Il risultato del
referendum brexit nel Regno Unito appare
come un evidente rifiuto dell'economia reale e delle fasce sociali più deboli
verso una pericolosa e irrefrenabile deriva finanziaria assurta a governo. In altre parole si potrebbe affermare che,
tirando troppo la corda, arriva il momento che anche i sudditi si ribellano.
L'evento lo reputo personalmente positivo, almeno per l'avvio di un sano ripensamento delle politiche locali e internazionali, che dovrebbe indurre le classi dirigenti dei diversi paesi a delle analisi che tengano conto dello status di tutti i livelli della società.
Il revisionismo politico obbligato e una profonda ponderazione dei parametri economici delle diverse realtà che convivono in una globalizzazione oggi strabica, per non dire miope, dovrebbe portare ad immaginare soluzioni innovative che riescano a meglio mediare gli interessi contrapposti; magari tutelando i soggetti meno attrezzati, siano essi poveri o ricchi (economicamente e/o culturalmente), che comunque hanno una funzione importante nell'intero ingranaggio.
Nel modello capitalistico che predomina negli equilibri mondiali anche il ruolo degli ultimi resta infatti fondamentale e l'avanzare della povertà nelle società con le economie più sviluppate che, come un buco nero, oggi attrae a se le classi medie, desertifica sempre più i mercati, vanificando prospettive di ripresa per una crescita futura.
Una inadeguata liberistica distribuzione del reddito poi, volta sempre più ad accrescere le ricchezze di pochi, non costituisce un volano alla ripresa e tantomeno ravviva la catena consumistica che sta alla base di un benessere socioeconomico diffuso. Ma tutto nasce da lontano.
Nei miei ricordi, tutto questo mi fa venire alla mente un vecchio direttore che mostrava il suo entusiasmo nel mutamento strategico del sistema bancario. Erano i tempi in cui gli istituti di credito si andavano sviluppando sempre più in “servizi” e affinavano un’indole speculativa nel comparto finanziario.
Nelle limitate esperienze e variegate conoscenze professionali, al tempo ero fra i pochi che avevano idee controcorrente, da sempre convinto che il sistema bancario fosse principalmente deputato alla sua mission naturale di raccolta e custodia del risparmio ed all'erogazione degli impieghi, senza troppo allontanarsi dai criteri della “sana e prudente gestione”. I miei fondamenti si basavano del resto, allora come ora, sui vecchi elementari principi giuridici del "buon padre di famiglia" che, fino a qualche tempo ma non più oggi, hanno ispirato l'intera giurisprudenza. Del resto, fino ad allora, solo attraverso equilibrio, oculatezza e tempestività d'intervento si era riuscito a mantenere solido e a dare stabilità all’intero sistema.
In men che non si dica il mondo della finanza creativa accelerò l’evoluzione; si affinarono le gestioni dei portafogli finanziari e sempre meno ostacoli furono posti alla cogestione del sistema banche-imprese.
Parallelamente, attraverso larghe maglie, che alla lunga hanno agevolato l'accorpamento di conflitti di interessi tra affidanti e affidati (e non solo attraverso il cumulo di cariche di stessi consiglieri e sindaci, spesso anche in realtà concorrenti se non contrapposte), si andavano confondendo le politiche amministrative della raccolta con la gestione del credito.
Tanti cartelli occulti cominciarono progressivamente a porre in essere politiche gestionali devianti e per il loro mantenimento iniziarono a tartassare uniformemente i risparmiatori e a vessare sempre più i prenditori di prima istanza che non vantassero aderenze/conoscenze "qualificate" (applicazioni di balzelli e commissioni varie nelle forme di raccolta e nei servizi, di libere discrezionali commissioni di massimo scoperto che andavano a penalizzare e appesantire le posizioni creditizie incagliate, per non parlare dell'anatocismo, ecc…. ). In tutto questo, normative aggiornate modificavano o introducevano regole che rendevano le politiche gestionali sempre più elastiche e permissive.
