Il Cardinal Biffi in un suo recente libro, Ubi fides ibi libertas,
scrive che “Dio ha senso dell’umorismo”. Sarà, ma se c’è si tratta di
un ‘humour nero’. Il grande poeta argentino Jorge Luis Borges per il
quale leggere e scrivere era fondamentale lo ha reso cieco e proprio nel
momento in cui era diventato direttore della Biblioteca di Buenos
Aires. Scrive Borges: “Nessuno umili a lagrima o rimbrotto la
confessione della maestria di Dio che con magnifica ironia mi diede
insieme i volumi e la notte”. Se voleva proprio fargli qualche
scherzetto poteva appioppargli quello reso a Eric Clapton che per una
misteriosa malattia ha perso la sensibilità delle dita che a Borges
serviva molto meno. E a Borges dare la malattia di Clapton che della
vista ha meno bisogno. Galileo la cui passione era osservare il
firmamento e le stelle (oggi non potrebbe più perché le luci delle città
hanno oscurato il cielo) lo rese cieco. Beethoven, forse il più grande
musicista di tutti i tempi, divenne sordo per cui è l’unico ha non aver
potuto ascoltare la Nona di cui l’anarchico Bakunin disse “abbatteremo
la borghesia e la sua cultura, ma la Nona di Beethoven la salveremo”. Il
più modesto Fogar che aveva il mito dell’avventura e del movimento Dio
l’ha paralizzato. Naturalmente questo non è che un florilegio di
accidenti capitati a personaggi famosi ma di scherzetti del genere il
Dio ‘misericordioso’ ne fa ogni giorno a milioni di persone.
Baudelaire
afferma che “l’unica scusante di Dio è di non esistere”. Non riesco
veramente a capire come si possa pensare a un Dio ‘misericordioso’, così
frequentemente invocato e richiamato da Papa Francesco. Basta guardarsi
attorno. E’ più comprensibile Jahvè, il Dio punitivo degli ebrei che
impose al padre di Isacco, per provarne la fede, di uccidere il figlio.
Poi le cose andarono diversamente perché quello di Jahvè era solo,
diremmo oggi, “uno scherzo da prete”.
Ma
in realtà Dio non c’entra. E’ solo un’invenzione degli uomini per
lenire la propria angoscia di morte. E’ la vita ad essere crudele.
Quando siamo giovani la pensiamo come una “meravigliosa avventura” per
dirla con le parole di una pubblicità che passa in questi mesi sui
nostri teleschermi (non è il mio caso: io ho sempre provato un
indicibile orrore per il futuro) ma più si invecchia e ci si avvicina
alla morte più si comprende quale sia la sua autentica natura. E’ quanto
aveva capito Menandro fin dal III secolo a. C quando afferma,
scandalizzando noi moderni, che “caro agli Dei è chi muore giovane”.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 17 giugno 2016)
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