Ora che i sessanta giorni previsti dalla legge di riforma del
credito cooperativo per esercitare l'opzione di uscita dal modello del Gruppo
Bancario Cooperativo sono trascorsi, la navigazione delle BCC verso the brave new world sembrerebbe non avere più ostacoli.
O meglio ne avrà altri, ma non quello della defezione, che annovera
solo 3 istanze individuali di way out. Sulla sostenibilità dei rispettivi piani
industriali si pronunceranno nelle prossime settimane autorità nazionali e BCE,
con la possibile subordinazione delle autorizzazioni a criteri di severità,
poiché fare la banca società per azioni richiede ben altro che "cambiarsi
d'abito".
Quindi, almeno sotto questo profilo, un successo non da poco in nome
della coesione cooperativa, anche se le impervie barriere all'uscita (20% di
imposta sul patrimonio, sessanta giorni per presentare istanza, senza conoscere
i termini del patto di coesione, pubbliche esternazioni di scoraggiamento delle
authority) hanno reso più facile la scelta di altre BCC, che avrebbero pure
tentato la strada della spa da conferimento, ma che, alla fine, hanno ripiegato
in buon ordine, agganciandosi alla carovana Federcasse.
Va anche preso atto che l'opportunità di sostenere la way out con
progetti industriali di aggregazione, solidi e coerenti con il mercato di
riferimento, come pure erano stati predisposti, non è stata colta dalle
possibili BCC interessate, portando allo scioglimento di formazioni cooperative
minori, per decenni identitarie e compatte.
Auguriamo alle poche eccezioni un positivo esito del loro
coraggioso, ma solitario percorso di uscita, che la legge consente, ancorché a
carissimo prezzo, nel rispetto del requisito dei 200 milioni di patrimonio.
Al restante mondo, ancora alla ricerca di una configurazione
unitaria, non resta che a) conoscere finalmente le nuove regole del contratto
di coesione b) stendere piani industriali sostenibili c) scrivere nuovi
processi di Governance e operativi d) affrontare il tema delle fusioni, del
ridimensionamento delle reti territoriali e degli esuberi di personale e)
decidere se ridurre o aumentare gli organismi centrali e se ridimensionare o meno
i corpi intermedi (leggi Federazioni regionali), g) uniformare i sistemi
informatici, h) attendere, con qualche trepidazione, il giudizio conclusivo della
BCE sull'intero nuovo impianto.
Scusandoci di eventuali omissioni, non dobbiamo dimenticare che la
principale istanza della riforma resta quella di intervenire sulle precarie
condizioni del credito cooperativo italiano, come confermano i risultati
negativi 2015 dei principali sistemi regionali, resi noti in queste settimane.
In sintesi, si tratta di aprire una fase costituente, di non breve
durata, senza molti punti di riferimento e una leadership che, invece di essere
richiamata alle proprie responsabilità, sembra più in sella che mai. Come
richiede ogni riforma che si rispetti, verranno aperti cantieri di lavoro, con
stuoli di consulenti, che si muoveranno nel contesto delle peculiarità di
questa rivoluzione, nella quale centro e periferia si attrarranno secondo nuove
leggi gravitazionali.
La farà da padrone la "prima legge universale della devoluzione"
dei poteri del governo societario in base alla quale le BCC sopravvissute dopo
alcune inevitabili aggregazioni (almeno una cinquantina, con peso pari al 16%
dell'intero sistema sono date pubblicamente per decotte) saranno proprietarie
di una capogruppo bancaria, ma ne verranno a loro volta governate, secondo una
rilettura in chiave moderna della dialettica servo-padrone di hegeliana
memoria.
Principi nuovi di astronomia e di filosofia dello spirito
comporranno dunque questa complicata sintesi.
Tornando alla tecnica bancaria, le attribuzioni alla capogruppo
riguarderanno i poteri di indirizzo e coordinamento, di pianificazione e
controllo di gestione, il risk management, la gestione della liquidità, la
centralizzazione dei servizi, tra cui quelli ICT, da acquistare rigorosamente
all'interno delle società del movimento e la uniformazione dei prodotti
creditizi e finanziari che la capogruppo bancaria creerà, rendendone
obbligatoria la distribuzione da parte di tutte le BCC.
In cambio, queste riceveranno protezione dalla capogruppo medesima e
dalle altre consorelle associate attraverso un' articolata rete di garanzie
incrociate.
Guai dunque a dire che non sono salvaguardate individualità e
molteplicità delle BCC, anche se le autonomie verranno drasticamente
ridimensionate e gli organi aziendali assottigliati.
Nelle more dell'avvio del nuovo contratto di coesione, funzionerà,
in caso di nuove crisi, il quarto fondo di garanzia (temporaneo, ma
obbligatorio), appena costituito con una dotazione di 400 milioni e contributi
già in esazione.