Il massimo si è poi avuto con il boom della commercializzazione selvaggia di prodotti finanziari strutturati, il così detto mercato dei prodotti derivati.
Anche qui ricordo di aver vissuto in prima linea il tempo dell'avventurosa vigilanza attuata con improvvisazioni e dogmatici fideismi. Risultava molto complesso il compito di vivisezionare fino in fondo ed anatomicamente un prodotto finanziario derivato che andasse più in là di tanti swaps. Nei primi tempi si andava in ispezione coinvolgendo il responsabile di settore che, davanti a tanti monitors variopinti e velocemente mutevoli, si glorificava indicando le performances strabilianti, senza però mai soffermarsi sulle perdite certe. In tutto questo chi operava era comunque il solo a vedere, tutt'al più l'ispettore osservava incuriosito le tante lucette azzurre, verdi, rosse e gialle del fantasmagorico e mutevole luna park. In genere il consiglio che si dà sempre ad un ignorante è che: se non capisci stai zitto, così ci fai più bella figura.
Dopo qualche impasse la vigilanza si avviò a porre rimedio; furono avviati corsi di formazione per gli addetti alle analisi cartolari e al corpo ispettivo, ma i ritardi avevano intanto dato molto vantaggio alle lepri malate che avevano invaso, proliferandosi talvolta a dismisura, il mercato.
Anche se il sistema dei controlli si era pure “evoluto”, già abbondava troppo in indici e prospetti di analisi cartolare che prendevano per buone le segnalazioni dei dati di flusso; in ciò, aumentando sempre più il rischio di allontanarsi pericolosamente dalla veridicità dei dati elementari di base e quindi, talvolta, anche dalle realtà vere.
Ma il sistema Italia di allora godeva di ampi margini di manovra e la possibilità di attuare, a sua volta, una vigilanza creativa. Ad esempio, nel versante del credito ad un certo punto, per far fronte al proliferare della partite anomale, vennero saggiamente introdotte le “ristrutturate”; un felice intervento che risultò salutare per le imprese non decotte, consentendo all’imprenditoria con prospettive di ripresa di poter rinegoziare condizioni e di concordare con gli enti eroganti piani di rientro percorribili. Parallelamente, per rimediare a sconquassi gestionali, spesso pure aggravati da tante conclamate sofferenze furono facilitate fusioni e incorporazioni bancarie, con assorbimenti completi delle poste attive e passive di bilancio e beneficiando degli avviamenti insiti nelle inglobate.
Una ulteriore nuova azione fu anche quella di creare ad hoc cartolarizzazioni di impieghi immobilizzati classificati a sofferenza (con ciò spostando le azioni di recupero verso società esterne, parallele o create allo scopo); dette operazioni, però, furono spesso realizzate assumendo valori di bilancio non sempre certificati ovvero adeguatamente rettificati circa le previsioni di perdita (realistiche percentuali di recupero). Con dette operazioni si differivano al futuro i margini di rientri e si ripuliva la bontà degli attivi, assicurando alle banche nuova liquidità e ai negoziatori delle complesse cartolarizzazioni lauti guadagni con rientri economici certi.
Tutto questo, in qualche modo, fece da corollario al mondo della finanza innovativa e il non assecondarla significava dichiararsi retrò, inadeguato e poco moderno.
È da chiedersi quanta di questa spazzatura cartolarizzata venne pure inclusa nei fantasiosi e complessi strumenti derivati, offerti come prodotti sicuri ad una improbabile categoria di investitori.
In questo, con particolari poste di bilancio, anche lo Stato italiano ebbe a ricorrere a complesse coperture finanziarie, attuando sofisticati escamotages contabili di copertura (swaps e quant’altro) per stelirizzare/attenuare rischi.
