lunedì 3 ottobre 2016

Referendum: Renzi, capovenditore del Sì, insulta Stato e cittadini



 
Ma davvero del confronto tra Matteo Renzi e Gustavo Zagrebelsky passa e rimane esclusivamente la “prestazione televisiva” di ciascuno? Dovrei veramente accettare che su un argomento così serio – che riguarda e modifica gli equilibri stessi della società – il dibattito sia limitato a “quello è più simpatico”, “l’altro è pesante e senza ritmo”? Io non ce la faccio, mi spiace.

Ho visto e rivisto per tre volte il confronto, nel caso mi fosse sfuggito qualcosa. Ed è vero: Renzi è bravissimo nella tecnica televisiva. Fa delle faccette da teatrante consumato. E sì, se dovessi limitarmi alla superficie delle televendite, direi “ha vinto Renzi”. Ma non era un confronto tra due politici avversari candidati a qualcosa. Né tra due piazzisti intenti a convincere delle qualità del proprio prodotto possibili acquirenti. Erano un presidente del Consiglio e uno tra i più autorevoli costituzionalisti italiani. E stavano parlando di una cosa che si chiama Costituzione, cioè fondamenta, architravi, struttura, tutto ciò che riguarda il Paese, le regole e il funzionamento della democrazia che, nel caso vincesse il Sì, rischia di trasformarsi – se va bene – in oligarchia.

Insomma, una questione piuttosto importante direi. Quindi io non posso accettare che ci si fermi alle battutine e frasi a effetto; del confronto ho ascoltato le parole, i contenuti. E ascoltando parole e contenuti non posso che dire come Zagrebelsky abbia illustrato alla perfezione i possibili effetti nefasti della riforma, mentre Renzi abbia fatto Renzi: buttato in caciara ogni argomento e ridotto il tutto a meri slogan pubblicitari. Come del resto dimostrato manifesti e spot pubblicitari del fronte del Sì di cui il premier è capo e guida indiscussa.

Zagrebelsky ha spiegato, ad esempio, come deleterio sia il combinato disposto tra riforma costituzionale e legge elettorale Italicum. Renzi si è messo a parlare degli italiani che non arrivano a fine mese. Zagrebelsky ha illustrato l’assurdità che le regole delle opposizioni siano stabilite dalla maggioranza e dell’inutilità del Senato così come ipotizzato dalla riforma. Renzi fa le battute sui doppioni alla figurine Panini e ripete che “si riduce il numero dei politici”. E via così. Tant’è che Zagrebelsky, dopo la prima ora di dialogo, fa notare al premier che i “costituzionalisti signor presidente non sono legati alle formulette, ciò che conta è l’insieme”.

Insomma. Ai contenuti, al merito, alle conseguenze della riforma elencate dall’ex presidente della Corte Costituzionale, il premier rispondeva con slogan vuoti e spesso menzogneri. Zagrebelsky lo smentiva – nel merito – e Renzi cambiava argomento. È lì da vedere. Il punto più basso lo sfiora il premier quando tira fuori una dichiarazione di anni fa di Zagrebelsky. Renzi, noto guru della coerenza e della sincerità. Che dall’Enrico stai sereno del gennaio 2014 al “Se il Sì perde vado a casa”, non ha mai rispettato le parole che ha espresso. Insomma, il video è lì, sul sito di La7.

È forse inutile scrivere che di questo premier io non mi fido perché si è rivelato inaffidabile e menzognero. E il confronto di pochi giorni fa mi ha confermato che quello che dice non può essere preso sul serio. Non è credibile. Non solo. È emersa, a mio avviso con evidenza, l’idea che ha del popolo italiano. Li considera fruitori di slogan pubblicitari. Persone incapaci di riflettere. Che possono bersi frasi come “diminuiremo il numero dei parlamentari”, “ridurremo i costi”, “se volete cambiare votate Sì”. E basta guardare gli spot. L’ultimo lo ha pubblicato stamani sul suo profilo twitter accompagnandolo con la frase: “Entriamo nel merito? In questo video si vede ciò che cambia davvero”.

E come inizia il video? Con una bugia: “Le leggi non rimbalzano più tra Camera e Senato”. Ma non è vero. E ne seguono altre. Di bugie. E Renzi ci mette la faccia. Questa è, a mio avviso mancanza di rispetto per i cittadini. E mancanza di rispetto per lo Stato. Perché se rispettasse elettori e Costituzione (che è appunto la base dello Stato democratico) un presidente del Consiglio – non eletto da nessuno – nonché segretario del partito di maggioranza, non si presterebbe a fare il capovenditore del Sì a una riforma così importante. Si guarderebbe bene dal prendere una posizione o, almeno, a diventare bandiera di una fazione. E invece gira l’Italia. 200 tappe in 60 giorni. A portare in giro il circo delle menzogne. Io guardo il contenuto. E vorrei un premier onesto. E invece mi pare un piazzista.



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