Dal libro “Matteo Renzi, il prezzo del potere ” di Davide Vecchi,
edito da Chiarelettere, dal 9 giugno in libreria, pubblichiamo alcuni
stralci del capitolo “Un premier al guinzaglio”
“Davvero avete intenzione di presentare la sfiducia anche in Senato?”. La sera del 17 dicembre 2015, Maria Elena Boschi è molto preoccupata: il mattino seguente l’aspetta il passaggio alla Camera della sfiducia nei suoi confronti, presentata dal Movimento 5 Stelle, per il caso Banca Etruria.
E se a Montecitorio i numeri dicono che ci sono buoni margini di
serenità, l’esito a Palazzo Madama è meno certo. Così la ministra
telefona a tutti i parlamentari con cui sa di poter avere un dialogo. I
risultati non devono essere quelli sperati visto che si spinge a
interpellare anche i “nemici” della Lega Nord che proprio alla Camera, insieme a Forza Italia, hanno presentato la sfiducia contro il governo annunciando la volontà di farlo anche al Senato.
Tre diversi deputati confermano di aver ricevuto la chiamata. Tutti
si dicono colpiti, non tanto dalla telefonata in sé, comunque inattesa e
non convenzionale, quanto dai contenuti. Perché, oltre alla
preoccupazione, la Boschi lascia involontariamente trapelare che la
maggioranza a Palazzo Madama è ballerina e che colui il quale è ritenuto l’alleato di ferro di Renzi in realtà lo tiene al guinzaglio.
“Non abbiamo ancora deciso ma pensiamo di sì”, risponde uno dei tre
leghisti contattati alla domanda riguardo alla sfiducia da presentare in
entrambe le Camere del Parlamento. “Ti dirò, io sono agitatissima e,
anzi, scusami se ti chiamo, ma non so davvero cosa aspettarmi già
domani, figurati in Senato”, ribatte il ministro. “Ma va, lì siete
blindati: avete i voti di Verdini”, riflette l’esponente del Carroccio, che poco dopo rimane colpito dalla risposta del ministro Boschi: “Appunto”. Il senatore ha alzato il prezzo.
Nel giugno 2015 Denis Verdini ha rotto definitivamente con Arcore e ha dato vita a un proprio movimento parlamentare – Ala, Alleanza Liberalpopolare-Autonomie – solo per fare da stampella all’amico di lunga data Matteo Renzi, che affettuosamente chiama “Matteuccio”. Un’iniziativa da “nuovi responsabili” alla Antonio Razzi e Domenico Scilipoti,
che avevano sostenuto il governo di Silvio nel 2011: un patto siglato
grazie alla mediazione, anche lì, di Verdini. Alla base del sostegno
all’attuale premier ci sono una serie di compromessi variabili, scanditi
da un do ut des costante e aggiornato continuamente a seconda dei
provvedimenti che l’esecutivo deve realizzare. E quando sul tavolo
arriva la portata delle banche, Verdini non si fa pregare per essere
invitato a sedere alla destra del capo. Del resto lui è stato per
vent’anni presidente del Credito cooperativo fiorentino, una cassaforte usata per scalare il partito di Berlusconi e per aiutare gli amici di Arcore, in primis Marcello Dell’Utri, ai quali ha consentito aperture di credito milionarie spesso senza garanzie. (…)
Quando il leader di Ala si trova a dover sostenere l’esecutivo per
difendere Boschi, scopre che la vicenda su cui dovrebbe dare sostegno è
pressappoco identica alla sua. (…) L’unica differenza tra ciò che è
accaduto a lui con il Credito cooperativo fiorentino e quello che è
successo a Pier Luigi Boschi sta – a suo avviso –
solamente nell’intervento del governo a favore della banca di cui fa
parte il padre della titolare del dicastero. Con l’aggravante, agli
occhi del leader di Ala, che il suo istituto al tempo era decisamente
sano rispetto alle condizioni in cui versa ora la Popolare dell’Etruria.
Quindi perché non chiedere qualcosa in cambio? (…) A fine dicembre
Renzi era sereno. Credeva di aver risolto il problema Etruria. Tanto che
il 29 dicembre (…) riceveva alcuni amici nel suo ufficio a Palazzo
Chigi.
C’era il sempre presente Luca Lotti, sbracato sulla
poltrona e con i piedi appoggiati sulla scrivania. C’erano anche alcuni
consiglieri della comunicazione, tra cui Pilade Cantini.
Si parlava di tutto. Anche di Etruria. La chiosa soddisfatta del capo
era più che chiara: “È andata”. (…) Pochi giorni dopo sui giornali
appare la notizia degli incontri tra Boschi senior e il faccendiere Flavio Carboni. Ne dà notizia Libero.
(…) Le certezze di Renzi si fanno meno granitiche. E i voti di Verdini
diventano indispensabili alla maggioranza. Già sulla riforma della
Carta. (…) La sera del 20 gennaio i voti favorevoli che appaiono sul
tabellone di Palazzo Madama sono 180: diciannove in più dei 161 della
maggioranza assoluta richiesta. I conti parlano chiaro: dai partiti di
governo arrivano 158 sì, un numero non sufficiente per l’approvazione.
Sono determinanti, dunque, i diciassette senatori del gruppo Ala di
Verdini.
Non passano neanche ventiquattr’ore dal voto che il premier
restituisce la cortesia affidando a tre senatori di Ala una poltrona di
vicepresidente di commissione parlamentare: Pietro Langella al Bilancio, Giuseppe Compagnone alla Difesa ed Eva Longo
alle Finanze. Il gruppo di Verdini entra, di fatto, nel governo. E il
27 gennaio, quando a Palazzo Madama arrivano le due mozioni di sfiducia
contro l’esecutivo per le vicende di Banca Etruria, Ala vota nuovamente
con la maggioranza.
La sintesi più calzante di quella che appare la definitiva
archiviazione dei guai legati a papà Boschi la regala al termine della
seduta il senatore Maurizio Gasparri, che rivolgendosi a
Verdini assicura: “Ora puoi andare anche a pranzo con Carboni: se ci
andavi con il centrodestra ti incriminavano per la P3, se vai con la famiglia Boschi sei un cacciatore di teste”.
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