In questi scenari, con una classe politica sempre più arrembante, spesso incompetente e sempre più invadente, sono però risultate inefficaci ed ambigue le nuove regole per la verifica dei “requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza degli esponenti aziendali”. L'avvento delle fondazioni bancarie, poi, affollate anche da politicanti di ritorno ha ulteriormente opacizzato i ruoli, non assicurando nell'operato neanche una adeguata trasparenza gestionale. In tutto questo non possono esser tenuti fuori da responsabilità, ciascuno per i propri specifici compiti, gli organismi istituzionali chiamati a legiferare e a vigilare sulla loro piena osservanza; e non ci si riferisce soltanto agli organi interni delle realtà economico-finanziarie (consiglieri, sindaci ed altri organismi di controllo) ma alle negligenze, alle sufficienze, alle miopie amministrative e alle “autoreferenzialità” di tutti quanti gli organismi istituzionali superiori (legislativi, governativi, della stessa Banca d’Italia, della Consob e compagnia dicendo).
Di questo scenario si sono ben presto raccolti e si raccolgono tuttora i frutti e in tutto ciò anche le regole comunitarie parametrate su livelli distanti dalle nostre realtà si sono rivelate insufficienti.
Del resto in Italia, come già accennato, in passato spesso era lo stesso sistema economico-finanziario che svolgeva il compito di ammortizzatore, assorbendo nel proprio interno le problematiche più gravi e le realtà economiche in default (anche se talvolta con l’aiuto di provvedimenti legislativi o di specifici interventi mirati); le nuove regole comunitarie applicate tout court, come la recente sciagurata e superficiale ratifica del “bail in” e non solo essa, hanno evidenziato le inevitabili inadeguatezze e comportato gravi sconquassi e squilibri nel mondo del credito e del risparmio “domestico” in particolare.
La carenza di analisi dell’attività di vigilanza scontava intanto il fatto di aver retrocesso (ponendola in subordine) l’attività ispettiva, attraverso una più vasta metodica di analisi cartolare prioritaria e d'indirizzo rivelatasi in molti casi insufficiente e intempestiva. Peraltro, già da qualche tempo e sempre più di frequente, risultanze ispettive chiare ed evidenti non producevano le conseguenze amministrative necessarie (leggi ad esempio la cronaca che racconta dei ripetuti rilievi contestati a conclusione di vari accertamenti agli esponenti della Popolare di Vicenza ed altri casi pressochè analoghi).
L'avvento di nuove regole comunitarie non hanno peraltro precluso trascuratezza e superficialità nella gestione delle tante richieste di ricapitalizzazioni bancarie (avvenute anche attraverso collocazioni di prestiti subordinati ad alto rischio a investitori impropri); così pure per i conclamati patologici aumenti di capitale attuati nelle banche popolari (realizzati attraverso diversi stratagemmi ultranoti alla vigilanza ispettiva) che hanno consentito di dopare i valori di mercato delle azioni e fatto si che pseudoinvestitori, esponenti, dirigenti e soggetti a latere non adeguatamente vigilati avessero illecite opportunità (come si suol dire dalle mie parti, di poter fare carne di porco dell’azionariato e degli attivi bancari).
A tal proposito, proprio per le Banche Popolari, i media riferiscono di ricapitalizzazioni "baciate" in atto già dal 2008 e realizzate attraverso vendite in quotaparte di pacchetti di azioni della stessa popolare erogante ai richiedenti i fidi; con ciò si aumentavano artificiosamente le valorizzazioni azionarie, facendone pure oggetto di speculazione intrinseca resa sicura a pochi e di una vasta serie inaudita di fidi clientelari concentrati e deliberati con metodi “familistici e/o consociativi” (a prescindere spesso da qualsiasi merito creditizio), mettendo così a rischio i patrimoni aziendali.
Più in generale poi, gettoni di presenza, rimborsi spese, fatturazioni di strane consulenze e sempre più spropositati compensi e bonus a menagers e dirigenti, associati alla gestione del credito anzidetta hanno fatto di un’ampia fascia delle banche italiane terra di conquista, mettendo in crisi quello che era una volta la declamata stabilità dell'intero sistema.
