venerdì 23 settembre 2016

L'ultima, inutile fantasia sul credito cooperativo italiano




Ora che i sessanta giorni previsti dalla legge di riforma del credito cooperativo per esercitare l'opzione di uscita dal modello del Gruppo Bancario Cooperativo sono trascorsi, la navigazione delle BCC verso the brave new world sembrerebbe non avere più ostacoli.

O meglio ne avrà altri, ma non quello della defezione, che annovera solo 3 istanze individuali di way out. Sulla sostenibilità dei rispettivi piani industriali si pronunceranno nelle prossime settimane autorità nazionali e BCE, con la possibile subordinazione delle autorizzazioni a criteri di severità, poiché fare la banca società per azioni richiede ben altro che "cambiarsi d'abito".

Quindi, almeno sotto questo profilo, un successo non da poco in nome della coesione cooperativa, anche se le impervie barriere all'uscita (20% di imposta sul patrimonio, sessanta giorni per presentare istanza, senza conoscere i termini del patto di coesione, pubbliche esternazioni di scoraggiamento delle authority) hanno reso più facile la scelta di altre BCC, che avrebbero pure tentato la strada della spa da conferimento, ma che, alla fine, hanno ripiegato in buon ordine, agganciandosi alla carovana Federcasse.

Va anche preso atto che l'opportunità di sostenere la way out con progetti industriali di aggregazione, solidi e coerenti con il mercato di riferimento, come pure erano stati predisposti, non è stata colta dalle possibili BCC interessate, portando allo scioglimento di formazioni cooperative minori, per decenni identitarie e compatte.

Auguriamo alle poche eccezioni un positivo esito del loro coraggioso, ma solitario percorso di uscita, che la legge consente, ancorché a carissimo prezzo, nel rispetto del requisito dei 200 milioni di patrimonio.

Al restante mondo, ancora alla ricerca di una configurazione unitaria, non resta che a) conoscere finalmente le nuove regole del contratto di coesione b) stendere piani industriali sostenibili c) scrivere nuovi processi di Governance e operativi d) affrontare il tema delle fusioni, del ridimensionamento delle reti territoriali e degli esuberi di personale e) decidere se ridurre o aumentare gli organismi centrali e se ridimensionare o meno i corpi intermedi (leggi Federazioni regionali), g) uniformare i sistemi informatici, h) attendere, con qualche trepidazione, il giudizio conclusivo della BCE sull'intero nuovo impianto.

Scusandoci di eventuali omissioni, non dobbiamo dimenticare che la principale istanza della riforma resta quella di intervenire sulle precarie condizioni del credito cooperativo italiano, come confermano i risultati negativi 2015 dei principali sistemi regionali, resi noti in queste settimane.

In sintesi, si tratta di aprire una fase costituente, di non breve durata, senza molti punti di riferimento e una leadership che, invece di essere richiamata alle proprie responsabilità, sembra più in sella che mai. Come richiede ogni riforma che si rispetti, verranno aperti cantieri di lavoro, con stuoli di consulenti, che si muoveranno nel contesto delle peculiarità di questa rivoluzione, nella quale centro e periferia si attrarranno secondo nuove leggi gravitazionali.

La farà da padrone la "prima legge universale della devoluzione" dei poteri del governo societario in base alla quale le BCC sopravvissute dopo alcune inevitabili aggregazioni (almeno una cinquantina, con peso pari al 16% dell'intero sistema sono date pubblicamente per decotte) saranno proprietarie di una capogruppo bancaria, ma ne verranno a loro volta governate, secondo una rilettura in chiave moderna della dialettica servo-padrone di hegeliana memoria.

Principi nuovi di astronomia e di filosofia dello spirito comporranno dunque questa complicata sintesi.

Tornando alla tecnica bancaria, le attribuzioni alla capogruppo riguarderanno i poteri di indirizzo e coordinamento, di pianificazione e controllo di gestione, il risk management, la gestione della liquidità, la centralizzazione dei servizi, tra cui quelli ICT, da acquistare rigorosamente all'interno delle società del movimento e la uniformazione dei prodotti creditizi e finanziari che la capogruppo bancaria creerà, rendendone obbligatoria la distribuzione da parte di tutte le BCC.

In cambio, queste riceveranno protezione dalla capogruppo medesima e dalle altre consorelle associate attraverso un' articolata rete di garanzie incrociate.

Guai dunque a dire che non sono salvaguardate individualità e molteplicità delle BCC, anche se le autonomie verranno drasticamente ridimensionate e gli organi aziendali assottigliati.

Nelle more dell'avvio del nuovo contratto di coesione, funzionerà, in caso di nuove crisi, il quarto fondo di garanzia (temporaneo, ma obbligatorio), appena costituito con una dotazione di 400 milioni e contributi già in esazione.

