Il riconoscimento da parte del Tribunale per i minorenni di Firenze
dell’adozione di due bambini da parte di una coppia gay non è solo un
passo avanti nel riconoscimento dei pari diritti per le coppie
eterosessuali e omosessuali. È anche, e forse soprattutto, una grande
vittoria per i bambini che, indipendentemente dall’orientamento sessuale
dei propri genitori, vedono così finalmente riconosciuto il proprio
diritto alla continuità affettiva, ossia a quell’insieme di amore,
tenerezza, bisogni e legami che, fin da piccini, stabiliscono con i
genitori. “Si tratta di una vera e propria famiglia e di un rapporto di
filiazione in piena regola”, si legge nella sentenza che accoglie la
richiesta di trascrizione in Italia dell’adozione avvenuta nel Regno
Unito. Un rapporto di filiazione che, a partire dal momento in cui si
mette al primo posto “il superiore interesse dei minori”, è d’altronde
difficile negare o cancellare.
Allora perché, in Italia, manca ancora una legge che sia in grado di
proteggere l’interesse di tutti i bambini e di tutte le bambine? Perché
continuano ancora a esistere bimbi di serie A, nati all’interno di
famiglie eterosessuali o dati in affido a coppie sposate da almeno tre
anni, e bimbi di serie B, nati all’interno di famiglie omosessuali o
dati in affido a single?
Il problema, in Italia, è che in molti continuano a credere che l’unica e
vera filiazione sia quella biologica, considerando ovvio (e “naturale”)
che un figlio sia solo il frutto dell’incontro tra “femminile” e
“maschile”. Cosa certamente corretta da un punto di vista genetico, ma
discutibile da un punto di vista esistenziale e simbolico. Un conto è
mettere al mondo un figlio; altro conto è diventarne la madre o il
padre. Un conto è avere un legame genetico con la creatura che nasce;
altro conto è accompagnarlo, coccolarlo, consolarlo, talvolta anche
sgridarlo… in poche parole, permettergli pian piano di “tenersi su da
solo”, come spiega bene il pedopsichiatra D. W. Winnicott. Anche
semplicemente perché nessun essere umano può crescere armoniosamente
senza il desiderio profondo di chi, diventato padre o madre, cerca di
trasmettergli il senso dell’esistenza, riconoscendolo e amandolo per
quello che è.
Ognuno può ovviamente continuare a pensare che sia meglio per un figlio
crescere con un padre e una madre – anche se ormai gli studi scientifici
mostrano che i bambini cresciuti nelle famiglie omogenitoriali non
hanno niente da invidiare a quelli cresciuti nelle famiglie
eterosessuali, nel senso che non hanno né meno problemi né più problemi
di loro. Non si riesce però a capire per quale motivo, per assecondare
pregiudizi e stereotipi, si dovrebbero discriminare da un punto di vista
giuridico quei bambini che, senza aver scelto nulla – ma chi di noi
sceglie i propri genitori o il paese in cui nasce o i valori che gli
vengono o meno trasmessi? – vivono già con due uomini o con due donne
considerandoli legittimamente come i propri genitori. Non hanno anche
loro diritto a un riconoscimento pieno dei legami affettivi che
stabiliscono con loro?
Michela Marzano (www.michelamarzano.it)
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