I casi del Montepaschi, Banco di Credito Fiorentino, Banca Popolare di Vicenza, Banca Etruria e così via dicendo sono oggi sotto gli occhi di tutti. Con essi, le malefatte dei relativi esponenti e beneficiati, da un lato, e le tristi vicende della massa di depositanti divenuti investitori “a loro insaputa”, dall’altro, che sono rimasti defraudati dei loro risparmi. La magistratura chiamata in causa cerca di trovare responsabili e colpevoli in un quadro giuridico che registra continue depenalizzazioni di reati e sempre più repentine prescrizioni.
Attese le variegate peculiarità italiane, quindi, l’integrazione dell’Italia alle regole europee in tema di vigilanza bancaria sembrerebbe non aver giovato più di tanto.
Con l'aggravante che, secondo il principio di negare al libero mercato gli aiuti di stato, sono venute meno, alle istituzioni politiche nazionali (MEF, compresi gli organi istituzionali di controllo e gestione del credito), diversamente che in passato, le possibilità di attuare stratagemmi autonomi ed estemporanei per far fronte a specifiche crisi contingenti.
Da quasi dieci anni ho voltato pagina e abbandonato quello che per me era l'appassionante mondo delle banche. Immagino che dai miei tempi saranno state tante le innovazioni introdotte e che ciò avrà ristretto sempre più a pochi i criteri di analisi del credito e del risparmio. È anche vero che molte nuove intelligenze hanno affinato i prodotti e i sistemi di controllo. E' certo però un fatto e per entrambi i versanti contrapposti (sistema economico-finanziario ed organismi preposti alla vigilanza), che persistono tante falle e punti oscuri che non possono relegare a soli retaggi arcaici e storici i vecchi principi in economia della "sana e prudente gestione" ed i saggi criteri giurisprudenziali "del buon padre di famiglia".
In conclusione il Brexit britannico lo leggo oggi come quella vecchia canzone di Rabagliati che cantava "...... è primavera, svegliatevi bambine .....". Ecco, io rivolgerei il canto ai governanti dei ventisette paesi rimasti ancora nell'Unione, auspicando un sano risveglio ed una pronta ripresa di coscenza.
L'evento lo reputo personalmente positivo, almeno per l'avvio di un sano ripensamento delle politiche locali e internazionali, che dovrebbe indurre le classi dirigenti dei diversi paesi a delle analisi che tengano conto dello status di tutti i livelli della società.
Il revisionismo politico obbligato e una profonda ponderazione dei parametri economici delle diverse realtà che convivono in una globalizzazione oggi strabica, per non dire miope, dovrebbe portare ad immaginare soluzioni innovative che riescano a meglio mediare gli interessi contrapposti; magari tutelando i soggetti meno attrezzati, siano essi poveri o ricchi (economicamente e/o culturalmente), che comunque hanno una funzione importante nell'intero ingranaggio.
Nel modello capitalistico che predomina negli equilibri mondiali anche il ruolo degli ultimi resta infatti fondamentale e l'avanzare della povertà nelle società con le economie più sviluppate che, come un buco nero, oggi attrae a se le classi medie, desertifica sempre più i mercati, vanificando prospettive di ripresa per una crescita futura.
Una inadeguata liberistica distribuzione del reddito poi, volta sempre più ad accrescere le ricchezze di pochi, non costituisce un volano alla ripresa e tantomeno ravviva la catena consumistica che sta alla base di un benessere socioeconomico diffuso. Ma tutto nasce da lontano.
Nei miei ricordi, tutto questo mi fa venire alla mente un vecchio direttore che mostrava il suo entusiasmo nel mutamento strategico del sistema bancario. Erano i tempi in cui gli istituti di credito si andavano sviluppando sempre più in “servizi” e affinavano un’indole speculativa nel comparto finanziario.
