Papa
Francesco aveva deciso di andare in Egitto, dove avrebbe incontrato,
come incontrerà, anche il generale Abd al-Fattah al-Sisi, prima dei due
attentati terroristici, marcati Isis, che hanno causato 46 morti e circa
160 feriti. Il motto di questo viaggio era: “Il Papa di pace
nell’Egitto di pace”. L’Egitto di pace! Il Papa dimentica, come
tutti dimenticano o fan finta di dimenticare, che cos’è il regime di Al
Sisi e come costui è diventato il dittatore di quel Paese.
Il
24 giugno del 2012 le prime elezioni libere in Egitto erano state vinte
dai Fratelli Musulmani, movimento sostanzialmente moderato guidato
dall’avvocato Mohamed Morsi. Nell’anno e mezzo in cui Morsi ha potuto
guidare il Paese i Fratelli Musulmani non si erano macchiati di alcun
crimine, come invece ho sentito incredibilmente affermare in un servizio
di Sky Tg24 che mischiava disinvoltamente e appositamente le date:
nessuna persecuzione religiosa, tantomeno nei confronti dei cristiani
copti, nessun arresto di oppositori politici, neppure di quelli che
avevano appoggiato la precedente e trentennale dittatura di Hosni
Mubarak, nessuna restrizione alle libertà civili, nessuna legge tipo
sharia diversa da quelle che già vigeva in Egitto. E infatti per trovare
un pretesto per rovesciare il governo Morsi si dovette ricorrere alla
ridicola accusa che era “inefficiente”. A parte che, inefficienti o
meno, i Fratelli Musulmani non potevano essere particolarmente preparati
al governo perché essendo stati gli unici oppositori di Mubarak avevano
pagato questa opposizione a carissimo prezzo: arresti, torture (in cui
la polizia egiziana è specializzata), assassinii, desaparecidos. Ed è
proprio per questa loro opposizione alla dittatura, mentre i cosiddetti
‘laici’ se ne stavano al coperto ben stretti al regime di Mubarak, che
gli egiziani li avevano premiati, votandoli e portandoli al governo.
Il
3 luglio del 2013 il generale Al Sisi fu autore di un colpo di Stato
appoggiato da tutti i dirigenti politici occidentali (Matteo Renzi si
spingerà a definire Al Sisi “un grande statista”). Morsi, con tutta la
dirigenza musulmana, fu messo in galera e sottoposto a un processo
farsa. Approfittando di una manifestazione contro il colpo di Stato, in
cui era stato ucciso un poliziotto, furono uccisi 2.500 oppositori,
quasi tutti Fratelli Musulmani. Altri verranno assassinati in seguito.
Altri ancora finiranno fra i desaparecidos, circa 4.000, di cui ci siamo
accorti solo quando è stato assassinato Giulio Regeni che non è che uno
dei tanti. Nel frattempo Al Sisi procedeva a istituire Tribunali
Speciali, ad abolire di fatto la libertà di stampa, a vietare ogni tipo
di manifestazione, a procedere ad arresti indiscriminati (40 mila
oppositori sono in galera). Adesso, dopo gli attentati di Tanta e di
Alessandria, Al Sisi ha proclamato tre mesi di ‘stato di emergenza’ cioè
come ha osservato sarcasticamente un oppositore socialdemocratico (i
Fratelli Musulmani stanno comprensibilmente alla macchia) continuerà a
fare ciò che ha sempre fatto: crimini e misfatti.
Il
paradosso dei paradossi in questa vicenda è che il generale Al Sisi era
stato l’uomo forte del governo Mubarak. Insomma veniva restaurata la
dittatura precedente con alla testa un despota se possibile ancora più
sanguinario. Si ripeteva la stessa storia avvenuta in Algeria quando nel
1991 il FIS (Fronte Islamico di Salvezza), anch’esso sostanzialmente
moderato, aveva vinto a larghissima maggioranza le prime elezioni libere
algerine dopo decenni di una sanguinaria dittatura dei generali
tagliagole. I dirigenti del FIS furono arrestati e uccisi, migliaia di
militanti trucidati. Il pretesto di questa mattanza, appoggiata come
sempre dall’Occidente, era che il FIS avrebbe istaurato una dittatura,
cioè per evitare una ipotetica dittatura si riportava al potere quella,
concretissima, precedente. Ma nel caso di Morsi e dei Fratelli Musulmani
non può nemmeno valere questo pretesto. Perché i Fratelli hanno
governato per un anno e mezzo senza istaurare alcun regime, ma in
perfetto stile democratico. Non ci si può ora stupire se, stando così le
cose, una frangia dei Fratelli Musulmani è andata a ingrossare le file
dell’Isis e da qui viene la serie di attentati culminati, per il
momento, negli eccidi della domenica delle Palme.
Ora
nessuno, nemmeno un Papa, può gabellare l’Egitto di oggi, l’Egitto di
Al Sisi, come “Un Paese di pace”. Un Papa può fare naturalmente ciò che
vuole ma se va a stringere le mani piene di sangue di un dittatore
tagliagole come Abd al-Fattah al-Sisi non può pensare di mantenere una
credibilità morale. Sarebbe come se un Papa, allora era Montini, nel
1973 o negli anni successivi fosse andato a stringere la mano al
generale Pinochet. Ma Montini non lo fece. Anche perché, sia concesso di
dirlo a chi sta in partibus infidelium, era di un’altra caratura, intellettuale e morale.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 18 aprile 2017)
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