giovedì 9 febbraio 2017

L’EDITORIALE. STRONZI: RIDATE IL FUTURO AI GIOVANI. SUBITO

 

La lettera di Michele, il trentenne udinese morto qualche giorno fa suicida ( la trovate qui sotto), colpisce più che per la disperazione, ovvia in chi ha deciso di togliersi la vita, per la lucidità con cui il giovane motiva l’ insano gesto. Senza tanti giri di parole: il ragazzo e’ stato ucciso dalla precarietà, dalla mancanza di sogni e di speranza nel futuro.


Un testamento generazionale, quello di Michele, che è un atto di accusa violentissimo. E giustissimo. Una richiesta implicita di istituire un nuovo tribunale di Norimberga per crimini contro l’umanità. Alla sbarra, i soliti noti: mondo delle finanza, banche, imprenditori egoisti e codardi, una politica composta da incapaci insensibili. Si dirà: è sempre andata così nel mondo. Vero. nel medioevo, sicuro. E anche durante il nazi fascismo, in cui una oligarchia sorda, privilegiava un ristretto numero di persone a danno degli altri. Ma dopo, dopo la seconda guerra mondiale intendo, le cose erano cambiate. Con tutte le storture di sempre, ai giovani era consentito sognare, immaginare un futuro pieno di soddisfazioni, ricco e migliore dei loro genitori. Quanto meno sereno e con la garanzia del 27 del mese. Bastava impegnarsi, all’epoca, per arrivare. La strada era più lunga, sicuro, ma restava la soddisfazione di avercela fatta per meriti e con le proprie gambe, non per raccomandazione. Certo, se sceglievi la scorciatoia, arrivavi facile ma molto spesso, prima o dopo, ti schiantavi contro un palo, oltre a ricevere una continua e devastante riprovazione sociale. Perchè senza preparazione, da sempre, non si va da nessuna parte.


Adesso, da almeno vent’anni, non si va da nessuna parte nemmeno con quella, con la preparazione. E’ il famoso 40 per cento. Di disoccupazione giovanile. A conti fatti, quella attuale dei venti, trenta , quarantenni è una generazione bruciata ancor prima di fiorire. Non accanitevi con loro:  puoi fare master, prendere  come è giusto che sia, due o tre lauree, ma poi se non ci sono sbocchi, ti rimane la faticosa vita precaria, seppur dignitosa, del cameriere. Zero sogni, dopo tanto studio.  Del resto quali speranze possono avere i giovani se sperano di fare gli avvocati e portano a casa 800 traballanti euro, desiderano fare i giornalisti e vengono pagati due euro ad articolo, vogliono fare gli ingegneri e non riescono perchè vengono richieste competenze impossibili a 30 anni e per doli 1200 euro netti a tempo determinato?  Oppure vorresti fare il medico e c’è un overbooking impressionante. Gli architetti, poi:  si arrampicano con altri mille mestieri che nulla c’entrano con la professione scelta, pur di arrivare a fine mese. Potrei continuare all’infinito, con tutti i lavori che si sognavano da bambini . Per ognuno, ora, ci sarebbe un cartello con la scritta: inarrivabile.


Un muro invalicabile verso la strada dei sogni. Questo si trovano di fronte oggi quelli della generazione perduta. Gli unici venti, trenta, quarantenni che ce l’hanno fatta sono i soliti figli di papà, i volponi con il pelo sullo stomaco, gli squallidi assertori del meritricio senza dignità. Vendersi l’onorabilità pur di arrivare in alto. Questo è. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti: nove giovani  su dieci  che ce l’hanno fatta sono totalmente incapaci. Ma sono stati protetti. Protetti da un potere marcio fino al midollo che ha consentito loro di arrivare ai vertici senza passare dal via della sacrosanta gavetta. Per tutti gli altri c’è solo tanta umiliazione. Fino ad arrivare al lucido atto finale di Michele, di cui non si parlerebbe se i genitori non avessero deciso di diffondere  con coraggio sul quotidiano cittadino, la lettera di addio del loro amato figlio.


