Ero
partito per le vacanze (in Corsica, “il luogo più vicino più lontano
dall’Occidente” come lo definisco) inseguito fin sulle scalette del
ferry dalle furibonde polemiche accese dalla ‘legge Fiano’ che vuole
introdurre il reato di ‘apologia di fascismo’. Noi italiani siamo
specializzati nelle polemiche inutili, quanto feroci, ma ci appassionano
particolarmente quelle catacombali. Ritorno dopo un mese e di quelle
polemiche, per il momento, non c’è più traccia perché la ‘legge Fiano’
non è ancora al vaglio del Parlamento. Ne trovo però una eco in un
episodio, apparentemente marginale, accaduto in un piccolo paese del
milanese, Corsico. L’assessore alle Politiche sociali Pietro Di Mino è
stato costretto a dimettersi per aver fatto sul suo profilo Facebook,
quindi in sede privata, gli auguri di compleanno a Benito Mussolini
nell’anniversario della nascita.
Per
altro non è la prima volta che qualcuno viene condannato per apologia
di fascismo anche senza che sia prevista una fattispecie specifica che
contempli questo reato. Nel 2015 sedici ragazzi furono condannati a un
mese di reclusione per aver fatto il saluto romano, ricorrendo alla
legge Scelba del 1952 che vieta la ricostituzione, in qualsiasi forma,
del partito fascista. E numerosissimi sono i casi, anche se qui siamo
fuori dalla sede penale, in cui delle persone sono state discriminate o
ferocemente attaccate per aver pronunciato parole o fatto gesti che si
richiamavano in qualche modo al fascismo.
Matteo
Renzi si incazza e mi indica al pubblico ludibrio con nome e cognome
(brutto vizio che, per la verità, appartiene anche ai grillini) se
scrivo che gli italiani sono diventati una massa di ignoranti. È che con
gli italiani bisogna sempre ricominciare tutto da capo. Dal punto e
dalla virgola. Cioè chiarire cose che dovrebbero essere elementari. In
un’autentica democrazia non possono esistere reati di opinione. Anche le
idee che ci paiono più aberranti devono avere diritto di cittadinanza. È
il prezzo che la democrazia paga a se stessa. Se non vuole trasformarsi
in una sorta di teocrazia laica. Il solo discrimine è che nessuna idea,
cattiva o buona che sia, può essere fatta valere con la violenza.
I
Codici Penale e di Procedura Penale di Alfredo Rocco, giurista del
regime fascista, erano tecnicamente ineccepibili, prima che la
sciagurata riforma del mio maestro Gian Domenico Pisapia, quell’innesto
malriuscito fra sistema accusatorio e inquisitorio, non ne facesse
scempio. Bastava depurarli dei reati liberticidi propri di una
dittatura. Invece non solo li abbiamo conservati (tutti i reati di
vilipendio alle Istituzioni, alla bandiera, eccetera) ma ne abbiamo
aggiunto degli altri. Abbiamo accennato alla legge Scelba del 1952 che
proibisce e punisce la ricostituzione, in qualsiasi forma, del partito
fascista. All’epoca era comprensibile. Uscivamo da un sanguinoso
conflitto civile e da una vergognosa sconfitta (anche se poi, nel nostro
immaginario autoconsolatorio, l’abbiamo trasformata in una
quasi-vittoria) a cui proprio il fascismo ci aveva portato. C’erano
troppi nervi scoperti. Oggi a 72 anni di distanza da quegli eventi, la
legge Scelba ha perso il suo senso.
Più
recentemente se ne sono aggiunte altre, come la legge Mancino del 1993
che punisce con pene severe “chi diffonde in qualsiasi modo idee fondate
sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico”. L’odio è un
sentimento, e in quanto tale incomprimibile. Come l’amore. Come la
gelosia. Come l’ira. È la prima volta, che mi risulti, che si cerca di
mettere le manette anche ai sentimenti. Io ho il diritto di odiare chi
mi pare e piace. Ma è ovvio che se gli torco anche solo un capello devo
andare diritto e di filato in gattabuia. Naturalmente è poco
intelligente odiare intere categorie di persone (“Ogni uomo è unico e
irripetibile” è una delle poche cose sensate dette da Papa Wojtila nel
suo disastroso venticinquennio di pontificato) ma bisogna accettare
anche la cretineria umana, altrimenti dovremmo fare piazza pulita (con
apposite leggi) di qualche miliardo di persone, a cominciare da noi
stessi.
Quel
che non si riesce proprio a far capire è che un principio, se vuole
rimanere tale, non può ammettere deroghe (è il dilemma di Creonte nell’Antigone
di Sofocle). Se lo si scalfisce, anche con le migliori intenzioni,
anche solo marginalmente, si sa da dove si comincia ma non dove si va a
finire. Anzi, lo si sa benissimo. Si finisce con l’espellere dalla
società tutto ciò che è contrario alla ‘communis opinio’. Cioè proprio
nel fascismo. Reale e culturale.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 3 agosto 2017)
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