In vista della consultazione popolare fissata a
ottobre sulle modifiche alla Carta, il presidente emerito della Consulta elenca
le ragioni per votare contro la deforma Renzi-Boschi e risponde alle obiezioni
confezionate in questi mesi da chi è a favore.
di Gustavo Zagrebelsky, da il Fatto quotidiano 8 marzo 2016
"Nella campagna per il referendum costituzionale i
fautori del Sì useranno alcuni slogan. Noi, i fautori del NO, risponderemo con
argomenti. Loro diranno, ma noi diciamo.
1. Diranno
che “gli italiani” aspettano queste riforme da vent’anni (o trenta, o anche
settanta, secondo l’estro)
Noi diciamo che da quando è stata approvata la
Costituzione – democrazia e lavoro – c’è chi non l’ha mai accettata e, non
avendola accettata, ha cercato in ogni modo, lecito e illecito, di cambiarla
per imporre una qualche forma di regime autoritario. Chi ha un poco di memoria,
ricorda i nomi Randolfo Pacciardi, Edgardo Sogno, Luigi Cavallo, Giovanni Di
Lorenzo, Junio Valerio Borghese, Licio Gelli, per non parlare di quella
corrente antidemocratica nascosta che di tanto in tanto fa sentire la sua
presenza nella politica italiana. A costoro devono affiancarsi, senza
confonderli, coloro che negli anni hanno cercato di modificare la Costituzione
spostandone il baricentro a favore del governo o del leader: commissioni
bicamerali varie, “saggi” di Lorenzago, “saggi” del presidente, eccetera. È
vero: vi sono tanti che da tanti anni aspettano e pensano che questa sia
finalmente “la volta buona”. Ma questi non sono certo “gli italiani”, i quali
del resto, nella maggioranza che si è espressa nel referendum di dieci anni fa,
hanno respinto col referendum un analogo tentativo, il tentativo che, più di tutti
gli altri sembrava vicino al raggiungimento dello scopo. A coloro che vogliono
parlare “per gli italiani”, diciamo: parlate per voi.
2. Diranno
che “ce lo chiede l’Europa” (…)
Diteci che cosa rappresenta l’Europa di oggi se non
principalmente il tentativo di garantire equilibri economico-finanziari del
Continente per venire incontro alla “fiducia degli investitori” e a proteggerli
dalle scosse che vengono dal mercato mondiale. A questo fine, l’Europa ha
bisogno d’istituzioni statali che eseguano con disciplina i Diktat ch’essa
emana, come quello indirizzato il 5 agosto 2011 al “caro primo ministro”,
contenente un vero e proprio programma di governo ultra-liberista, in materia
economico-sociale, associato all’invito di darsi istituzioni decidenti per eseguirlo
in conformità.
Dite: “Ce lo chiede l’Europa” e tacete della famosa
lettera Draghi-Trichet, parallela ad analoghi documenti provenienti da
“analisti” di banche d’affari internazionali, che chiede riforme istituzionali
limitative degli spazi di partecipazione democratica, esecutivi forti e
parlamenti deboli, in perfetta consonanza con ciò che significano le “riforme”
in corso nel nostro Paese. (…) A chi dice: ce lo chiede l’Europa, poniamo a
nostra volta la domanda: qual è l’Europa alla quale volete dare risposte?
3. Diranno
che le riforme servono alla “governabilità” (..)
“Governabile” è chi si lascia docilmente governare e
chiediamo: chi si deve lasciar governare e da chi? Noi pensiamo che occorra
“governo”, non governabilità, e che governo, in democrazia, presupponga idee e
progetti politici capaci di suscitare consenso, partecipazione, sostegno. In
assenza, la democrazia degenera in linguaggio demagogico, rassicurazioni vuote,
altra faccia della rassegnazione, e dell’abulia: materia passiva, irresponsabile
e facile alla manipolazione. Questa è la governabilità. A chi dice
“governabilità” noi rispondiamo: partecipazione e governo democratico.
