giovedì 16 giugno 2016

Matteo Renzi. Il prezzo del potere – La sua ascesa con strategie da House of Cards. I casi, da Letta a Pistelli e Mattei



Cinico, freddo, capace di abbandonare gli uomini che ne hanno fatto la fortuna. L’ascesa al soglio governativo di Matteo Renzi e la sua permanenza a Palazzo Chigi è costellata di “omicidi” politici e sotterfugi da far concorrenza al Frank Underwood di House of Cards. Ma questa è realtà. Il libro di Davide Vecchi, giornalista del Fatto, edito da Chiarelettere in libreria dal 9 giugno “Matteo Renzi. Il prezzo del potere” racconta l’attuale premier attraverso la ricostruzione di vicende finora inedite che hanno segnato l’ascesa dell’ex boy scout. I favori ricevuti e le “cambiali” onorate. I soldi ricevuti dalle sue fondazioni ed elargiti da personaggi inquietanti come Salvatore Buzzi, il “ragioniere” di Mafia Capitale. Le intercettazioni tra gli uomini del giglio magico, in particolare Luca Lotti, e i vertici delle forze dell’ordine, come il generale della Guardia di Finanza Michele Adinolfi.

Pubblichiamo nelle pagine seguenti alcuni stralci del libro di Vecchi a proposito di promesse disattese: a partire dal caso più noto, quello di Enrico Letta sostituito a Palazzo Chigi. Poi quello del “consigliere punito” Giuliano Da Empoli, e ancora la storia del mancato ministro degli Esteri Lapo Pistelli. E, infine, l’incredibile spy-story dell’ex assessore di Renzi Massimo Mattei.


NAPOLITANO E IL NO DI LETTA

Il 12 febbraio 2014, a Palazzo Chigi, Letta riceve Renzi. «Io da te voglio chiarezza, vuoi il mio posto? Bene, è tuo, accomodati, ma prenditelo alla luce del sole» intima il premier, che poi gira i tacchi e va a illustrare in conferenza stampa i punti principali del «patto di coalizione Impegno Italia» da proporre ai partiti di maggioranza per rilanciare l’azione dell’esecutivo. Sa benissimo che il suo governo non ha alcun futuro ma, appunto, vuole mostrarsi vivo davanti al nemico, un modo per intervenire al duello e dire: «Io ci sono, aspetto che anche tu abbia il coraggio di presentarti davanti a tutti». Renzi non si fa pregare e lo accontenta il giorno successivo, ma anche in questo caso non agisce direttamente e si fa schermo del Pd.

Il 13 febbraio la direzione nazionale del Partito democratico approva con 136 sì (16 no e 2 astenuti) una mozione proposta dal segretario in cui si chiedono le dimissioni di Letta e la formazione di un nuovo governo. La stessa direzione approva la nascita di un nuovo esecutivo guidato da Renzi. E così il sindaco di Firenze mette all’angolo anche Napolitano: l’incarico di formare un nuovo esecutivo il capo dello Stato deve darlo a lui. Il fatto che un partito (che fra l’altro si autodefinisce democratico) si comporti come un soviet e sfiduci un capo di governo è ovviamente una notizia. La mattina del 14 febbraio è perciò su tutti i quotidiani del mondo. (…) Senza neanche poter passare per l’aula, il 14 febbraio Enrico Letta riunisce il consiglio dei ministri, poi va da solo dal presidente della Repubblica, alla guida di una Delta grigia, e rassegna dimissioni irrevocabili. Un colloquio di appena un’ora durante il quale il capo dello Stato gli rinnova l’invito ad accettare il dicastero dell’Economia nel futuro governo Renzi e, di fronte al suo fermo diniego, quasi lo prega: per lui sarebbe una garanzia. Letta ringrazia ma spiega che non può proprio accettare.


GIULIANO DA EMPOLI, IL CONSIGLIERE PUNITO


(…) Giuliano Da Empoli, prima consigliere politico di Renzi e oggi presidente del Gabinetto Vieusseux, celebre istituzione culturale di Firenze, per molto tempo è davvero convinto che il suo amico Matteo sia «l’uomo nuovo», ma sarà costretto a ricredersi. Fa parte della giunta comunale guidata da Renzi, ma il sindaco, nonostante il legame stretto, non esita a cacciarlo dal Giglio magico. Per un’inezia: un veleno messo in giro ad hoc. L’assessore, infatti, viene accusato di aver spifferato ai giornali i tentativi del primo cittadino – poi andati a vuoto – di avvicinare l’ex presidente statunitense Bill Clinton in visita a Firenze nel 2012. I quotidiani locali riportano i rocamboleschi agguati dell’allora candidato alle primarie in cerca di una foto con l’uomo più potente del mondo. La classica foto opportunity. Renzi ci prova in tutti i modi: dopo aver fallito la strada ufficiale, rimbalza fuori dai ristoranti dove l’ex numero uno della Casa bianca pasteggia; fa le poste sotto il suo albergo e tenta, infine, di braccarlo all’aeroporto il giorno del rientro negli Usa. Niente da fare, a Peretola viene addirittura tenuto a distanza, oltre le transenne. Tanta fatica ma niente foto. E, in più, lo sberleffo sui giornali. Matteo si convince che sia stato proprio Da Empoli a raccontare tutto alla stampa. Lo immagina divertito e così lo elimina. Lo parcheggia nel purgatorio degli ex renziani. Un limbo in cui finiscono in molti: chi tradisce il capo, chi tenta di fregarlo, chi parla senza permesso. Da Empoli è un intellettuale e non se ne fa un problema. Anzi, confida ad amici fiorentini: «Bischero lui a non capire a chi dar credito e a chi no».