Intendiamoci. I giovani, anche loro,  hanno  qualche responsabilità. Vissuti in un benessere economico cancellato in pochi anni dal criminale mercato liberista imposto dal capitalismo, con rabbia arrogante hanno pensato che tutto fosse loro dovuto, all’inizio. Sbagliando. Non si nasce capi o stelle dello spettacolo per dono divino. Bisogna crescere, faticare, studiare, attendere , fare esperienza, prima di arrivare ai vertici in qualsiasi campo e raccogliere i meritati frutti ,superati i cinquant’anni. Così almeno funzionava un tempo. I bambini viziati nati negli anni 80 hanno creduto invece che bastasse un sì, quello che dicevano i loro genitori per accontentarli e non discutere, per ottenere tutto facilmente. Ma all’improvviso si sono risvegliati dal sogno e così si è passati da un eccesso all’altro: dai gadget di tutti i tipi ottenuti senza sforzi,  ad un percorso di guerra in cui difficilmente si riesce a portare a casa la pelle. Per cui poi, ponendo che uno si accontenti e si rassegni a non  fare nella vita il lavoro sognato, anche abbassando il tiro sarà sempre una vita di merda. Una precaria vita di merda, nella quale  non hai nemmeno  la forza di progettare una famiglia, dei figli. Perchè il 27 del mese non arriverà mai più. Questo, signori, è il liberismo che non abbiamo combattuto abbastanza.


Il posto fisso è noioso, disse nel febbraio del 2012 Mario Monti, appena messo d’imperio alla presidenza del consiglio. Voleva semplicemente far passare il messaggio che la sicurezza sul lavoro non ci  sarebbe più stata. Lo veicolava, con un sorriso, dalla Gruber, lo ricordo bene. La risposta più logica doveva  essere: bene, anche i mutui casa sono noiosi, se ho i soldi li pago, altrimenti le banche le mie stipule le prendessero alla stregua di uno stage non retribuito. Se ho ancora lo stipendio ok, altrimenti mi tengo la casa, arrivederci e grazie. Si sarebbe bloccata l’economia liberista, statene certi . Invece, silenzio.


Ecco, dopo quella frase di Monti,  i giovani sarebbero dovuti scendere in piazza a milioni, chiedere le sue dimissioni. Idem con Berlusconi, che ad una ragazza  carina una volta, nel salotto televisivo di  Bruno Vespa,  disse: è disoccupata? La soluzione c’è, si trovi un marito, lei che è così bella. Ma come gli era venuta in mente, una risposta così becera? Fino ad arrivare all’orrido Jobs act, la madre di tutte le precarietà. Nemmeno allora i giovani scesero in piazza a milioni, per protestare. Sbagliando ancora una volta.


Rassegnati, uno ad uno hanno iniziato ad andare all’estero. L’Italia di loro ne può fare a meno, disse con un’infelicissima frase Giuliano Poletti un paio di mesi fa. All’estero, d’accordo: ma per fare cosa? Nè più nè meno che i precari, come in Italia. Perchè la perdita del lavoro sicuro, ben retribuito, la perdita del sogno di fare la professione agognata o della speranza in un futuro minimamente dignitoso accomuna  tutto il mondo occidentale: Germania, Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Giappone, Canada, Australia. Statene certi: non si salverà nessuno, fino a quando le fauci di quell’1 per cento di cosiddetti esseri umani, che muovono le leve del pianeta, si spalancheranno voraci.


In attesa di una rivolta sociale che, usando la logica,  a queste condizioni non tarderà ad arrivare, molti continuano comunque  a resistere eroicamente. Altri, come Michele, ci provano, poi  stanchi di illudersi, di essere sfruttati  come schiavi dal mercato dei voucher, si fanno da parte, si arrendono, alimentando  un criminale cimitero di giovani lapidi. Perchè, converrete, una vita senza desideri e senza sicurezze sociali, non è vita.

 Lucio Giordano (ALGANEWS - 7 febbraio 2017)

 

LA LETTERA DI MICHELE

Ho vissuto (male) per trent’anni, qualcuno dirà che è troppo poco. Quel qualcuno non è in grado di stabilire quali sono i limiti di sopportazione, perché sono soggettivi, non oggettivi.

Ho cercato di essere una brava persona, ho commessi molti errori, ho fatto molti tentativi, ho cercato di darmi un senso e uno scopo usando le mie risorse, di fare del malessere un’arte.

Ma le domande non finiscono mai, e io di sentirne sono stufo. E sono stufo anche di pormene. Sono stufo di fare sforzi senza ottenere risultati, stufo di critiche, stufo di colloqui di lavoro come grafico inutili, stufo di sprecare sentimenti e desideri per l’altro genere (che evidentemente non ha bisogno di me), stufo di invidiare, stufo di chiedermi cosa si prova a vincere, di dover giustificare la mia esistenza senza averla determinata, stufo di dover rispondere alle aspettative di tutti senza aver mai visto soddisfatte le mie, stufo di fare buon viso a pessima sorte, di fingere interesse, di illudermi, di essere preso in giro, di essere messo da parte e di sentirmi dire che la sensibilità è una grande qualità.