4. Diranno:
ma la riforma è pur stata approvata dal Parlamento, l’organo della democrazia
Ma noi diciamo: quale Parlamento? Il Parlamento
illegittimo, eletto con una legge elettorale obbrobriosa, dichiarata
incostituzionale, per l’appunto, per essere antidemocratica (deputati e
senatori nominati e non eletti; premio di maggioranza abnorme che ha scollato
gli eletti dagli elettori). La Corte costituzionale ha bollato quell’elezione
come una specie di golpe elettorale, per avere “rotto il rapporto di
rappresentanza” (testuale). È vero che la Corte aggiunse che, per l’esigenza di
continuità costituzionale, le Camere così elette non sarebbero decadute
immediatamente.
Ma è chiaro a tutti coloro che hanno ancora un’idea
seppur minima di democrazia che da quella sentenza si sarebbe dovuto procedere
tempestivamente, per mezzo d’una nuova legge elettorale conforme alla
Costituzione, a nuove elezioni, per ristabilire il rapporto di rappresentanza.
(…) È vero che, scandalosamente, anche da parte delle più alte autorità della
Repubblica, dell’informazione e da parte di non poca “dottrina”
costituzionalistica, si fa finta che non esista una questione di legittimità
che getta un’ombra su tutta questa vicenda, tanto più in quanto, se non vi
fosse stato l’incostituzionale premio di maggioranza, sarebbero mancati i
numeri necessari per portarla a compimento. (…)
5.
Parleranno di atto d’orgoglio politico dei parlamentari, finalmente capaci di
“autoriformarsi” senza guardare al proprio interesse
Queste riforme sono state avviate dall’esecutivo con
l’impulso di quello che, per debolezza e compiacenza, è potuto essere per
diversi anni il vero capo dell’esecutivo, il presidente della Repubblica; sono
state recepite nel programma di governo e tradotte in disegni di legge imposti
all’approvazione del Parlamento con ogni genere di pressione (minacce di
scioglimento, di epurazione, sostituzione dei dissenzienti, bollati come
dissidenti), di forzature (strozzamento delle discussioni parlamentari,
caducazione di emendamenti), di trasformismo parlamentare (passaggi
dall’opposizione alla maggioranza in cambio di favori e posti) fino ai voti di
fiducia, come se la Costituzione e le istituzioni fossero materia appartenente
al governo, fino a raggiungere il colmo: la questione di fiducia posta
addirittura agli elettori, sull’approvazione referendaria della riforma (o me o
la riforma, sempre che voglia prendere sul serio un simile proclama da parte di
uno che non eccede in coerenza ed eccede invece in spregiudicatezza). Questo
non è il primato della politica, ma delle minacce e degli allettamenti. Se
volete parlare di politica, noi diciamo: sì, ma sapendo che è mala politica.
6.
S’inorgogliranno chiamandosi “governo costituente”
Noi diciamo che il “governo costituente”, in
democrazia, è un’espressione ambigua. Sono i governi dei caudillos e dei
colonnelli sud-americani, quelli che, preso il potere, si danno la propria
costituzione: costituzione non come patto sociale e garanzia di convivenza ma
come strumento, armatura del proprio potere. Il popolo e la sua rappresentanza,
in democrazia, possono essere “costituenti”. I governi, poiché sono espressione
non di tutta la politica, ma solo d’una parte, devono stare sotto la
Costituzione, non sopra come credono invece di stare d’essere i nostri
riformatori che si fanno forti dello slogan “abbiamo i numeri”, come se avere i
numeri, comunque racimolati, equivalga all’autorizzazione a fare quel che si
vuole. (…)
7. Diranno
che l’iniziativa del governo nelle faccende costituzionali non ha nulla
d’anormale e, quelli che sanno, porteranno l’esempio della Francia, del
generale De Gaulle e della sua riforma costituzionale del 1962.
Noi ci limitiamo a porre queste domande: credete
davvero d’essere dei nuovi De Gaulle, il capo della Resistenza repubblicana che
sbarca in Normandia al momento della liberazione? E di poter paragonare
l’Italia di oggi alla Francia d’allora? La riforma francese aveva alla sua base
le idee costituzionali enunciate “disinteressatamente” nel 1946 a Bayeux,
guardando lontano e radicandosi nel passato della storia della Repubblica
francese. Noi abbiamo invece testi raffazzonati all’ultima ora, la cui
approvazione si è resa possibile per equivoci compromessi concettuali e
lessicali, proprio sul punto centrale della riforma del Senato. (…)
8. Diranno
che, anche ad ammettere che la riforma abbia avuto una genesi non democratica e
un iter parlamentare telecomandato nei tempi e nei contenuti, alla fine la
democrazia trionferà nel referendum confermativo.