PISTELLI, IL PROMESSO MINISTRO MANCATO

«Non si discute, il ministro lo fai te». È il primo sabato di luglio del 2014. Matteo Renzi torna a Firenze e raggiunge Lapo Pistelli nell’ufficio di un amico comune, vicino a Palazzo Vecchio. All’incontro sono in quattro. L’ordine del giorno è semplice: il titolare della Farnesina, Federica Mogherini, è proiettata verso la poltrona di alto rappresentante della politica estera Ue. Va sostituita. Pistelli è stato già il vice di Emma Bonino nel governo Letta ed è rimasto il numero due del dicastero anche con la stessa Mogherini. Il passaggio è naturale, legittimo, scontato. In più è il premier in persona a garantirglielo, appunto davanti ad alcuni testimoni. Pistelli gli crede, lo scrive sui social. L’idea lo affascina. Inizia ad annunciarlo anche in qualche intervista. Il 15 luglio «La Nazione» titola: «Lapo, il prossimo ministro degli Esteri: “Ma è Renzi a decidere”». Lui, in cuor suo, è certo della nomina, anche alla luce del rapporto che lega i due da molti anni: «Merito un riconoscimento, dopotutto me lo deve». È Pistelli, infatti, a «scoprire» il giovane Matteo quando ancora studia Legge e si presenta come impiegato di un’agenzia di marketing che, in realtà, è l’azienda di famiglia Chil, in cui non è assunto ma è socio insieme alla madre, Laura Bovoli, e alle sorelle Benedetta e Matilde. (…).

Quando Renzi, nel febbraio del 2014, arriva a Palazzo Chigi, lo ritrova alla Farnesina. E lì lo lascia. Vice. A lui preferisce Mogherini. Dirà per scelta del capo dello Stato. Pistelli non ci spera neanche. Conosce il suo figlioccio, ha ancora vive le immagini del percorso e degli sgambetti che ha fatto. A fine giugno però è Matteo a recapitargli la proposta tramite un amico fiorentino comune: «Senti se Lapo sarebbe interessato a fare il ministro degli Esteri». La risposta arriva a breve, scontata: «Ovvio che sì». Così, dopo vari appuntamenti saltati, a inizio luglio finalmente i due si incontrano. Ormai è certo che Mogherini lascerà il dicastero. Strette di mano, abbracci, pacche sulle spalle: di nuovo insieme. Lapo si prepara da anni a quella poltrona, è la sua aspirazione, nonché vocazione naturale. Lo comunica agli amici più stretti. Qualcuno gli suggerisce di non fidarsi. «È sicuro, figurati» risponde. Ma è il «Corriere della Sera», la mattina del 28 ottobre, al termine del fine settimana alla Leopolda, a dare la ferale notizia: Renzi sta valutando un nome nuovo per la Farnesina, quello di Lia Quartapelle, trentaduenne sconosciuta deputata milanese del Pd alla sua prima legislatura. Scrive il quotidiano: «Il nome della giovane parlamentare lombarda per il vertice della Farnesina sembra scartare quelli più volte circolati nei giorni scorsi, come l’attuale sottosegretario agli Esteri, Lapo Pistelli, o la vicepresidente della Camera, Marina Sereni. Non che le loro chance si siano del tutto dileguate, ma in favore della Quartapelle, oltre naturalmente al fattore rosa che condivide con Sereni, giocherebbe soprattutto la totale novità che la sua nomina comporterebbe, quell’effetto sorpresa che è ormai parte essenziale della narrativa renziana». Il premier – come spiegherà lui stesso – nei giorni della Leopolda si rende conto che Pistelli è troppo preparato, competente negli Esteri. Ha una rete propria: sarebbe ingestibile o, comunque, coprirebbe la figura del nuovo capo. «Io voglio ministri leggeri, leggeri: il governo sono io perché se qualcuno sbaglia vado a casa io» spiega Renzi ad alcuni ex «suggeritori» con i quali è rimasto in buoni rapporti ma che hanno preferito allontanarsi dal circo del rottamatore. E sono molti. Tutti confermano quanto ami da sempre circondarsi di comparse. Anche in Comune, da sindaco, ripete spesso: «Dovete giudicare me, gli assessori sono lavoratori precari per eccellenza». Con Pistelli si farà perdonare. Grazie a una nomina in una controllata. Nel giugno successivo, infatti, Lapo diventa vicepresidente senior dell’Eni, con delega alla promozione del business internazionale: un milione di euro di compenso l’anno e un biglietto di addio al Palazzo.