Nelle limitate esperienze e variegate conoscenze professionali, al tempo ero fra i pochi che avevano idee controcorrente, da sempre convinto che il sistema bancario fosse principalmente deputato alla sua mission naturale di raccolta e custodia del risparmio ed all'erogazione degli impieghi, senza troppo allontanarsi dai criteri della “sana e prudente gestione”. I miei fondamenti si basavano del resto, allora come ora, sui vecchi elementari principi giuridici del "buon padre di famiglia" che, fino a qualche tempo ma non più oggi, hanno ispirato l'intera giurisprudenza. Del resto, fino ad allora, solo attraverso equilibrio, oculatezza e tempestività d'intervento si era riuscito a mantenere solido e a dare stabilità all’intero sistema.
In men che non si dica il mondo della finanza creativa accelerò l’evoluzione; si affinarono le gestioni dei portafogli finanziari e sempre meno ostacoli furono posti alla cogestione del sistema banche-imprese.
Parallelamente, attraverso larghe maglie, che alla lunga hanno agevolato l'accorpamento di conflitti di interessi tra affidanti e affidati (e non solo attraverso il cumulo di cariche di stessi consiglieri e sindaci, spesso anche in realtà concorrenti se non contrapposte), si andavano confondendo le politiche amministrative della raccolta con la gestione del credito.
Tanti cartelli occulti cominciarono progressivamente a porre in essere politiche gestionali devianti e per il loro mantenimento iniziarono a tartassare uniformemente i risparmiatori e a vessare sempre più i prenditori di prima istanza che non vantassero aderenze/conoscenze "qualificate" (applicazioni di balzelli e commissioni varie nelle forme di raccolta e nei servizi, di libere discrezionali commissioni di massimo scoperto che andavano a penalizzare e appesantire le posizioni creditizie incagliate, per non parlare dell'anatocismo, ecc…. ). In tutto questo, normative aggiornate modificavano o introducevano regole che rendevano le politiche gestionali sempre più elastiche e permissive.
Il massimo si è poi avuto con il boom della commercializzazione selvaggia di prodotti finanziari strutturati, il così detto mercato dei prodotti derivati.
Anche qui ricordo di aver vissuto in prima linea il tempo dell'avventurosa vigilanza attuata con improvvisazioni e dogmatici fideismi. Risultava molto complesso il compito di vivisezionare fino in fondo ed anatomicamente un prodotto finanziario derivato che andasse più in là di tanti swaps. Nei primi tempi si andava in ispezione coinvolgendo il responsabile di settore che, davanti a tanti monitors variopinti e velocemente mutevoli, si glorificava indicando le performances strabilianti, senza però mai soffermarsi sulle perdite certe. In tutto questo chi operava era comunque il solo a vedere, tutt'al più l'ispettore osservava incuriosito le tante lucette azzurre, verdi, rosse e gialle del fantasmagorico e mutevole luna park. In genere il consiglio che si dà sempre ad un ignorante è che: se non capisci stai zitto, così ci fai più bella figura.
Dopo qualche impasse la vigilanza si avviò a porre rimedio; furono avviati corsi di formazione per gli addetti alle analisi cartolari e al corpo ispettivo, ma i ritardi avevano intanto dato molto vantaggio alle lepri malate che avevano invaso, proliferandosi talvolta a dismisura, il mercato.
Anche se il sistema dei controlli si era pure “evoluto”, già abbondava troppo in indici e prospetti di analisi cartolare che prendevano per buone le segnalazioni dei dati di flusso; in ciò, aumentando sempre più il rischio di allontanarsi pericolosamente dalla veridicità dei dati elementari di base e quindi, talvolta, anche dalle realtà vere.
Ma il sistema Italia di allora godeva di ampi margini di manovra e la possibilità di attuare, a sua volta, una vigilanza creativa. Ad esempio, nel versante del credito ad un certo punto, per far fronte al proliferare della partite anomale, vennero saggiamente introdotte le “ristrutturate”; un felice intervento che risultò salutare per le imprese non decotte, consentendo all’imprenditoria con prospettive di ripresa di poter rinegoziare condizioni e di concordare con gli enti eroganti piani di rientro percorribili. Parallelamente, per rimediare a sconquassi gestionali, spesso pure aggravati da tante conclamate sofferenze furono facilitate fusioni e incorporazioni bancarie, con assorbimenti completi delle poste attive e passive di bilancio e beneficiando degli avviamenti insiti nelle inglobate.