Noi diciamo che la riforma forse sottoposta al
giudizio degli elettori porta il segno della sua origine tecnocratica
unilaterale e che il referendum richiesto dallo stesso governo che l’ha voluta
lo trasformerà in un plebiscito. Non si tratterà di un giudizio su una
Costituzione destinata a valere negli anni, ma di un voto su un governo
temporaneamente in carica. (…) Avremo una campagna referendaria in cui il
governo avrà una presenza battente, come se si trattasse d’una qualunque
campagna elettorale a favore di una parte politica, e farà valere il
“plusvalore” che assiste sempre coloro che dispongono del potere, complice
anche un’informazione ormai quasi completamente allineata.
9. Diranno che non c’è da fare tante storie, perché,
in fondo si tratta d’una riforma essenzialmente tecnica, rivolta a
razionalizzare i percorsi decisionali e a renderli più spediti ed efficienti
Noi diciamo: altro che tecnica! È la razionalizzazione d’una trasformazione
essenzialmente incostituzionale, che rovescia la piramide democratica. Le
decisioni politiche, da tempo, si elaborano dall’alto, in sedi riservate e poco
trasparenti, e vengono imposte per linee discendenti sui cittadini e sul
Parlamento, considerato un intralcio e perciò umiliato in tutte le occasioni
che contano. La democrazia partecipativa è stata sostituita da un sistema
opposto di oligarchia riservata. (…) Le “riforme” costituzionali sono in realtà
adeguamenti della Costituzione a questa realtà oligarchica. Poiché siamo per la
democrazia, e non per l’oligarchia, siamo contrari a questo adeguamento
spacciato come riforma.
10. Diranno
che i partiti di sinistra, già al tempo della Costituente, avevano criticato il
bicameralismo (cuore della riforma) e che perfino Pietro Ingrao, ancora negli
anni 80, si espresse per l’abolizione del Senato
Noi diciamo: andate a leggere i resoconti di quei
dibatti e vi renderete conto che si trattava, allora, di semplificare le
istituzioni parlamentari per dare più forza alla rappresentanza democratica e
fare del Parlamento il centro della vita politica (si parlava di “centralità
del Parlamento”). La visione era quella della democrazia partecipativa o, nel
linguaggio di Ingrao, della “democrazia di massa”. Oggi è tutto il contrario:
si tratta di consolidare il primato dell’esecutivo emarginando la
rappresentanza, in quanto portatrice di autonome istanze democratiche. (…)
11. Diranno che siamo come i ciechi
conservatori che hanno paura del nuovo, anzi del “futuro-che-è-oggi”, e sono
paralizzati dal timore dell’ “uomo forte”
Noi diciamo che a noi non interessano “riforme” che
riforme non sono, ma sono “consolidazioni” dell’esistente: un esistente che non
ci piace affatto perché portatore di disgregazione costituzionale e di latenti
istinti autoritari. Questi istinti non si manifestano necessariamente
attraverso l’uso esplicito della forza da parte di un “uomo forte”. Questo
accadeva in altri, più primitivi tempi. Oggi, si tratta piuttosto
dell’occupazione dei posti strategici dell’economia, della politica e della
cultura che forma l’ideologia egemonica del momento. Questo è ciò che sta
accadendo manifestamente e solo chi chiude gli occhi e vuole non vedere, può
vivere tranquillo. Si tratta, per portare a compimento questo disegno, di
eliminare o abbassare gli ostacoli (pluralismo istituzionale, organi di
controllo e di garanzia) che frenano il libero dispiegarsi del potere che si
coagula negli organi esecutivi. Non occorre eliminarli, ma normalizzarli,
ugualizzarli, standardizzarli, il che significa l’opposto del far opera
costituente.
