Ma davvero del confronto tra Matteo Renzi e Gustavo
Zagrebelsky passa e rimane esclusivamente la “prestazione
televisiva” di ciascuno? Dovrei veramente accettare che su un argomento così
serio – che riguarda e modifica gli equilibri stessi della società – il
dibattito sia limitato a “quello è più simpatico”, “l’altro è pesante e senza
ritmo”? Io non ce la faccio, mi spiace.
Ho visto e rivisto per tre volte il confronto, nel
caso mi fosse sfuggito qualcosa. Ed è vero: Renzi è bravissimo nella tecnica
televisiva. Fa delle faccette da teatrante consumato. E sì, se dovessi
limitarmi alla superficie delle televendite, direi “ha vinto Renzi”. Ma non era
un confronto tra due politici avversari candidati a qualcosa. Né tra due
piazzisti intenti a convincere delle qualità del proprio prodotto possibili
acquirenti. Erano un presidente del Consiglio e uno tra i più autorevoli
costituzionalisti italiani. E stavano parlando di una cosa che si chiama Costituzione,
cioè fondamenta, architravi, struttura, tutto ciò che riguarda il Paese, le
regole e il funzionamento della democrazia che, nel caso vincesse il Sì,
rischia di trasformarsi – se va bene – in oligarchia.
Insomma, una questione piuttosto importante direi.
Quindi io non posso accettare che ci si fermi alle battutine e frasi a effetto;
del confronto ho ascoltato le parole, i contenuti. E ascoltando parole e
contenuti non posso che dire come Zagrebelsky abbia illustrato alla perfezione i possibili effetti nefasti della
riforma, mentre Renzi abbia fatto Renzi: buttato in caciara
ogni argomento e ridotto il tutto a meri slogan pubblicitari. Come del resto
dimostrato manifesti e spot pubblicitari del fronte del Sì di cui il premier è
capo e guida indiscussa.
Zagrebelsky
ha spiegato, ad esempio, come deleterio sia il combinato disposto tra riforma
costituzionale e legge elettorale Italicum. Renzi si è messo a parlare degli
italiani che non arrivano a fine mese. Zagrebelsky ha illustrato l’assurdità
che le regole delle opposizioni siano stabilite dalla maggioranza e
dell’inutilità del Senato così come ipotizzato dalla riforma. Renzi fa le
battute sui doppioni alla figurine Panini e ripete che “si riduce il numero dei
politici”. E via così. Tant’è che Zagrebelsky, dopo la prima ora di dialogo, fa
notare al premier che i “costituzionalisti signor presidente non sono legati
alle formulette, ciò che conta è l’insieme”.
Insomma. Ai
contenuti, al merito, alle conseguenze della riforma elencate dall’ex
presidente della Corte Costituzionale, il premier rispondeva con slogan vuoti e
spesso menzogneri. Zagrebelsky lo smentiva – nel merito – e Renzi cambiava
argomento. È lì da vedere. Il punto più basso lo sfiora il premier quando tira
fuori una dichiarazione di anni fa di Zagrebelsky. Renzi, noto guru della coerenza
e della sincerità. Che dall’Enrico stai sereno del gennaio 2014 al “Se il Sì
perde vado a casa”, non ha mai rispettato le parole che ha espresso. Insomma,
il video è lì, sul sito di La7.
È forse
inutile scrivere che di questo premier io non mi fido perché si è rivelato
inaffidabile e menzognero. E il confronto di pochi giorni fa mi ha confermato
che quello che dice non può essere preso sul serio. Non è credibile. Non solo.
È emersa, a mio avviso con evidenza, l’idea che ha del popolo italiano. Li considera
fruitori di slogan pubblicitari. Persone incapaci di riflettere. Che possono
bersi frasi come “diminuiremo il numero dei parlamentari”, “ridurremo i costi”,
“se volete cambiare votate Sì”. E basta guardare gli spot. L’ultimo lo ha
pubblicato stamani sul suo profilo twitter accompagnandolo con la frase:
“Entriamo nel merito? In questo video si vede ciò che cambia davvero”.
E come
inizia il video? Con una bugia: “Le leggi non rimbalzano più tra Camera e
Senato”. Ma non è vero. E ne seguono altre. Di bugie. E Renzi ci mette la
faccia. Questa è, a mio avviso mancanza di rispetto per i cittadini. E mancanza
di rispetto per lo Stato. Perché se rispettasse elettori e Costituzione (che è
appunto la base dello Stato democratico) un presidente del Consiglio – non
eletto da nessuno – nonché segretario del partito di maggioranza, non si
presterebbe a fare il capovenditore del Sì a una riforma così importante. Si
guarderebbe bene dal prendere una posizione o, almeno, a diventare bandiera di
una fazione. E invece gira l’Italia. 200 tappe in 60 giorni. A portare in giro
il circo delle menzogne. Io guardo il contenuto. E vorrei un premier onesto. E
invece mi pare un piazzista.
Davide Vecchi (Il Fatto Quotidiano, 3 ottobre 2016)
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