Auguri di buona navigazione a tutti i naviganti, soprattutto auguri
di non disperdere le poche risorse finanziarie rimaste per gli investimenti
richiesti dalle trasformazioni sia del business che della tecnologia. Alle
esigenze di finanziamento risponderà la capacità di attirare capitali da parte
della nuova Holding capogruppo, che, fin dall'inizio, dovrà avere almeno un
miliardo di patrimonio. E ciò sia ben presente a coloro che, secondo alcune
iniziative pubblicizzate di questi giorni, vorrebbero costituire altri gruppi
nazionali. Che il gruppo cooperativo sia unico è istanza che ci siamo sempre
sentiti di sostenere, per evitare i rischi di balcanizzazione, ma soprattutto
perché il problema è oggi di stabilità finanziaria del sistema piuttosto che di
competizione tra più entità, tra le quali sarebbe arduo cogliere vere differenze.
Ma non c'era davvero altro modo per una riforma meno complessa, in
grado di salvaguardare i principi cooperativi e rendere più efficiente, moderno
e solido il banking territoriale, magari riferendosi a esperienze maturate in
altri settori dell'economia cooperativa? Non c'era davvero altro modo per
essere diversamente cooperativi?
Proviamo a descrivere una soluzione diversa, facendo il semplice
esercizio di estendere al sistema nel suo complesso il modello ora riservato
alla way out, ovviamente senza l'esosa tassazione delle riserve, della quale
sfugge tuttora il fondamento giuridico. Immaginiamo, solo per un attimo, che
cosa sarebbe potuto accadere se l'eccezione fosse stata la regola della
riforma.
Il conferimento delle attività bancarie cooperative in banche
società per azioni, ovviamente da concentrare nel numero e da organizzare
secondo piani industriali diretti a rivitalizzarne il business, avrebbe potuto
contare sulla forma societaria universalmente conosciuta e su più ampie
possibilità di diversificare rischi e aumentare l'offerta di servizi, ancora
anacronisticamente limitati dalla normativa di settore.
Sarebbero potute restare in vita tutte le cooperative oggi
esistenti, magari anche con una dotazione minima di personale, le quali, pur
perdendo la qualifica di banca, avrebbero esercitato funzioni di
proprietarie/comproprietarie di un numero senza dubbio minore di banche
(diciamo un terzo delle attuali), puntando decisamente sulla capacità di
rinnovarsi di fronte al crescente bisogno di integrazione socio/economica
all'interno delle comunità e tra comunità locali.
Le basi sociali cooperative avrebbero potuto divenire protagoniste,
oltre che di indirizzi di politica bancaria del territorio, anche di interventi
culturali, assistenziali, promozionali e così via, proponendo una risposta
cooperativa ai lunghi anni di crisi e ai fenomeni di trasformazione e
frammentazione della società italiana. E forse si sarebbe potuto trovare anche
una via regionale per un decentramento coerente con i vari sottosistemi
territoriali.
Le funzioni proprietarie svolte nei confronti di una banca
organizzata secondo criteri di maggiore efficienza, si sarebbero articolate in attività
di controllo della mission, come la rinuncia ad attività speculative, nella
scelta del management, secondo criteri di merito e predefiniti obiettivi di
risultato, nella fissazione di regole efficaci per contrastare i conflitti di
interesse, causa di molte crisi costate centinaia di milioni a tutto il
movimento.
Le cooperative conferenti si sarebbero potute alimentare tramite
ricavi derivanti, oltre che dai dividendi di partecipazione nella banca, anche
dal mantenimento della proprietà di immobili, su cui riscuotere affitti, o
eventualmente anche di asset rappresentativi di crediti non performing
accumulati delle preesistenti BCC.
Ovviamente con il vincolo di rispondere di questa ridisegnata
attività alle proprie basi sociali, nel rispetto della mutualità prevalente.
Sopratutto sarebbe stata sancita la possibilità di attingere a fonti aggiuntive
di capitale anche per le singole componenti il sistema che rischiano di restare
asfittiche nella disponibilità di nuovi mezzi per un business cooperativo
effettivamente rinnovato.
Il tessuto cooperativo si sarebbe assunto più ampie responsabilità,
da tradurre anche in termini di inclusione finanziaria della popolazione,
obiettivo che in qualche modo ha sostituito, ai giorni nostri, quello della
lotta all'usura propria della ragion d'essere della cooperazione bancaria di
fine Ottocento. Le stime parlano di 10 milioni di cittadini adulti, italiani e
non, privi di qualsiasi rapporto bancario. Sul terreno di un rinnovato presidio
del territorio, incentrato sul rapporto tra tecnologia e business, da collegare
ineludibilmente alla disponibilità di capitali freschi, la capillarità dei
servizi di pagamento avrebbe rappresentato il naturale collante per una
socialità orientata verso nuovi schemi di interazione, come potranno essere le
cosiddette smart communities. Chi meglio delle banche locali potrebbe attivare
questo nuovo modello di relazioni, al tempo stesso virtuale e reale, purché
improntato a criteri di efficienza e al recupero di redditività?