12. Diranno
che siamo per l’immobilismo, cioè che difendiamo l’indifendibile: una
condizione della politica che non ha mai toccato un punto così basso in tutta
la storia repubblicana, mentre loro vogliono rianimarla e rinnovarla
Noi opponiamo una classica domanda alla quale i
riformatori costantemente sfuggono: sono più importanti le istituzioni o coloro
che operano nelle istituzioni? La risposta, che sta non solo in venerandi
scritti sulla politica e sulla democrazia – che i nostri riformatori, con
tranquilla e beata innocenza mostrano d’ignorare completamente – ma anche nelle
lezioni della storia, è la seguente: istituzioni imperfette possono funzionare
soddisfacentemente se sono in mano a una classe politica degna e consapevole
del compito di governo che è loro affidato, mentre la più perfetta delle
costituzioni è destinata a funzionare malissimo in mano a una classe politica
incapace, corrotta, inadeguata. Per questo noi diciamo: non accollate a una
Costituzione le colpe che sono vostre. (…)
13. Diranno:
non ve ne va bene una; la vostra è una opposizione preconcetta. Non siete
d’accordo nemmeno sull’abolizione del Cnel e la riduzione dei “costi della
politica”?
Noi diciamo: qualcosa c’è di ovvio, su cui voteremmo
pure sì, ma è mescolato, come argomento-specchietto, per far passare il resto
presso un’opinione pubblica orientata anti-politicamente. A parte il Cnel, che
in effetti s’è dimostrato in questi anni una scatola quasi vuota, la riduzione
dei costi della politica avrebbe potuto essere perseguito in diversi altri
modi: riduzione drastica del numero dei deputati, perfino abolizione pura e
semplice del Senato in un contesto di garanzie ed equilibri costituzionali
efficaci. Non è stato così.
Si è voluto poter disporre d’un argomento demagogico
che trova alimento nella lunga tradizione antiparlamentare che ha sempre
alimentato il qualunquismo nostrano.
Avere unificato in un unico voto referendario tanti
argomenti tanto diversi (forma di governo e autonomie regionali) è un abile
trucco costituzionalmente scorretto, che impedisce di votare sì su quelle parti
della riforma che, prese per sé e in sé, risultassero eventualmente
condivisibili. Voi dite di voler combattere l’antipolitica, ma proprio voi ne
esprimete l’essenza. (…)
14. Diranno:
come è possibile disconoscere il serio lavoro fatto da numerosi esperti, a
incominciare dai “saggi” del presidente della Repubblica, passando per la
Commissione governativa, per le tante audizioni parlamentari di distinti
costituzionalisti, fino ad approdare al Parlamento e al ministro competente per
le riforme costituzionali. Tutto ciò non è per voi garanzia sufficiente d’un
lavoro tecnicamente ben fatto? (…)
Le questioni costituzionali non sono mai solo
tecniche. A ogni modifica della collocazione delle competenze e delle procedure
corrisponde una diversa allocazione del potere. Nella specie, ciò che si sta
realizzando, per l’effetto congiunto della legge elettorale e della riforma
costituzionale, è l’umiliazione del Parlamento elettivo davanti all’esecutivo;
l’esecutivo, un organo che, non essendo “eletto”, potrà derivare
dall’iniziativa del presidente della Repubblica che, dall’alto, potrà manovrare
– come è avvenuto – per ottenere la fiducia della Camera.
Quanto poi alla bontà del testo di riforma dal punto
di vista tecnico, ci limitiamo a questo esempio, la definizione delle
competenze legislative da esercitare insieme dalla Camera e dal Senato (sì, il
Senato rimane, il bicameralismo anche e, se la seconda Camera non si arenerà su
un binario morto, i suoi rapporti con la prima Camera daranno luogo a numerosi
conflitti): “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due
Camere per (sic!) le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi
costituzionali, e soltanto per le leggi di attuazione delle disposizioni
costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, i referendum
popolari, le altre forme di consultazione di cui all’art. 71, per le leggi che
determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo,
le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane e le
disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni, per la legge che
stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione
dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche
dell’Unione europea, per quella (?) che determina i casi di ineleggibilità e di
incompatibilità con l’ufficio di senatore e di cui all’art. 65, primo comma, e
per le leggi di cui agli articoli 57, sesto comma, 80, secondo periodo, 114,
terzo comma, 116 terzo comma, 117, quinto e nono comma, 119, sesto comma, 120,
secondo comma, 122, primo comma, e 132, secondo comma”.