MATTEI, L'AMICO SCARICATO PER L'AVVERTIMENTO SULLA BOSCHI

«C’è chi non vuole il suo ritorno in politica.» In Procura a Firenze, tra pm e avvocati, si giustifica così l’esistenza di un fascicolo ancora aperto nel 2016 a carico di Massimo Mattei, assessore comunale con delega a Mobilità, manutenzioni e decoro nella giunta Renzi. Fascicolo avviato nel 2015 e relativo a fatti avvenuti tra il 2011 e il 2012, quando Palazzo Vecchio pare diventato un «troiaio», come dicono gli eredi di Dante. La magistratura scopre un giro di prostituzione gestito da un gruppo ristretto di conoscenti che sembrano usciti dal film Amici miei (…) Nello scandalo, che viene ribattezzato il «sexy gate fiorentino», finiscono indagate quattordici persone. (…). Le ipotesi d’accusa iniziali sono associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento della prostituzione. Per gli indagati il pm chiede in un primo momento le misure detentive. Nelle quattromila pagine dell’ordinanza avanzata dal pubblico ministero Giuseppe Bianco e dal procuratore capo Giuseppe Quattrocchi, si cita, oltre a un dipendente comunale, anche un custode di Palazzo Vecchio sorpreso in una stanza del Comune con una ragazza. Da quel momento iniziano a circolare voci in città che sia coinvolto anche qualche politico. Quando il giudice per le indagini preliminari rigetta le misure cautelari avanzate dai magistrati, questi, per suffragare la loro tesi investigativa, allegano documentazione aggiuntiva non presente nella prima istanza. Da un appunto allegato ai nuovi atti salta fuori il nominativo di un assessore che, in seguito, si scoprirà essere totalmente estraneo alla vicenda. Su quel foglio nome e cognome sono stati coperti alla bell’e meglio con un colpo di bianchetto. Si leggono solo le prime lettere: «Mas». Liste alla mano, può essere solo Massimo Mattei che, guarda caso, proprio pochi giorni prima si è dimesso per motivi di salute. È un attimo: per molti diventa il politico delle escort. Le dimissioni? Secondo alcuni quotidiani locali – alcuni «pennivendoli», accolti poi sul carro renziano verso Roma, spiccano per la violenza dei toni usati nei confronti di Mattei – l’uomo avrebbe lasciato Palazzo Vecchio proprio perché coinvolto in quel giro di prostituzione. In realtà, subito dopo aver formalizzato la rinuncia all’incarico pubblico, l’ex assessore è stato veramente ricoverato in ospedale. Quando Mattei presenta le dimissioni al sindaco (…), Renzi le accetta subito e lo sostituisce in appena un giorno con Filippo Bonaccorsi, a cui, una volta al governo, affiderà il piano per gli interventi sulle scuole.

E dire che Mattei è stato fondamentale per l’ascesa politica del presidente del Consiglio in carica. L’amicizia tra i due ha radici lontane: nasce nel 1999 sul palco del congresso provin­ciale della Margherita. (…) Il legame tra i due è profondo. Di fiducia totale. Ci sono molte foto a dimostrarlo. Di appuntamenti e momenti privati. Visite in Versilia dove Mattei ha una casa e molto altro. Nel marzo del 2013 Massimo Mattei scopre che ci sono alcuni paparazzi a Firenze che pedinano Renzi nella speranza di «beccarlo» con foto compromettenti, magari in compagnia di Maria Elena Boschi. In quel momento, infatti, il sindaco si è già imposto sulla scena nazionale e gira insistente la notizia di una presunta relazione clandestina tra lui e la giovane aretina. Gossip puro, ma i paparazzi fanno il loro mestiere. Mattei si accorge della loro presenza perché gestisce alcune cooperative che ospitano anziani e una di queste è in via degli Alfani, proprio a pochi passi dall’appartamento in cui risiede Renzi a Firenze, al civico 8, pagato – si scoprirà poi – dall’amico Carrai. Mattei si accorge degli appostamenti e avvisa il numero uno di Palazzo Vecchio, che sembra disinteressarsene. La risposta arriverà dal suo entourage: «Dice Matteo di fare attenzione te, non ai fotografi: alle escort». A giugno il «sexy gate fiorentino» deflagra nella sua interezza. (…) L’inchiesta incombe come un macigno sulla vita dell’ex assessore: quando serve, qualcuno gliene ricorda l’esistenza. Come alle amministrative che porteranno all’elezione di Nardella: l’ipotesi di una sua candidatura naufraga subito. O come in occasione della tornata regionale della primavera del 2015, quando l’ex comunista viene avvicinato dalla sinistra radicale. Mattei non ha il tempo neanche di rispondere «no grazie» all’offerta: una mattina trova nella cassetta della posta una busta formato A4 indirizzata alla moglie. Dentro ci sono i brogliacci di tutte le intercettazioni che lo riguardano. Colloqui ritenuti ininfluenti al fine delle indagini già nel 2013. Ma qualcuno li ha conservati.


 

 

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