Anche i rapporti con gli organismi centrali della categoria
avrebbero potuto ruotare attorno a un potere negoziale diverso, in quanto
esercitato da un numero minore di banche, più grandi e più solide, in grado di
rappresentare nella loro autonomia istanze di assistenza tecnica, senza
equivoci e ribaltamenti di ruolo, accompagnate da un effettivo rinnovamento di
governance. Un banking così organizzato avrebbe forse definitivamente tagliato
il nodo tra associazionismo e attività di impresa, obiettivo cui le autorità
europee guardano per eliminare qualsiasi commistione tra le due finalità, come
ha sottolineato anche il Governatore della Banca d'Italia nelle sue ultime
Considerazioni.
Potremmo fare altri esempi, per cercare di convincervi della bontà
della nostra idea di rinnovamento, mirata al rilancio dell'industria
cooperativa bancaria, piuttosto che al mero suo salvataggio.
Ma tutto quanto aggiungeremmo avrebbe soltanto valore di accademia,
essendo la riforma incentrata sul patto di coesione diventata ormai legge dello
stato da rispettare e far rispettare in tutte le sue prerogative, anche per
allontanare l'eventualità che BCE possa sollevare perplessità sulla sua
efficacia ed inviti a valutare il modello à la Credit Agricole: una sola banca
S.p.A. con una rete territoriale di sportelli. Perché questo, nel caos che non
si va ancora sciogliendo e che sembra talvolta frutto di personalismi piuttosto
che di visioni alternative, è il vero spettro che si aggira nel credito
cooperativo italiano, dato che segnerebbe per sempre la fine di ogni reclamata
autonomia locale.
A ognuno rivolgersi alle proprie locali tradizioni scaramantiche!
Post scriptum.
Post scriptum.
Questo pezzo è stato scritto alcune settimane prima del XV CONGRESSO
NAZIONALE DEL CREDITO COOPERATIVO tenutosi a Milano il 14 e 15 luglio scorsi.
Nel lungo discorso introduttivo del Presidente di Federcasse risuonano alcuni
dei fattori critici avanti esposti, ma, da parte di chi scrive, rimangono "diffidenze"
che nascono dal gap tra enunciazioni di principio e concrete modalità di realizzazione
dei cambiamenti resi possibili dalla nuova legge. Vi è l'ammissione che molto,
se non tutto o quasi resta da progettare, a partire dalla questione dell'unicità
del Gruppo Bancario Cooperativo, dato che sembrano permanere velleità per un
secondo raggruppamento nazionale.
Invece che il solito taglio alto, in quella sede sarebbe stato forse
preferibile esporre proposte tecniche e ragionamenti sulla disponibilità delle
risorse, indicando linee, almeno di massima, di piani industriali, tuttora
inesistenti, o almeno non conosciuti.
E, a sostegno di una concreta progettualità, qualche cifra in più
non sarebbe stata inutile e, soprattutto, sarebbe importante, in nome della
auspicata maggiore concorrenza, sapere al più presto come agirà la capogruppo
per gestire gli inevitabili conflitti, dato che una parte non secondaria di BCC
opera con sportelli che si sovrappongono sulle stesse aree territoriali. Esiste
già una mappa di sistema o avremo il pragmatismo caotico del caso per caso?
Anche il tema delle partecipazioni ora detenute dalle singole BCC potrà essere
di rilevante impatto nella gestione da parte della Capogruppo.
Se si aggiunge che, nemmeno a livello di indirizzo, viene sfiorato
il tema della configurazione degli organismi centrali, con l'eccezione alla
intervenuta aggregazione tra Iccrea Holding e Iccrea Banca, non si colgono
ancora quei segnali di semplificazione necessari per l'abbattimento strutturale
dei costi.
Insomma il primo passaggio dalle parole ai fatti stenta ancora e il
richiamo alla scaramanzia resta di piena attualità.
Il 15 luglio è stata anche messa in consultazione fino al 15
settembre la normativa di vigilanza sul Gruppo Bancario Cooperativo che
sviluppa soprattutto il tema del funzionamento del contratto di coesione, strumento
giuridico del tutto nuovo per il banking italiano, e che, ad una prima lettura,
appare complesso da trattare anche sotto il profilo regolamentare.
Altro aspetto è la previsione normativa di poter costituire gruppi
provinciali (Trentino e Alto Adige) e territoriali (le ex Federazioni), cosa
che non va certo nel senso della razionalizzazione del sistema. Che dire poi
della sovrapposizione dei controlli con quelli di vigilanza, considerato che la
capogruppo dovrà anche dotarsi di sistemi di early warning su tutte le BCC,
rispondendone direttamente e solidalmente?
Nell'attesa che il nuovo algoritmo di governance si dipani fino al
risultato finale, il percorso di effettiva messa in opera è ancora lungo e non
privo di ostacoli da discutere e superare, specie in tema di coerenze
complessive della nuova configurazione, per la quale resta fondamentale la
posizione che assumerà la BCE, compresa l'importanza che essa annetterà al
fattore tempo. Wait and see!
Daniele Corsini (Consigliere di
Amministrazione del F.G.D.C.C.)
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