I problemi
che incontra Virginia Raggi nel costituire la giunta di Roma costituiscono un osservatorio - e
un'occasione - importante sul futuro del M5S. E, insieme, del sistema politico
in Italia. Dunque, della nostra democrazia. Roma, infatti, non è una città
qualsiasi. È, ovviamente, la Capitale. Ma, soprattutto, una città difficile da
governare. Come dimostrano le crisi che ne hanno accompagnato il percorso
amministrativo, nell'ultimo decennio. Fino all'epilogo della giunta guidata da Ignazio Marino, sfiduciata, circa un anno fa, dal
suo stesso partito. Il Pd. In modo rude e sbrigativo. La vittoria del M5S, alle recenti elezioni di
giugno, è apparsa, dunque, scontata. Come le difficoltà che avrebbe incontrato
ad amministrare la capitale. La sindaca Raggi, per questo, era attesa, con
curiosità, alla prova dei fatti. Da parte degli avversari politici. Partiti di
governo e di opposizione. Per primo, il Pd. Pronto a denunciare, in caso di
difficoltà e di insuccesso, la "radicale" inadeguatezza (perché
origina dalle "radici") del M5S. In grado di amplificare il dissenso
e l'insoddisfazione dei cittadini. Ma incapace di rispondere alle attese della
società, dopo averle alimentate. E, dunque, di governare. D'altronde, se non
riesce ad amministrare una città, per quanto complessa e difficile, anzi, la
più complessa e difficile, ebbene: come può pretendere il M5S di amministrare
l'Italia?
Per questo
il caso della giunta romana diventa importante per capire che cosa sarà di noi,
della nostra democrazia, nei prossimi mesi. Anni.
Perché, dopo
il declino di Silvio Berlusconi, anche il centrodestra è declinato.
E non si vede come possa riprendersi. Visto che la sua identità, la sua
organizzazione, dipendono da lui. Da Berlusconi. Mentre la Lega di Salvini, per andare oltre il Po, ha seguito il
modello del Fn di Marine Le Pen. Si è, cioè, trasformata in Ligue
nationale. Non più a Nord di Roma, ma a destra dell'Italia. Da Nord a Sud. Con
esiti, fin qui, incerti. Perché ha allargato i suoi consensi, anche oltre il
Nord, ma non riesce ad andare molto più in là dell'11-12 per cento. Tanto, ma
non abbastanza per diventare un partito davvero nazionale. In grado di
candidarsi a guidare il Paese. E, anzitutto, la destra. D'altronde, fin qui,
non c'è riuscito neppure il Fn di Marine Le Pen, pur essendo divenuto il primo
partito in Francia.
Il M5S
è, comunque, riuscito a rafforzare la sua influenza e la sua legittimazione,
negli ultimi tempi. Tanto più dopo le elezioni amministrative dello scorso
giugno. Nell'insieme dei comuni maggiori dove si è votato ha perduto consensi.
Ma è arrivato al ballottaggio in 20 comuni e li ha conquistati praticamente
tutti. Cioè, 19. Distribuiti in tutte le aree del Paese. In particolare nel
Mezzogiorno. Tuttavia, la sua affermazione dipende, anzitutto e soprattutto,
dalla vittoria a Torino e Roma. Dove, per questo, i 5 Stelle sono
osservati speciali. Pronti, gli altri partiti, a incalzarli, in caso di
insuccesso. Per dimostrare il loro limite insuperabile. Bravi a remare
"contro", ma non a condurre la nave-Italia verso porti tranquilli e
sicuri.
La questione
romana riguarda, per questo, la questione (politica) nazionale. Perché il M5S,
secondo i sondaggi degli ultimi mesi, contende al Pd il primato elettorale. In
caso di ballottaggio, secondo le regole previste dall'Italicum,
prevarrebbe in modo piuttosto netto. Naturalmente, gli orientamenti degli
elettori potrebbero venire modificati dall'onda emotiva sollevata dal
terremoto. Ma ancor di più dalla vicenda "romana".
Tuttavia,
non è detto che le conseguenze di questi avvenimenti siano coerenti con le
previsioni. In particolare, riguardo alle difficoltà incontrate, a Roma, dalla
sindaca Raggi. Le divisioni interne, l'emergere di personalismi e correnti, all'interno
del M5S, infatti, contribuiscono a "normalizzarlo". A farlo percepire
- e a costringerlo ad agire - come un "partito". Normale. Con le
virtù e i vizi degli altri partiti. I conflitti fra leader - Di Maio e Di
Battista - e fra diversi gruppi, peraltro, potrebbero rafforzare le tendenze
all'organizzazione interna. Le difficoltà incontrate nell'individuare
assessori, tecnici e consulenti da inserire nell'amministrazione costringeranno
il M5S a fare i conti con il problema della "legalità". Da cui ha tratto,
sin qui, forza e legittimazione. Ma in modo prevalentemente critico.
Esercitando, cioè, un ruolo di "sorveglianza" sugli altri. Il M5S
dovrà, di conseguenza, strutturarsi, formare gruppi dirigenti, stabilire
contatti e collegamenti con la società, con i circoli e gli ambienti intellettuali
e "specialisti".
Per questo
la vicenda romana costituisce un grande rischio, ma anche un'opportunità, per
il M5S. Per diventare un partito "normale". Che va oltre il mito
della democrazia "diretta" e accetta le logiche della democrazia
"rappresentativa". Come, di fatto, avviene già, visto che affronta la
competizione elettorale e i suoi "rappresentanti" operano nelle
assemblee rappresentative. Cioè, in Parlamento. D'altronde, la "normalità"
dei partiti non può essere riassunta nella corruzione e nella degenerazione,
denunciate negli ultimi vent'anni. Mentre, per quanto mi riguarda, non ritengo
possibile una democrazia senza partiti.
La
"normalizzazione" del M5S, infine, può evitare il ritorno alla
storica anomalia. Il bipartitismo (bipolarismo?) imperfetto, che ha
accompagnato l'Italia nel corso del dopoguerra. L'alternativa senza alternanza,
fra comunisti e anticomunisti. Con il Pci costretto all'opposizione e la Dc a
governare. Un modello riprodotto, dopo Tangentopoli, dal dualismo fra
antiberlusconiani e anticomunisti. Che hanno delineato un'alternanza tra due
fronti alternativi. Ma senza dialogo e riconoscimento reciproco. Come avviene
oggi: fra Pd(r) e M5S. Cioè, fra politica e antipolitica. Per questo la crisi di
Roma può essere utile. Se costringerà il M5S non
solo a "normalizzarsi", ma
a "politicizzarsi". A diventare - e ad accettare di essere - una
forza politica, e non solo antipolitica. Una possibile alternativa di governo.
Il "movimento", in altri termini, si dovrebbe trasformare in
"partito": da M5S a P5S.
Ilvo
Diamanti (La Repubblica, 5 settembre 2016)
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