L’EDITORIALE. STRONZI: RIDATE IL FUTURO AI GIOVANI. SUBITO
La lettera di Michele, il trentenne
udinese morto qualche giorno fa suicida ( la trovate qui sotto),
colpisce più che per la disperazione, ovvia in chi ha deciso di
togliersi la vita, per la lucidità con cui il giovane motiva l’ insano
gesto. Senza tanti giri di parole: il ragazzo e’ stato ucciso dalla
precarietà, dalla mancanza di sogni e di speranza nel futuro.
Un testamento generazionale, quello di
Michele, che è un atto di accusa violentissimo. E giustissimo. Una
richiesta implicita di istituire un nuovo tribunale di Norimberga per
crimini contro l’umanità. Alla sbarra, i soliti noti: mondo delle
finanza, banche, imprenditori egoisti e codardi, una politica composta
da incapaci insensibili. Si dirà: è sempre andata così nel mondo. Vero.
nel medioevo, sicuro. E anche durante il nazi fascismo, in cui una
oligarchia sorda, privilegiava un ristretto numero di persone a danno
degli altri. Ma dopo, dopo la seconda guerra mondiale intendo, le cose
erano cambiate. Con tutte le storture di sempre, ai giovani era
consentito sognare, immaginare un futuro pieno di soddisfazioni, ricco e
migliore dei loro genitori. Quanto meno sereno e con la garanzia del 27
del mese. Bastava impegnarsi, all’epoca, per arrivare. La strada era
più lunga, sicuro, ma restava la soddisfazione di avercela fatta per
meriti e con le proprie gambe, non per raccomandazione. Certo, se
sceglievi la scorciatoia, arrivavi facile ma molto spesso, prima o dopo,
ti schiantavi contro un palo, oltre a ricevere una continua e
devastante riprovazione sociale. Perchè senza preparazione, da sempre,
non si va da nessuna parte.
Adesso, da almeno vent’anni, non si va
da nessuna parte nemmeno con quella, con la preparazione. E’ il famoso
40 per cento. Di disoccupazione giovanile. A conti fatti,
quella attuale dei venti, trenta , quarantenni è una generazione
bruciata ancor prima di fiorire. Non accanitevi con loro: puoi fare
master, prendere come è giusto che sia, due o tre lauree, ma poi se non
ci sono sbocchi, ti rimane la faticosa vita precaria, seppur dignitosa,
del cameriere. Zero sogni, dopo tanto studio. Del resto quali speranze
possono avere i giovani se sperano di fare gli avvocati e portano a
casa 800 traballanti euro, desiderano fare i giornalisti e vengono
pagati due euro ad articolo, vogliono fare gli ingegneri e non riescono
perchè vengono richieste competenze impossibili a 30 anni e per doli
1200 euro netti a tempo determinato? Oppure vorresti fare il medico e
c’è un overbooking impressionante. Gli architetti, poi: si arrampicano
con altri mille mestieri che nulla c’entrano con la professione
scelta, pur di arrivare a fine mese. Potrei continuare all’infinito, con
tutti i lavori che si sognavano da bambini . Per ognuno, ora, ci
sarebbe un cartello con la scritta: inarrivabile.
Un muro invalicabile verso la strada dei
sogni. Questo si trovano di fronte oggi quelli della generazione
perduta. Gli unici venti, trenta, quarantenni che ce l’hanno fatta sono i
soliti figli di papà, i volponi con il pelo sullo stomaco, gli
squallidi assertori del meritricio senza dignità. Vendersi
l’onorabilità pur di arrivare in alto. Questo è. E i risultati sono
sotto gli occhi di tutti: nove giovani su dieci che ce l’hanno fatta
sono totalmente incapaci. Ma sono stati protetti. Protetti da un potere
marcio fino al midollo che ha consentito loro di arrivare ai vertici
senza passare dal via della sacrosanta gavetta. Per tutti gli altri c’è
solo tanta umiliazione. Fino ad arrivare al lucido atto finale di
Michele, di cui non si parlerebbe se i genitori non avessero deciso di
diffondere con coraggio sul quotidiano cittadino, la lettera di addio
del loro amato figlio.