Auguri di buona navigazione a tutti i naviganti, soprattutto auguri di non disperdere le poche risorse finanziarie rimaste per gli investimenti richiesti dalle trasformazioni sia del business che della tecnologia. Alle esigenze di finanziamento risponderà la capacità di attirare capitali da parte della nuova Holding capogruppo, che, fin dall'inizio, dovrà avere almeno un miliardo di patrimonio. E ciò sia ben presente a coloro che, secondo alcune iniziative pubblicizzate di questi giorni, vorrebbero costituire altri gruppi nazionali. Che il gruppo cooperativo sia unico è istanza che ci siamo sempre sentiti di sostenere, per evitare i rischi di balcanizzazione, ma soprattutto perché il problema è oggi di stabilità finanziaria del sistema piuttosto che di competizione tra più entità, tra le quali sarebbe arduo cogliere vere differenze.

Ma non c'era davvero altro modo per una riforma meno complessa, in grado di salvaguardare i principi cooperativi e rendere più efficiente, moderno e solido il banking territoriale, magari riferendosi a esperienze maturate in altri settori dell'economia cooperativa? Non c'era davvero altro modo per essere diversamente cooperativi?

Proviamo a descrivere una soluzione diversa, facendo il semplice esercizio di estendere al sistema nel suo complesso il modello ora riservato alla way out, ovviamente senza l'esosa tassazione delle riserve, della quale sfugge tuttora il fondamento giuridico. Immaginiamo, solo per un attimo, che cosa sarebbe potuto accadere se l'eccezione fosse stata la regola della riforma.

Il conferimento delle attività bancarie cooperative in banche società per azioni, ovviamente da concentrare nel numero e da organizzare secondo piani industriali diretti a rivitalizzarne il business, avrebbe potuto contare sulla forma societaria universalmente conosciuta e su più ampie possibilità di diversificare rischi e aumentare l'offerta di servizi, ancora anacronisticamente limitati dalla normativa di settore.

Sarebbero potute restare in vita tutte le cooperative oggi esistenti, magari anche con una dotazione minima di personale, le quali, pur perdendo la qualifica di banca, avrebbero esercitato funzioni di proprietarie/comproprietarie di un numero senza dubbio minore di banche (diciamo un terzo delle attuali), puntando decisamente sulla capacità di rinnovarsi di fronte al crescente bisogno di integrazione socio/economica all'interno delle comunità e tra comunità locali.

Le basi sociali cooperative avrebbero potuto divenire protagoniste, oltre che di indirizzi di politica bancaria del territorio, anche di interventi culturali, assistenziali, promozionali e così via, proponendo una risposta cooperativa ai lunghi anni di crisi e ai fenomeni di trasformazione e frammentazione della società italiana. E forse si sarebbe potuto trovare anche una via regionale per un decentramento coerente con i vari sottosistemi territoriali.

Le funzioni proprietarie svolte nei confronti di una banca organizzata secondo criteri di maggiore efficienza, si sarebbero articolate in attività di controllo della mission, come la rinuncia ad attività speculative, nella scelta del management, secondo criteri di merito e predefiniti obiettivi di risultato, nella fissazione di regole efficaci per contrastare i conflitti di interesse, causa di molte crisi costate centinaia di milioni a tutto il movimento.

Le cooperative conferenti si sarebbero potute alimentare tramite ricavi derivanti, oltre che dai dividendi di partecipazione nella banca, anche dal mantenimento della proprietà di immobili, su cui riscuotere affitti, o eventualmente anche di asset rappresentativi di crediti non performing accumulati delle preesistenti BCC.

Ovviamente con il vincolo di rispondere di questa ridisegnata attività alle proprie basi sociali, nel rispetto della mutualità prevalente. Sopratutto sarebbe stata sancita la possibilità di attingere a fonti aggiuntive di capitale anche per le singole componenti il sistema che rischiano di restare asfittiche nella disponibilità di nuovi mezzi per un business cooperativo effettivamente rinnovato.

Il tessuto cooperativo si sarebbe assunto più ampie responsabilità, da tradurre anche in termini di inclusione finanziaria della popolazione, obiettivo che in qualche modo ha sostituito, ai giorni nostri, quello della lotta all'usura propria della ragion d'essere della cooperazione bancaria di fine Ottocento. Le stime parlano di 10 milioni di cittadini adulti, italiani e non, privi di qualsiasi rapporto bancario. Sul terreno di un rinnovato presidio del territorio, incentrato sul rapporto tra tecnologia e business, da collegare ineludibilmente alla disponibilità di capitali freschi, la capillarità dei servizi di pagamento avrebbe rappresentato il naturale collante per una socialità orientata verso nuovi schemi di interazione, come potranno essere le cosiddette smart communities. Chi meglio delle banche locali potrebbe attivare questo nuovo modello di relazioni, al tempo stesso virtuale e reale, purché improntato a criteri di efficienza e al recupero di redditività?

