sabato 4 marzo 2017

Primarie Pd: più che politica, una gara di wrestling





E se fosse tutta una manfrina?

Di certo quella denominata come “Articolo 1 – Democratici e progressisti” è la secessione meno lacerante nella storia secolare del frazionismo a sinistra. Ma anche la più carente di motivazioni “alte”: qui non c’è nessun vento della Storia (con la Esse maiuscola) che afferri nei suoi turbini passioni militanti; non ci sono scontri ad alto tasso ideologico e neppure posizionamenti alternativi di campo. Qui non si sceglie tra la conquista del Palazzo d’inverno al suono dell’Internazionale e il richiamo patriottico del nazionalismo, non ci si ritrova sospesi tra un mondo diviso a metà e perimetrato dalla Guerra Fredda. 

Niente di tutto ciò. Siamo solo al regolamento di conti tra un quarantenne in carriera, ossessionato dalla volontà di rimaneggiare un partito a propria immagine e somiglianza, a fronte di alcuni riottosi; eppure ricattabili sul tema sensibile del posto sicuro, garantito a mezzo ricandidature negli organigrammi politici. Il diverbio tra un blairiano con vent’anni di ritardo e i reduci da tutte le abiure a sinistra delle due decadi precedenti. Insomma – in quanto a epicità – era assai più coinvolgente la sfida dell’O.K. corral, quella tra Wyatt Earp e Doc Holiday contro la banda dei Clanton. 

Pure faide all’interno del ceto di partito, visto che per quanto riguarda la spaccatura a palindromo Pd-Dp, l’antico popolo comunista è ormai largamente estinto. E proprio perché risulta una bega tra professional di partito, si può avanzare il non troppo peregrino dubbio che se le incipienti primarie del Partito Democratico avranno l’effetto di defenestrare l’attuale segretario, il suo scalpo potrebbe attivare il rientro di buona parte della sedizione. Molto rumorosa mediaticamente ma (solo per ora?) ben poco radicata socialmente. Insomma, se il trombonesco Michele Emiliano e il flebile Andrea Orlando sconfiggeranno il tiranno Matteo Renzi, dovremmo attenderci consistenti marce indietro. Missione apparentemente impossibile, visto che il ducetto di Rignano controlla tutte le leve del potere interno. Si diceva. 

Lo pensavo anch’io. Ma ho cambiato idea quando si è fatto avanti un apparatchik a zero passione come il Guardasigilli. Soprattutto visto l’attivismo della magistratura – in questo caso dalle parti del Nazareno e del Giglio Magico – come sempre segnale infallibile dell’indebolimento politico del sottoposto all’attacco. Ed Emiliano continua a tenere un piede anche in questa corporazione… 

Fermo restando che questa non è politica, è wrestling. Nella sua versione più feroce, combattimento tra gladiatori. E sempre senza esclusione di colpi per difendere tesoretti e orticelli. Che altro sono le turbolenze a destra, nel dilemma identità o coalizionabilità? Apparentemente un confronto sulle più efficaci strategie elettorali; quando – in effetti – braccio di ferro tra l’ottuagenario eppure indomito ex Cavaliere che non molla (anche per difendere patrimoni aziendali di famiglia) e i giovani lupi che intenderebbero issarsi sul suo trono ventennale defenestrandolo. Mentre Angelino Alfano e il suo sparuto gruppetto cercano di rientrare in quella corte dei Miracoli come estrema mossa di sopravvivenza. 

Che altro sono le campagne di epurazione nei dominions grilleschi, che hanno prodotto un profluvio di “effetti notte” alla François Truffaut? “Effetto Parma”, “Effetto Genova”, “Effetto Spezia”… Decimazioni per tenere a bada qualche manciata di illusi, convinti che la crowdemocracy si sarebbe rivelata più effettiva e tangibile di una gag acchiappa-citrulli. 

Questo è quanto. Ma la domanda angosciante è: fino a quando potremo reggere questa situazione di non politica, che crede di poter difendersi bollando ogni critica come “antipolitica”? Avendo ben chiaro che un movimento di liberazione dalla pseudo-politica, che ci prosciuga l’anima e lascia marcire il Paese, è una prospettiva che si misura sull’arco dei decenni.

Pierfranco Pellizzetti (Il Fatto Quotidiano - 3 marzo 2017) 

 

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