sabato 18 giugno 2016

L'humour nero di Dio

 
Il Cardinal Biffi in un suo recente libro, Ubi fides ibi libertas, scrive che “Dio ha senso dell’umorismo”. Sarà, ma se c’è si tratta di un ‘humour nero’. Il grande poeta argentino Jorge Luis Borges per il quale leggere e scrivere era fondamentale lo ha reso cieco e proprio nel momento in cui era diventato direttore della Biblioteca di Buenos Aires. Scrive Borges: “Nessuno umili a lagrima o rimbrotto la confessione della maestria di Dio che con magnifica ironia mi diede insieme i volumi e la notte”. Se voleva proprio fargli qualche scherzetto poteva appioppargli quello reso a Eric Clapton che per una misteriosa malattia ha perso la sensibilità delle dita che a Borges serviva molto meno. E a Borges dare la malattia di Clapton che della vista ha meno bisogno. Galileo la cui passione era osservare il firmamento e le stelle (oggi non potrebbe più perché le luci delle città hanno oscurato il cielo) lo rese cieco. Beethoven, forse il più grande musicista di tutti i tempi, divenne sordo per cui è l’unico ha non aver potuto ascoltare la Nona di cui l’anarchico Bakunin disse “abbatteremo la borghesia e la sua cultura, ma la Nona di Beethoven la salveremo”. Il più modesto Fogar che aveva il mito dell’avventura e del movimento Dio l’ha paralizzato. Naturalmente questo non è che un florilegio di accidenti capitati a personaggi famosi ma di scherzetti del genere il Dio ‘misericordioso’ ne fa ogni giorno a milioni di persone.
Baudelaire afferma che “l’unica scusante di Dio è di non esistere”. Non riesco veramente a capire come si possa pensare a un Dio ‘misericordioso’, così frequentemente invocato e richiamato da Papa Francesco. Basta guardarsi attorno. E’ più comprensibile Jahvè, il Dio punitivo degli ebrei che impose al padre di Isacco, per provarne la fede, di uccidere il figlio. Poi le cose andarono diversamente perché quello di Jahvè era solo, diremmo oggi, “uno scherzo da prete”.
Ma in realtà Dio non c’entra. E’ solo un’invenzione degli uomini per lenire la propria angoscia di morte. E’ la vita ad essere crudele. Quando siamo giovani la pensiamo come una “meravigliosa avventura” per dirla con le parole di una pubblicità che passa in questi mesi sui nostri teleschermi (non è il mio caso: io ho sempre provato un indicibile orrore per il futuro) ma più si invecchia e ci si avvicina alla morte più si comprende quale sia la sua autentica natura. E’ quanto aveva capito Menandro fin dal III secolo a. C quando afferma, scandalizzando noi moderni, che “caro agli Dei è chi muore giovane”.



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