 vanno solo
aggiornati: in galera ci sono circa 60.000 oppositori e i desaparecidos
sono 735 solo negli ultimi otto mesi senza contare quelli precedenti
perché questi dati vengono forniti solo oggi dopo il brutale assassinio
di Giulio Regeni (nulla del genere, ma proprio nulla, si era visto
durante l’anno e mezzo di governo degli ‘autoritari’ Fratelli
musulmani). Naturalmente non è che le cose che scrivevo nel novembre
2013 e poi in una serie di altri articoli non fossero note ai governi,
ai loro lacchè, ai think tank
e agli intellettuali occidentali, ma si sorvolò su questi dettagli.
Ancora oggi il sempreverde Fabrizio Cicchitto parla “di una credibilità
internazionale dell’Egitto”, ora un po’ appannata, come se questa
‘credibilità’ non fosse caduta lo stesso giorno del golpe militare di Al
Sisi. Son curiosi questi occidentali, ci martellano ogni giorno con la
sacralità della democrazia e pretendono di esportarla in tutto il mondo,
a suon di bombe, di missili, di caccia, di droni, ma poi quando una
democrazia viene abbattuta nel più brutale dei modi stan zitti.
Ora
gli Stati Uniti si trovano in una situazione spinosa. Al Sisi alla
guida dell’Egitto ce l’hanno messo loro favorendone il colpo di Stato.
Ma adesso, dopo il caso Regeni, è diventato troppo impresentabile (c’è
anche da dire che gli agenti segreti del governo del Cairo sono feroci
come la mafia ma molto meno abili, non sono nemmeno capaci di far
sparire un cadavere imbarazzante in un pilone d’autostrada). Che fare
quindi? Tirare fuori di prigione Morsi e gli altri dirigenti dei
Fratelli dicendo loro: scusate ci siamo sbagliati? Mi pare un tantino
improbabile, anche perché quelli, giustamente, sono ormai passati dalla
parte dell’Isis. Secondo Rampoldi, che solitamente è bene informato, gli
Stati Uniti penserebbero a un controgolpe contro Al Sisi per mettere al
suo posto qualche altro generale tagliagole ma non ancora così
sputtanato. Insomma un ‘golpe sul golpe’ per parafrasare un’antica
vignetta di Giovanni Mosca. In quanto all’Italia, nonostante gli
importanti rapporti commerciali con l’Egitto di cui ha dato
documentazione, sempre sul Fatto
(12/4) Maurizio Chierici, a dispetto delle ‘grida’ di Matteo Renzi e
dell’inutile ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, non farà nulla di
diverso da quello che ci diranno gli americani di cui siamo servi da
settant’anni. Giulio Regeni è stato vittima degli aguzzini
dell’intelligence egiziana, ma anche dell’opportunismo della stampa
occidentale che per vigliaccheria non ha informato su che cosa fosse
realmente l’Egitto di Al Sisi.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 15 aprile 2016)
Nessun commento:
Posta un commento
Tutto quanto pubblicato in questo blog è coperto da copyright. E' quindi proibito riprodurre, copiare, utilizzare le fotografie e i testi senza il consenso dell'autore.