Una ulteriore nuova azione fu anche quella di creare ad hoc cartolarizzazioni di impieghi immobilizzati classificati a sofferenza (con ciò spostando le azioni di recupero verso società esterne, parallele o create allo scopo); dette operazioni, però, furono spesso realizzate assumendo valori di bilancio non sempre certificati ovvero adeguatamente rettificati circa le previsioni di perdita (realistiche percentuali di recupero). Con dette operazioni si differivano al futuro i margini di rientri e si ripuliva la bontà degli attivi, assicurando alle banche nuova liquidità e ai negoziatori delle complesse cartolarizzazioni lauti guadagni con rientri economici certi.
Tutto questo, in qualche modo, fece da corollario al mondo della finanza innovativa e il non assecondarla significava dichiararsi retrò, inadeguato e poco moderno.
È da chiedersi quanta di questa spazzatura cartolarizzata venne pure inclusa nei fantasiosi e complessi strumenti derivati, offerti come prodotti sicuri ad una improbabile categoria di investitori.
In questo, con particolari poste di bilancio, anche lo Stato italiano ebbe a ricorrere a complesse coperture finanziarie, attuando sofisticati escamotages contabili di copertura (swaps e quant’altro) per stelirizzare/attenuare rischi.
In questi scenari, con una classe politica sempre più arrembante, spesso incompetente e sempre più invadente, sono però risultate inefficaci ed ambigue le nuove regole per la verifica dei “requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza degli esponenti aziendali”. L'avvento delle fondazioni bancarie, poi, affollate anche da politicanti di ritorno ha ulteriormente opacizzato i ruoli, non assicurando nell'operato neanche una adeguata trasparenza gestionale. In tutto questo non possono esser tenuti fuori da responsabilità, ciascuno per i propri specifici compiti, gli organismi istituzionali chiamati a legiferare e a vigilare sulla loro piena osservanza; e non ci si riferisce soltanto agli organi interni delle realtà economico-finanziarie (consiglieri, sindaci ed altri organismi di controllo) ma alle negligenze, alle sufficienze, alle miopie amministrative e alle “autoreferenzialità” di tutti quanti gli organismi istituzionali superiori (legislativi, governativi, della stessa Banca d’Italia, della Consob e compagnia dicendo).
Di questo scenario si sono ben presto raccolti e si raccolgono tuttora i frutti e in tutto ciò anche le regole comunitarie parametrate su livelli distanti dalle nostre realtà si sono rivelate insufficienti.
Del resto in Italia, come già accennato, in passato spesso era lo stesso sistema economico-finanziario che svolgeva il compito di ammortizzatore, assorbendo nel proprio interno le problematiche più gravi e le realtà economiche in default (anche se talvolta con l’aiuto di provvedimenti legislativi o di specifici interventi mirati); le nuove regole comunitarie applicate tout court, come la recente sciagurata e superficiale ratifica del “bail in” e non solo essa, hanno evidenziato le inevitabili inadeguatezze e comportato gravi sconquassi e squilibri nel mondo del credito e del risparmio “domestico” in particolare.
La carenza di analisi dell’attività di vigilanza scontava intanto il fatto di aver retrocesso (ponendola in subordine) l’attività ispettiva, attraverso una più vasta metodica di analisi cartolare prioritaria e d'indirizzo rivelatasi in molti casi insufficiente e intempestiva. Peraltro, già da qualche tempo e sempre più di frequente, risultanze ispettive chiare ed evidenti non producevano le conseguenze amministrative necessarie (leggi ad esempio la cronaca che racconta dei ripetuti rilievi contestati a conclusione di vari accertamenti agli esponenti della Popolare di Vicenza ed altri casi pressochè analoghi).