Se questo pasticcio è il prodotto dei “tecnici”, noi diciamo che hanno trattato la Costituzione come una legge finanziaria o, meglio, come un Decreto milleproroghe qualunque: sono infatti formulati così. Quanto ai contenuti, come possono i “tecnici” non aver colto le contraddizioni dell’art. 5, noto perché su di esso si è prodotta una differenziazione nella maggioranza, poi rientrata. Riguarda la composizione del Senato e non si capisce se i senatori rappresenteranno le Regioni in quanto enti, i gruppi consiliari oppure le popolazioni; non si capisce poi se saranno effettivamente scelti dagli elettori o dai Consigli regionali. Saranno eletti – si scrive – dai Consigli regionali “In conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri”. Ma, se queste scelte saranno vincolanti, non ci sarà elezione ma, al più ratifica; se non saranno vincolanti, come si può parlare di “conformità”.
Un pasticcio dell’ultima ora che darà filo da torcere a che dovrà darne attuazione: parallele convergenti, quadratura del cerchio… Agli autorevoli fautori di norme come queste, citate qui a modo d’esempio chiediamo sommessamente: dite con parole vostre e con parole chiare che cosa avete voluto. (…) Questi tecnici non hanno dato il meglio di sé, forse perché hanno dovuto nascondere nell’oscurità l’assenza di chiarezza che ha regnato nella testa di coloro che hanno dato loro il mandato di scrivere queste norme. Loro non lo diranno, ma lo diciamo noi. Nella confusione, una cosa è chiara: l’accentramento a favore dello Stato a danno delle Regioni e, nello Stato, a favore dell’esecutivo a danno dei cittadini e della loro rappresentanza parlamentare. Orbene, noi della Costituzione abbiamo un’idea diversa: patto solenne che unisce un popolo sovrano che così sceglie come stare insieme in società. “Unisce”? Questa riforma non unisce ma divide. Non è una costituzione, ma una s-costituzione. “Popolo sovrano”?
Se questo pasticcio è il prodotto dei “tecnici”, noi diciamo che hanno trattato la Costituzione come una legge finanziaria o, meglio, come un Decreto milleproroghe qualunque: sono infatti formulati così. Quanto ai contenuti, come possono i “tecnici” non aver colto le contraddizioni dell’art. 5, noto perché su di esso si è prodotta una differenziazione nella maggioranza, poi rientrata. Riguarda la composizione del Senato e non si capisce se i senatori rappresenteranno le Regioni in quanto enti, i gruppi consiliari oppure le popolazioni; non si capisce poi se saranno effettivamente scelti dagli elettori o dai Consigli regionali. Saranno eletti – si scrive – dai Consigli regionali “In conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri”. Ma, se queste scelte saranno vincolanti, non ci sarà elezione ma, al più ratifica; se non saranno vincolanti, come si può parlare di “conformità”.
Un pasticcio dell’ultima ora che darà filo da torcere a che dovrà darne attuazione: parallele convergenti, quadratura del cerchio… Agli autorevoli fautori di norme come queste, citate qui a modo d’esempio chiediamo sommessamente: dite con parole vostre e con parole chiare che cosa avete voluto. (…) Questi tecnici non hanno dato il meglio di sé, forse perché hanno dovuto nascondere nell’oscurità l’assenza di chiarezza che ha regnato nella testa di coloro che hanno dato loro il mandato di scrivere queste norme. Loro non lo diranno, ma lo diciamo noi. Nella confusione, una cosa è chiara: l’accentramento a favore dello Stato a danno delle Regioni e, nello Stato, a favore dell’esecutivo a danno dei cittadini e della loro rappresentanza parlamentare. Orbene, noi della Costituzione abbiamo un’idea diversa: patto solenne che unisce un popolo sovrano che così sceglie come stare insieme in società. “Unisce”? Questa riforma non unisce ma divide. Non è una costituzione, ma una s-costituzione. “Popolo sovrano”?
