E se fosse tutta una manfrina?
Di certo quella denominata come “Articolo
1 – Democratici e progressisti” è la secessione meno lacerante
nella storia secolare del frazionismo a sinistra. Ma anche la più carente di
motivazioni “alte”: qui non c’è nessun vento della Storia (con la Esse
maiuscola) che afferri nei suoi turbini passioni militanti; non ci sono scontri
ad alto tasso ideologico e neppure posizionamenti alternativi di campo. Qui non
si sceglie tra la conquista del Palazzo d’inverno al suono dell’Internazionale
e il richiamo patriottico del nazionalismo, non ci si ritrova
sospesi tra un mondo diviso a metà e perimetrato dalla Guerra Fredda.
Niente di tutto ciò. Siamo solo
al regolamento di conti tra un quarantenne in carriera,
ossessionato dalla volontà di rimaneggiare un partito a propria immagine e
somiglianza, a fronte di alcuni riottosi; eppure ricattabili sul tema sensibile
del posto sicuro, garantito a mezzo ricandidature negli organigrammi politici.
Il diverbio tra un blairiano con vent’anni di ritardo e i reduci da tutte le
abiure a sinistra delle due decadi precedenti. Insomma – in quanto a epicità –
era assai più coinvolgente la sfida dell’O.K. corral, quella tra Wyatt
Earp e Doc Holiday contro la banda dei Clanton.
Pure faide all’interno del ceto di partito, visto
che per quanto riguarda la spaccatura a palindromo Pd-Dp, l’antico
popolo comunista è ormai largamente estinto. E proprio perché risulta
una bega tra professional di partito, si può avanzare il non troppo peregrino
dubbio che se le incipienti primarie del Partito Democratico avranno l’effetto
di defenestrare l’attuale segretario, il suo scalpo potrebbe attivare il
rientro di buona parte della sedizione. Molto rumorosa mediaticamente ma (solo
per ora?) ben poco radicata socialmente. Insomma, se il trombonesco Michele
Emiliano e il flebile Andrea Orlando sconfiggeranno
il tiranno Matteo Renzi, dovremmo attenderci consistenti
marce indietro. Missione apparentemente impossibile, visto che il
ducetto di Rignano controlla tutte le leve del potere interno. Si diceva.
Lo pensavo anch’io. Ma ho cambiato idea quando si
è fatto avanti un apparatchik a zero passione come il Guardasigilli.
Soprattutto visto l’attivismo della magistratura – in questo caso dalle parti
del Nazareno e del Giglio Magico – come sempre segnale infallibile
dell’indebolimento politico del sottoposto all’attacco. Ed Emiliano continua a
tenere un piede anche in questa corporazione…
Fermo restando che questa non è politica,
è wrestling. Nella sua versione più feroce, combattimento tra
gladiatori. E sempre senza esclusione di colpi per difendere tesoretti e
orticelli. Che altro sono le turbolenze a destra, nel dilemma identità
o coalizionabilità? Apparentemente un confronto sulle più
efficaci strategie elettorali; quando – in effetti – braccio di ferro tra
l’ottuagenario eppure indomito ex Cavaliere che non molla (anche per difendere
patrimoni aziendali di famiglia) e i giovani lupi che intenderebbero issarsi
sul suo trono ventennale defenestrandolo. Mentre Angelino
Alfano e il suo sparuto gruppetto cercano di rientrare in quella corte
dei Miracoli come estrema mossa di sopravvivenza.
Che altro sono le campagne di epurazione nei dominions
grilleschi, che hanno prodotto un profluvio di “effetti notte” alla François
Truffaut? “Effetto Parma”, “Effetto Genova”, “Effetto Spezia”… Decimazioni per
tenere a bada qualche manciata di illusi, convinti che la crowdemocracy
si sarebbe rivelata più effettiva e tangibile di una gag
acchiappa-citrulli.
Questo è quanto. Ma la domanda angosciante
è: fino a quando potremo reggere questa situazione di non politica,
che crede di poter difendersi bollando ogni critica come “antipolitica”? Avendo
ben chiaro che un movimento di liberazione dalla pseudo-politica, che ci
prosciuga l’anima e lascia marcire il Paese, è una prospettiva che si misura
sull’arco dei decenni.
Pierfranco Pellizzetti (Il Fatto Quotidiano - 3 marzo 2017)
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