giovedì 9 giugno 2016

Banca Etruria, Verdini alzò il prezzo per salvare il governo. E Boschi chiese voti alla Lega

Dal libro “Matteo Renzi, il prezzo del potere ” di Davide Vecchi, edito da Chiarelettere, dal 9 giugno in libreria, pubblichiamo alcuni stralci del capitolo “Un premier al guinzaglio”

“Davvero avete intenzione di presentare la sfiducia anche in Senato?”. La sera del 17 dicembre 2015, Maria Elena Boschi è molto preoccupata: il mattino seguente l’aspetta il passaggio alla Camera della sfiducia nei suoi confronti, presentata dal Movimento 5 Stelle, per il caso Banca Etruria. E se a Montecitorio i numeri dicono che ci sono buoni margini di serenità, l’esito a Palazzo Madama è meno certo. Così la ministra telefona a tutti i parlamentari con cui sa di poter avere un dialogo. I risultati non devono essere quelli sperati visto che si spinge a interpellare anche i “nemici” della Lega Nord che proprio alla Camera, insieme a Forza Italia, hanno presentato la sfiducia contro il governo annunciando la volontà di farlo anche al Senato.
Tre diversi deputati confermano di aver ricevuto la chiamata. Tutti si dicono colpiti, non tanto dalla telefonata in sé, comunque inattesa e non convenzionale, quanto dai contenuti. Perché, oltre alla preoccupazione, la Boschi lascia involontariamente trapelare che la maggioranza a Palazzo Madama è ballerina e che colui il quale è ritenuto l’alleato di ferro di Renzi in realtà lo tiene al guinzaglio.
“Non abbiamo ancora deciso ma pensiamo di sì”, risponde uno dei tre leghisti contattati alla domanda riguardo alla sfiducia da presentare in entrambe le Camere del Parlamento. “Ti dirò, io sono agitatissima e, anzi, scusami se ti chiamo, ma non so davvero cosa aspettarmi già domani, figurati in Senato”, ribatte il ministro. “Ma va, lì siete blindati: avete i voti di Verdini”, riflette l’esponente del Carroccio, che poco dopo rimane colpito dalla risposta del ministro Boschi: “Appunto”. Il senatore ha alzato il prezzo.
Nel giugno 2015 Denis Verdini ha rotto definitivamente con Arcore e ha dato vita a un proprio movimento parlamentare – Ala, Alleanza Liberalpopolare-Autonomie – solo per fare da stampella all’amico di lunga data Matteo Renzi, che affettuosamente chiama “Matteuccio”. Un’iniziativa da “nuovi responsabili” alla Antonio Razzi e Domenico Scilipoti, che avevano sostenuto il governo di Silvio nel 2011: un patto siglato grazie alla mediazione, anche lì, di Verdini. Alla base del sostegno all’attuale premier ci sono una serie di compromessi variabili, scanditi da un do ut des costante e aggiornato continuamente a seconda dei provvedimenti che l’esecutivo deve realizzare. E quando sul tavolo arriva la portata delle banche, Verdini non si fa pregare per essere invitato a sedere alla destra del capo. Del resto lui è stato per vent’anni presidente del Credito cooperativo fiorentino, una cassaforte usata per scalare il partito di Berlusconi e per aiutare gli amici di Arcore, in primis Marcello Dell’Utri, ai quali ha consentito aperture di credito milionarie spesso senza garanzie. (…)
Quando il leader di Ala si trova a dover sostenere l’esecutivo per difendere Boschi, scopre che la vicenda su cui dovrebbe dare sostegno è pressappoco identica alla sua. (…) L’unica differenza tra ciò che è accaduto a lui con il Credito cooperativo fiorentino e quello che è successo a Pier Luigi Boschi sta – a suo avviso – solamente nell’intervento del governo a favore della banca di cui fa parte il padre della titolare del dicastero. Con l’aggravante, agli occhi del leader di Ala, che il suo istituto al tempo era decisamente sano rispetto alle condizioni in cui versa ora la Popolare dell’Etruria. Quindi perché non chiedere qualcosa in cambio? (…) A fine dicembre Renzi era sereno. Credeva di aver risolto il problema Etruria. Tanto che il 29 dicembre (…) riceveva alcuni amici nel suo ufficio a Palazzo Chigi.
C’era il sempre presente Luca Lotti, sbracato sulla poltrona e con i piedi appoggiati sulla scrivania. C’erano anche alcuni consiglieri della comunicazione, tra cui Pilade Cantini. Si parlava di tutto. Anche di Etruria. La chiosa soddisfatta del capo era più che chiara: “È andata”. (…) Pochi giorni dopo sui giornali appare la notizia degli incontri tra Boschi senior e il faccendiere Flavio Carboni. Ne dà notizia Libero. (…) Le certezze di Renzi si fanno meno granitiche. E i voti di Verdini diventano indispensabili alla maggioranza. Già sulla riforma della Carta. (…) La sera del 20 gennaio i voti favorevoli che appaiono sul tabellone di Palazzo Madama sono 180: diciannove in più dei 161 della maggioranza assoluta richiesta. I conti parlano chiaro: dai partiti di governo arrivano 158 sì, un numero non sufficiente per l’approvazione. Sono determinanti, dunque, i diciassette senatori del gruppo Ala di Verdini.
Non passano neanche ventiquattr’ore dal voto che il premier restituisce la cortesia affidando a tre senatori di Ala una poltrona di vicepresidente di commissione parlamentare: Pietro Langella al Bilancio, Giuseppe Compagnone alla Difesa ed Eva Longo alle Finanze. Il gruppo di Verdini entra, di fatto, nel governo. E il 27 gennaio, quando a Palazzo Madama arrivano le due mozioni di sfiducia contro l’esecutivo per le vicende di Banca Etruria, Ala vota nuovamente con la maggioranza.
La sintesi più calzante di quella che appare la definitiva archiviazione dei guai legati a papà Boschi la regala al termine della seduta il senatore Maurizio Gasparri, che rivolgendosi a Verdini assicura: “Ora puoi andare anche a pranzo con Carboni: se ci andavi con il centrodestra ti incriminavano per la P3, se vai con la famiglia Boschi sei un cacciatore di teste”.




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