Anche i rapporti con gli organismi centrali della categoria avrebbero potuto ruotare attorno a un potere negoziale diverso, in quanto esercitato da un numero minore di banche, più grandi e più solide, in grado di rappresentare nella loro autonomia istanze di assistenza tecnica, senza equivoci e ribaltamenti di ruolo, accompagnate da un effettivo rinnovamento di governance. Un banking così organizzato avrebbe forse definitivamente tagliato il nodo tra associazionismo e attività di impresa, obiettivo cui le autorità europee guardano per eliminare qualsiasi commistione tra le due finalità, come ha sottolineato anche il Governatore della Banca d'Italia nelle sue ultime Considerazioni.

Potremmo fare altri esempi, per cercare di convincervi della bontà della nostra idea di rinnovamento, mirata al rilancio dell'industria cooperativa bancaria, piuttosto che al mero suo salvataggio.

Ma tutto quanto aggiungeremmo avrebbe soltanto valore di accademia, essendo la riforma incentrata sul patto di coesione diventata ormai legge dello stato da rispettare e far rispettare in tutte le sue prerogative, anche per allontanare l'eventualità che BCE possa sollevare perplessità sulla sua efficacia ed inviti a valutare il modello à la Credit Agricole: una sola banca S.p.A. con una rete territoriale di sportelli. Perché questo, nel caos che non si va ancora sciogliendo e che sembra talvolta frutto di personalismi piuttosto che di visioni alternative, è il vero spettro che si aggira nel credito cooperativo italiano, dato che segnerebbe per sempre la fine di ogni reclamata autonomia locale.

A ognuno rivolgersi alle proprie locali tradizioni scaramantiche! 

Post scriptum.

Questo pezzo è stato scritto alcune settimane prima del XV CONGRESSO NAZIONALE DEL CREDITO COOPERATIVO tenutosi a Milano il 14 e 15 luglio scorsi. Nel lungo discorso introduttivo del Presidente di Federcasse risuonano alcuni dei fattori critici avanti esposti, ma, da parte di chi scrive, rimangono "diffidenze" che nascono dal gap tra enunciazioni di principio e concrete modalità di realizzazione dei cambiamenti resi possibili dalla nuova legge. Vi è l'ammissione che molto, se non tutto o quasi resta da progettare, a partire dalla questione dell'unicità del Gruppo Bancario Cooperativo, dato che sembrano permanere velleità per un secondo raggruppamento nazionale.

Invece che il solito taglio alto, in quella sede sarebbe stato forse preferibile esporre proposte tecniche e ragionamenti sulla disponibilità delle risorse, indicando linee, almeno di massima, di piani industriali, tuttora inesistenti, o almeno non conosciuti.

E, a sostegno di una concreta progettualità, qualche cifra in più non sarebbe stata inutile e, soprattutto, sarebbe importante, in nome della auspicata maggiore concorrenza, sapere al più presto come agirà la capogruppo per gestire gli inevitabili conflitti, dato che una parte non secondaria di BCC opera con sportelli che si sovrappongono sulle stesse aree territoriali. Esiste già una mappa di sistema o avremo il pragmatismo caotico del caso per caso? Anche il tema delle partecipazioni ora detenute dalle singole BCC potrà essere di rilevante impatto nella gestione da parte della Capogruppo.

Se si aggiunge che, nemmeno a livello di indirizzo, viene sfiorato il tema della configurazione degli organismi centrali, con l'eccezione alla intervenuta aggregazione tra Iccrea Holding e Iccrea Banca, non si colgono ancora quei segnali di semplificazione necessari per l'abbattimento strutturale dei costi.

Insomma il primo passaggio dalle parole ai fatti stenta ancora e il richiamo alla scaramanzia resta di piena attualità.

Il 15 luglio è stata anche messa in consultazione fino al 15 settembre la normativa di vigilanza sul Gruppo Bancario Cooperativo che sviluppa soprattutto il tema del funzionamento del contratto di coesione, strumento giuridico del tutto nuovo per il banking italiano, e che, ad una prima lettura, appare complesso da trattare anche sotto il profilo regolamentare.

Altro aspetto è la previsione normativa di poter costituire gruppi provinciali (Trentino e Alto Adige) e territoriali (le ex Federazioni), cosa che non va certo nel senso della razionalizzazione del sistema. Che dire poi della sovrapposizione dei controlli con quelli di vigilanza, considerato che la capogruppo dovrà anche dotarsi di sistemi di early warning su tutte le BCC, rispondendone direttamente e solidalmente?

Nell'attesa che il nuovo algoritmo di governance si dipani fino al risultato finale, il percorso di effettiva messa in opera è ancora lungo e non privo di ostacoli da discutere e superare, specie in tema di coerenze complessive della nuova configurazione, per la quale resta fondamentale la posizione che assumerà la BCE, compresa l'importanza che essa annetterà al fattore tempo. Wait and see!

Daniele Corsini  (Consigliere di Amministrazione del F.G.D.C.C.)


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