Dov’è oggi svanita la sovranità, quella sovranità che
l’art. 1 della Costituzione pone nel popolo e che l’art. 11 autorizza bensì a
“limitare”, ma precisando le condizioni (la pace e la giustizia tra le Nazioni)
e vietando che sia dismessa e trasferita presso poteri opachi e irresponsabili?
È superfluo ripetere quello che da tutte le parti si riconosce: per molte
ragioni, il popolo sovrano è stato spodestato. Se manca la sovranità, cioè la
libertà di decidere da noi della nostra libertà, quella che chiamiamo
costituzione non più è tale.
Sarà, al più, uno strumento di governo di cui chi è al
potere si serve finché è utile e che si mette da parte quando non serve più. La
prassi è lì a dimostrare che proprio questo è stato l’atteggiamento
sfacciatamente strumentale degli ultimi anni: la Costituzione non è stata
sopra, ma sotto la politica e perciò è stata forzata e disattesa innumerevoli
volte nel silenzio compiacente della politica, della stampa, della scienza
costituzionale. Ora, la riforma non è altro che la codificazione di questa
perdita di sovranità. Apparentemente, la vicenda che stiamo vivendo è una
nostra vicenda. In realtà, chi la conduce lo fa in nome nostro ma, invero, per
conto d’altri che già hanno fatto il bello e il cattivo tempo nei Paesi
economicamente, politicamente e socialmente più deboli e s’apprestano a
continuare. Per questo, chiedono governi che non abbiano da dipendere dai
parlamenti e, ove sia il caso, dispongano di strumenti per mettere i
parlamenti, rappresentativi dei cittadini, nelle condizioni di non nuocere.
Seguiamo questa concatenazione: la Costituzione è
espressione della sovranità; se manca la sovranità, non c’è costituzione. La
Costituzione e il Diritto costituzionale, con la sedicente riforma
costituzionale, s’avviano a mantenere il nome, ma a perdere la cosa. L’impegno
per il No al referendum ha, nel profondo, questo significato: opporsi alla
perdita della nostra sovranità, difendere la nostra libertà. Post scriptum: C’è
poi ancora un altro argomento che, per la sua stupidità, abbiamo esitato a
inserire nella lista di quelli meritevoli d’essere presi in considerazione. È
già stato usato ed è destinato a essere ripetuto in misura proporzionale alla
sua insensatezza. Per questo, non lo ignoriamo semplicemente, come forse
meriterebbe, ma lo collochiamo alla fine, a parte.
15. Diranno: sarà divertente vedere dalla stessa parte un Brunetta e uno Zagrebelsky
Noi diciamo: non fate torto alla vostra intelligenza. Come non capire che si può essere in disaccordo, anche in disaccordo profondo, sulle politiche d’ogni giorno, ma concordare sulle regole costituzionali che devono garantire il corretto confronto tra le posizioni, cioè sulla democrazia? In verità, chi pensa di vedere in questa concordanza un motivo di divertimento, e non una seria ragione per dubitare circa il valore dei cambiamenti costituzionali in atto, non fa che confessare candidamente un suo retro-pensiero. Questo: che tra una Costituzione e una legge qualunque non c’è nessuna differenza essenziale; che, quindi, se sei in disaccordo politico con qualcuno, non puoi essere in accordo costituzionale con lui, perché tutto è politica e nulla è costituzione. A noi, questo, non sembra un modo di pensare rassicurante."
15. Diranno: sarà divertente vedere dalla stessa parte un Brunetta e uno Zagrebelsky
Noi diciamo: non fate torto alla vostra intelligenza. Come non capire che si può essere in disaccordo, anche in disaccordo profondo, sulle politiche d’ogni giorno, ma concordare sulle regole costituzionali che devono garantire il corretto confronto tra le posizioni, cioè sulla democrazia? In verità, chi pensa di vedere in questa concordanza un motivo di divertimento, e non una seria ragione per dubitare circa il valore dei cambiamenti costituzionali in atto, non fa che confessare candidamente un suo retro-pensiero. Questo: che tra una Costituzione e una legge qualunque non c’è nessuna differenza essenziale; che, quindi, se sei in disaccordo politico con qualcuno, non puoi essere in accordo costituzionale con lui, perché tutto è politica e nulla è costituzione. A noi, questo, non sembra un modo di pensare rassicurante."
(8 marzo 2016)