Intendiamoci. I giovani, anche loro,
hanno qualche responsabilità. Vissuti in un benessere economico
cancellato in pochi anni dal criminale mercato liberista imposto dal
capitalismo, con rabbia arrogante hanno pensato che tutto fosse loro
dovuto, all’inizio. Sbagliando. Non si nasce capi o stelle dello
spettacolo per dono divino. Bisogna crescere, faticare, studiare,
attendere , fare esperienza, prima di arrivare ai vertici in qualsiasi
campo e raccogliere i meritati frutti ,superati i cinquant’anni. Così
almeno funzionava un tempo. I bambini viziati nati negli anni 80 hanno
creduto invece che bastasse un sì, quello che dicevano i loro genitori
per accontentarli e non discutere, per ottenere tutto facilmente. Ma
all’improvviso si sono risvegliati dal sogno e così si è passati da un
eccesso all’altro: dai gadget di tutti i tipi ottenuti senza sforzi, ad
un percorso di guerra in cui difficilmente si riesce a portare a casa
la pelle. Per cui poi, ponendo che uno si accontenti e si rassegni a
non fare nella vita il lavoro sognato, anche abbassando il tiro sarà
sempre una vita di merda. Una precaria vita di merda, nella quale non
hai nemmeno la forza di progettare una famiglia, dei figli. Perchè il
27 del mese non arriverà mai più. Questo, signori, è il liberismo che
non abbiamo combattuto abbastanza.
Il posto fisso è noioso, disse nel
febbraio del 2012 Mario Monti, appena messo d’imperio alla presidenza
del consiglio. Voleva semplicemente far passare il messaggio che la
sicurezza sul lavoro non ci sarebbe più stata. Lo veicolava, con un
sorriso, dalla Gruber, lo ricordo bene. La risposta più logica
doveva essere: bene, anche i mutui casa sono noiosi, se ho i soldi li
pago, altrimenti le banche le mie stipule le prendessero alla stregua di
uno stage non retribuito. Se ho ancora lo stipendio ok, altrimenti mi
tengo la casa, arrivederci e grazie. Si sarebbe bloccata l’economia
liberista, statene certi . Invece, silenzio.
Ecco, dopo quella frase di Monti, i
giovani sarebbero dovuti scendere in piazza a milioni, chiedere le sue
dimissioni. Idem con Berlusconi, che ad una ragazza carina una volta,
nel salotto televisivo di Bruno Vespa, disse: è disoccupata? La
soluzione c’è, si trovi un marito, lei che è così bella. Ma come gli era
venuta in mente, una risposta così becera? Fino ad arrivare
all’orrido Jobs act, la madre di tutte le precarietà. Nemmeno allora i
giovani scesero in piazza a milioni, per protestare. Sbagliando ancora
una volta.
Rassegnati, uno ad uno hanno iniziato ad
andare all’estero. L’Italia di loro ne può fare a meno, disse con
un’infelicissima frase Giuliano Poletti un paio di mesi fa. All’estero,
d’accordo: ma per fare cosa? Nè più nè meno che i precari, come in
Italia. Perchè la perdita del lavoro sicuro, ben retribuito, la perdita
del sogno di fare la professione agognata o della speranza in un futuro
minimamente dignitoso accomuna tutto il mondo occidentale: Germania,
Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Giappone, Canada, Australia. Statene
certi: non si salverà nessuno, fino a quando le fauci di quell’1 per
cento di cosiddetti esseri umani, che muovono le leve del pianeta, si
spalancheranno voraci.
In attesa di una rivolta sociale che,
usando la logica, a queste condizioni non tarderà ad arrivare, molti
continuano comunque a resistere eroicamente. Altri, come Michele, ci
provano, poi stanchi di illudersi, di essere sfruttati come schiavi
dal mercato dei voucher, si fanno da parte, si arrendono, alimentando
un criminale cimitero di giovani lapidi. Perchè, converrete, una vita
senza desideri e senza sicurezze sociali, non è vita.
LA LETTERA DI MICHELE
Ho vissuto (male) per trent’anni,
qualcuno dirà che è troppo poco. Quel qualcuno non è in grado di
stabilire quali sono i limiti di sopportazione, perché sono soggettivi,
non oggettivi.
Ho cercato di essere una brava
persona, ho commessi molti errori, ho fatto molti tentativi, ho cercato
di darmi un senso e uno scopo usando le mie risorse, di fare del
malessere un’arte.
Ma le domande non finiscono mai, e
io di sentirne sono stufo. E sono stufo anche di pormene. Sono stufo di
fare sforzi senza ottenere risultati, stufo di critiche, stufo di
colloqui di lavoro come grafico inutili, stufo di sprecare sentimenti e
desideri per l’altro genere (che evidentemente non ha bisogno di me),
stufo di invidiare, stufo di chiedermi cosa si prova a vincere, di dover
giustificare la mia esistenza senza averla determinata, stufo di dover
rispondere alle aspettative di tutti senza aver mai visto soddisfatte le
mie, stufo di fare buon viso a pessima sorte, di fingere interesse, di
illudermi, di essere preso in giro, di essere messo da parte e di
sentirmi dire che la sensibilità è una grande qualità.