Tutte balle. Se la sensibilità fosse davvero una grande qualità, sarebbe oggetto di ricerca. Non lo è mai stata e mai lo sarà, perché questa è la realtà sbagliata, è una dimensione dove conta la praticità che non premia i talenti, le alternative, sbeffeggia le ambizioni, insulta i sogni e qualunque cosa non si possa inquadrare nella cosiddetta normalità. Non la posso riconoscere come mia.

Da questa realtà non si può pretendere niente. Non si può pretendere un lavoro, non si può pretendere di essere amati, non si possono pretendere riconoscimenti, non si può pretendere di pretendere la sicurezza, non si può pretendere un ambiente stabile.

A quest’ultimo proposito, le cose per voi si metteranno talmente male che tra un po’ non potrete pretendere nemmeno cibo, elettricità o acqua corrente, ma ovviamente non è più un mio problema. Il futuro sarà un disastro a cui non voglio assistere, e nemmeno partecipare. Buona fortuna a chi se la sente di affrontarlo.

Non è assolutamente questo il mondo che mi doveva essere consegnato, e nessuno mi può costringere a continuare a farne parte. È un incubo di problemi, privo di identità, privo di garanzie, privo di punti di riferimento, e privo ormai anche di prospettive.

Non ci sono le condizioni per impormi, e io non ho i poteri o i mezzi per crearle. Non sono rappresentato da niente di ciò che vedo e non gli attribuisco nessun senso: io non c’entro nulla con tutto questo. Non posso passare la vita a combattere solo per sopravvivere, per avere lo spazio che sarebbe dovuto, o quello che spetta di diritto, cercando di cavare il meglio dal peggio che si sia mai visto per avere il minimo possibile. Io non me ne faccio niente del minimo, volevo il massimo, ma il massimo non è a mia disposizione.

Di no come risposta non si vive, di no si muore, e non c’è mai stato posto qui per ciò che volevo, quindi in realtà, non sono mai esistito. Io non ho tradito, io mi sento tradito, da un’epoca che si permette di accantonarmi, invece di accogliermi come sarebbe suo dovere fare.

Lo stato generale delle cose per me è inaccettabile, non intendo più farmene carico e penso che sia giusto che ogni tanto qualcuno ricordi a tutti che siamo liberi, che esiste l’alternativa al soffrire: smettere. Se vivere non può essere un piacere, allora non può nemmeno diventare un obbligo, e io l’ho dimostrato. Mi rendo conto di fare del male e di darvi un enorme dolore, ma la mia rabbia ormai è tale che se non faccio questo, finirà ancora peggio, e di altro odio non c’è davvero bisogno.

Sono entrato in questo mondo da persona libera, e da persona libera ne sono uscito, perché non mi piaceva nemmeno un po’. Basta con le ipocrisie.

Non mi faccio ricattare dal fatto che è l’unico possibile, io modello unico non funziona. Siete voi che fate i conti con me, non io con voi. Io sono un anticonformista, da sempre, e ho il diritto di dire ciò che penso, di fare la mia scelta, a qualsiasi costo. Non esiste niente che non si possa separare, la morte è solo lo strumento. Il libero arbitrio obbedisce all’individuo, non ai comodi degli altri.

Io lo so che questa cosa vi sembra una follia, ma non lo è. È solo delusione. Mi è passata la voglia: non qui e non ora. Non posso imporre la mia essenza, ma la mia assenza si, e il nulla assoluto è sempre meglio di un tutto dove non puoi essere felice facendo il tuo destino.

Perdonatemi, mamma e papà, se potete, ma ora sono di nuovo a casa. Sto bene.

Dentro di me non c’era caos. Dentro di me c’era ordine. Questa generazione si vendica di un furto, il furto della felicità. Chiedo scusa a tutti i miei amici. Non odiatemi. Grazie per i bei momenti insieme, siete tutti migliori di me. Questo non è un insulto alle mie origini, ma un’accusa di alto tradimento.

P.S. Complimenti al ministro Poletti. Lui sì che ci valorizza a noi stronzi.

Ho resistito finché ho potuto.

http://messaggeroveneto.gelocal.it/udine/cronaca/2017/02/07/news/non-posso-passare-il-tempo-a-cercare-di-sopravvivere-1.14839837?ref=hfmvudea-1

http://www.la7.it/piazzapulita/rivedila7/piazzapulita-ultimo-stadio-puntata-09022017-10-02-2017-204108

 

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