Dunque i giudici che stanno processando Silvio
Berlusconi e uno stuolo di Olgettine per corruzione in atti giudiziari
non potranno utilizzare 11 intercettazioni indirette fra il Cavaliere e
due delle sue girl, Iris Berardi e Barbara Guerra. O meglio:
potranno usarle contro le due ragazze, presunte corrotte, ma non contro B., presunto
corruttore. E utilizzatore finale dei loro silenzi prezzolati e delle loro
bugie retribuite. L’ha deciso l’altroieri il Senato a
maggioranza, dieci mesi dopo la richiesta del Tribunale, con
comodo. E l’ha fatto sostenendo di fatto che B. è un perseguitato politico,
perché solo in quel caso le Camere possono negare alla magistratura
l’autorizzazione a usare indizi e prove raccolte su un imputato intercettandolo
mentre parla con un parlamentare. Che, nella fattispecie, è pure l’imputato
principale. Il trucchetto escogitato per il salvataggio del Caimano è
presto spiegato. Secondo la maggioranza di Palazzo Madama, quando
intercettavano le Olgettine, i pm di Milano sapevano benissimo che quelle
parlavano con B. Dunque avrebbero dovuto smettere di intercettarle, sennò
l’intercettazione indiretta dell’interlocutore non sarebbe più stata casuale
e dunque lecita, ma intenzionale e dunque illegittima
secondo l’art. 68 della Costituzione.
In pratica questi manigoldi che si fanno chiamare rappresentanti
del popolo sostengono che, se un mafioso o un terrorista sospettato di
organizzare una strage viene intercettato mentre parla ripetutamente con un
onorevole, il giudice deve staccare immediatamente la registrazione e
rinunciare così a scoprire dove, quando e contro chi avverrà la strage, per non
violare le sacre prerogative del deputato amico dello stragista. È in
base a questo assunto demenziale, anzi criminale e criminogeno, che la scorsa
settimana i deputati del Pd e di Sel-SI hanno unito i propri voti a quelli del
centro e della destra per negare ai giudici di Napoli l’uso delle intercettazioni che
incastrano (anzi incastravano) il deputato forzista Luigi Cesaro, detto Giggino ‘a Purpetta,
in un processo per presunte tangenti sulla raccolta rifiuti. La prova generale
per la sceneggiata dell’altroieri al Senato, dove i franchi tiratori pidini,
all’ombra del voto segreto, hanno salvato B. Le cronache riferiscono che Fedele
Confalonieri, gran ciambellano dell’inciucione e vedovo inconsolabile del
Nazareno (che – a vedere le reti Mediaset – pare tutt’oggi in corso), aveva
telefonato a decine di senatori per raccomandare il salvataggio del Capo.
E,come sempre, dai tempi dei decreti Berlusconi e
della legge Mammì di craxiana memoria, il Parlamento s’è messo al
servizio del partito Fininvest-Mediaset. Siccome i manigoldi non hanno neppure
il coraggio delle proprie azioni, hanno subito puntato il dito contro i
5Stelle, che non si capisce bene che cosa c’entrino (anche se vengono incolpati
di tutto), visto che non hanno la maggioranza né alla Camera né tantomeno al
Senato. Il pretesto è l’errore – subito corretto in tempo reale – del senatore
M5S Airola, che ha votato pro anziché contro lo scrutinio segreto
(peraltro doveroso, in casi “personali” come questo). Lo stesso errore,
peraltro corretto diverse ore dopo, hanno commesso 4 senatori Pd, ma
neppure questo significa nulla. Come non ha alcun senso ipotizzare uno scambio
FI-5Stelle per dare l’insindacabilità al senatore pentastellato Giarrusso
in un processo per diffamazione a Catania (infatti ieri gli è stata giustamente
negata dall’aula, con i voti dei suoi stessi compagni di Movimento).
Per capire chi ha regalato voti al centro e alla destra per salvare B., basta
riepilogare l’iter della richiesta del Gup di Milano da quando, quasi un anno
fa, approdò in Senato. Fin da principio, nella giunta per le immunità, il Pd e
il presidente-relatore Dario Stefàno (Sel) proposero di negare
l’autorizzazione per 8 telefonate su 11, ritenendo che solo 3 fossero casuali e
le 8 successive intenzionali, dunque persecutorie, mentre i 5Stelle (più il Pd
dissidente Casson) hanno sempre votato per autorizzarle tutte. Il senatore del
Pd Enrico Buemi era addirittura per respingerle tutte.
Le stesse ambiguità si sono riprodotte in aula, in
perfetta continuità col precedente di Giggino ‘a Purpetta. Ma a tagliare la
testa al toro c’è un altro dato di fatto: siccome le intercettazioni
risalgono al 2012, quando B. era deputato (divenne senatore nel febbraio
2013), a occuparsene non doveva essere il Senato, ma la Camera. La
giunta di Palazzo Madama avrebbe dovuto rispedirle al mittente, facendo notare
al Gup che aveva sbagliato indirizzo e doveva inoltrarle a Montecitorio.
Invece, arrogandosi poteri non suoi e calpestando le prerogative dell’altro
ramo del Parlamento, il Senato s’è tenuto il dossier. Il motivo è semplice:
alla Camera il Pd ha la maggioranza da solo, dunque non avrebbe potuto salvare
B. e scaricare la colpa sui 5Stelle. Al Senato invece i numeri sono ballerini e
lo scaricabarile è più facile, grazie anche a una stampa indecente che
finge di non sapere ciò che tutti sanno, specialmente dopo lo straziante appello di Napolitano
per un “patto per l’Italia”, cioè per un nuovo inciucione
Pd-FI. E cioè che il Pd le sta provando tutte per riacchiappare il Caimano, in
cambio dei voti di FI per modificare l’Italicum, tenere buona la
minoranza interna e sventare la terrificante prospettiva di una vittoria dei
5Stelle; e anche in cambio dell’appoggio delle reti Mediaset al Sì per il
referendum. Per riuscire finalmente a scassinare la Costituzione, gli
olgettini della maggioranza hanno cominciato allegramente a calpestarla.
Questa sì che è coerenza.
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