Tutte balle. Se la sensibilità fosse
davvero una grande qualità, sarebbe oggetto di ricerca. Non lo è mai
stata e mai lo sarà, perché questa è la realtà sbagliata, è una
dimensione dove conta la praticità che non premia i talenti, le
alternative, sbeffeggia le ambizioni, insulta i sogni e qualunque cosa
non si possa inquadrare nella cosiddetta normalità. Non la posso
riconoscere come mia.
Da questa realtà non si può
pretendere niente. Non si può pretendere un lavoro, non si può
pretendere di essere amati, non si possono pretendere riconoscimenti,
non si può pretendere di pretendere la sicurezza, non si può pretendere
un ambiente stabile.
A quest’ultimo proposito, le cose
per voi si metteranno talmente male che tra un po’ non potrete
pretendere nemmeno cibo, elettricità o acqua corrente, ma ovviamente non
è più un mio problema. Il futuro sarà un disastro a cui non voglio
assistere, e nemmeno partecipare. Buona fortuna a chi se la sente di
affrontarlo.
Non è assolutamente questo il mondo
che mi doveva essere consegnato, e nessuno mi può costringere a
continuare a farne parte. È un incubo di problemi, privo di identità,
privo di garanzie, privo di punti di riferimento, e privo ormai anche di
prospettive.
Non ci sono le condizioni per
impormi, e io non ho i poteri o i mezzi per crearle. Non sono
rappresentato da niente di ciò che vedo e non gli attribuisco nessun
senso: io non c’entro nulla con tutto questo. Non posso passare la vita a
combattere solo per sopravvivere, per avere lo spazio che sarebbe
dovuto, o quello che spetta di diritto, cercando di cavare il meglio dal
peggio che si sia mai visto per avere il minimo possibile. Io non me ne
faccio niente del minimo, volevo il massimo, ma il massimo non è a mia
disposizione.
Di no come risposta non si vive, di
no si muore, e non c’è mai stato posto qui per ciò che volevo, quindi in
realtà, non sono mai esistito. Io non ho tradito, io mi sento tradito,
da un’epoca che si permette di accantonarmi, invece di accogliermi come
sarebbe suo dovere fare.
Lo stato generale delle cose per me è
inaccettabile, non intendo più farmene carico e penso che sia giusto
che ogni tanto qualcuno ricordi a tutti che siamo liberi, che esiste
l’alternativa al soffrire: smettere. Se vivere non può essere un
piacere, allora non può nemmeno diventare un obbligo, e io l’ho
dimostrato. Mi rendo conto di fare del male e di darvi un enorme dolore,
ma la mia rabbia ormai è tale che se non faccio questo, finirà ancora
peggio, e di altro odio non c’è davvero bisogno.
Sono entrato in questo mondo da
persona libera, e da persona libera ne sono uscito, perché non mi
piaceva nemmeno un po’. Basta con le ipocrisie.
Non mi faccio ricattare dal fatto
che è l’unico possibile, io modello unico non funziona. Siete voi che
fate i conti con me, non io con voi. Io sono un anticonformista, da
sempre, e ho il diritto di dire ciò che penso, di fare la mia scelta, a
qualsiasi costo. Non esiste niente che non si possa separare, la morte è
solo lo strumento. Il libero arbitrio obbedisce all’individuo, non ai
comodi degli altri.
Io lo so che questa cosa vi sembra
una follia, ma non lo è. È solo delusione. Mi è passata la voglia: non
qui e non ora. Non posso imporre la mia essenza, ma la mia assenza si, e
il nulla assoluto è sempre meglio di un tutto dove non puoi essere
felice facendo il tuo destino.
Perdonatemi, mamma e papà, se potete, ma ora sono di nuovo a casa. Sto bene.
Dentro di me non c’era caos. Dentro
di me c’era ordine. Questa generazione si vendica di un furto, il furto
della felicità. Chiedo scusa a tutti i miei amici. Non odiatemi. Grazie
per i bei momenti insieme, siete tutti migliori di me. Questo non è un
insulto alle mie origini, ma un’accusa di alto tradimento.
P.S. Complimenti al ministro Poletti. Lui sì che ci valorizza a noi stronzi.
Ho resistito finché ho potuto.
Nessun commento:
Posta un commento
Tutto quanto pubblicato in questo blog è coperto da copyright. E' quindi proibito riprodurre, copiare, utilizzare le fotografie e i testi senza il consenso dell'autore.