L'avvento di nuove regole comunitarie non hanno peraltro precluso trascuratezza e superficialità nella gestione delle tante richieste di ricapitalizzazioni bancarie (avvenute anche attraverso collocazioni di prestiti subordinati ad alto rischio a investitori impropri); così pure per i conclamati patologici aumenti di capitale attuati nelle banche popolari (realizzati attraverso diversi stratagemmi ultranoti alla vigilanza ispettiva) che hanno consentito di dopare i valori di mercato delle azioni e fatto si che pseudoinvestitori, esponenti, dirigenti e soggetti a latere non adeguatamente vigilati avessero illecite opportunità (come si suol dire dalle mie parti, di poter fare carne di porco dell’azionariato e degli attivi bancari).
A tal proposito, proprio per le Banche Popolari, i media riferiscono di ricapitalizzazioni "baciate" in atto già dal 2008 e realizzate attraverso vendite in quotaparte di pacchetti di azioni della stessa popolare erogante ai richiedenti i fidi; con ciò si aumentavano artificiosamente le valorizzazioni azionarie, facendone pure oggetto di speculazione intrinseca resa sicura a pochi e di una vasta serie inaudita di fidi clientelari concentrati e deliberati con metodi “familistici e/o consociativi” (a prescindere spesso da qualsiasi merito creditizio), mettendo così a rischio i patrimoni aziendali.
Più in generale poi, gettoni di presenza, rimborsi spese, fatturazioni di strane consulenze e sempre più spropositati compensi e bonus a menagers e dirigenti, associati alla gestione del credito anzidetta hanno fatto di un’ampia fascia delle banche italiane terra di conquista, mettendo in crisi quello che era una volta la declamata stabilità dell'intero sistema.
I casi del Montepaschi, Banco di Credito Fiorentino, Banca Popolare di Vicenza, Banca Etruria e così via dicendo sono oggi sotto gli occhi di tutti. Con essi, le malefatte dei relativi esponenti e beneficiati, da un lato, e le tristi vicende della massa di depositanti divenuti investitori “a loro insaputa”, dall’altro, che sono rimasti defraudati dei loro risparmi. La magistratura chiamata in causa cerca di trovare responsabili e colpevoli in un quadro giuridico che registra continue depenalizzazioni di reati e sempre più repentine prescrizioni.
Attese le variegate peculiarità italiane, quindi, l’integrazione dell’Italia alle regole europee in tema di vigilanza bancaria sembrerebbe non aver giovato più di tanto.
Con l'aggravante che, secondo il principio di negare al libero mercato gli aiuti di stato, sono venute meno, alle istituzioni politiche nazionali (MEF, compresi gli organi istituzionali di controllo e gestione del credito), diversamente che in passato, le possibilità di attuare stratagemmi autonomi ed estemporanei per far fronte a specifiche crisi contingenti.
Da quasi dieci anni ho voltato pagina e abbandonato quello che per me era l'appassionante mondo delle banche. Immagino che dai miei tempi saranno state tante le innovazioni introdotte e che ciò avrà ristretto sempre più a pochi i criteri di analisi del credito e del risparmio. È anche vero che molte nuove intelligenze hanno affinato i prodotti e i sistemi di controllo. E' certo però un fatto e per entrambi i versanti contrapposti (sistema economico-finanziario ed organismi preposti alla vigilanza), che persistono tante falle e punti oscuri che non possono relegare a soli retaggi arcaici e storici i vecchi principi in economia della "sana e prudente gestione" ed i saggi criteri giurisprudenziali "del buon padre di famiglia".
In conclusione il Brexit britannico lo leggo oggi come quella vecchia canzone di Rabagliati che cantava "...... è primavera, svegliatevi bambine .....". Ecco, io rivolgerei il canto ai governanti dei ventisette paesi rimasti ancora nell'Unione, auspicando un sano risveglio ed una pronta ripresa di coscenza.
© ESSEC
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