sabato 19 agosto 2017

La Rambla, l'integrazione che dobbiamo difendere - Dobbiamo dare un nome ai luoghi disarmati dove consumiamo la nostra liberta. E il nome è quello della democrazia



Come una decimazione, hanno falciato uomini donne e ragazzi, indistintamente colpevoli di testimoniare un modo di vivere che loro rifiutano e combattono. Gli individui non contano: per loro conta la massa trasformata in bersaglio, la pura quantità stralciata sulle Ramblas dal popolo estivo della vacanza. 
Il tam tam estremista porterà le cifre del massacro come un bollettino di vittoria nei villaggi dove l'Isis si sta ritirando, svanito il sogno del Califfato: 14 morti, 130 feriti, che sono venuti da 35 diversi Paesi - da tutto il mondo - per trovare la morte a Barcellona. Un condensato di strage universale, proprio mentre a Turku in Finlandia si accoltellano i passanti sulla piazza del mercato del sabato, al grido "Allah akbar". 
Quel van bianco, costruito come strumento di lavoro per ridurre la fatica degli uomini e noleggiato come arma da lanciare sulla folla, testimonia in apparenza la vulnerabilità del nostro meccanismo sociale, dove tecnica, modernità e tecnologia possono essere rovesciate nella primordialità di un'arma impropria, quasi invisibile perché nasce dalla quotidiana abitudine strumentale del nostro vivere, di cui siamo abituati a servirci, ma da cui non abbiamo mai pensato di doverci proteggere. Finché quel furgone salta fuori dal contesto di regole e normalità che lo controlla e si lancia come una bomba sopra la gente, ieri a Nizza, adesso a Barcellona. 
Il fatto che questi attentati sorgano dall'interno del nostro costume civile rende difficile una prevenzione, perché possiamo difenderci da tutto, meno che dal nostro modo di vivere. Una sala da ballo a Parigi, un concerto a Manchester, una strada nel cuore della Spagna sono per definizione luoghi disarmati nel senso più ampio del termine, perché appartengono a quel tempo liberato dal lavoro che la nostra società si è conquistata per ordinarlo in un disegno di relazioni, appuntamenti, occasioni che organizzano una fruizione delle città, delle sere e delle notti urbane. 
In realtà dobbiamo pensare che la presunta e apparente modernità di questi attentati nasconde l'opposto, una religione trasformata in ideologia e scagliata in ritardo di secoli contro un mondo che rappresenta l'eterno confronto, ineliminabile, contro cui l'Isis sa di aver perduto in partenza e per sempre l'arma dell'egemonia, della sfida culturale, tanto da regredire all'epoca primitiva degli omicidi rituali. 
Ciò che ci rende vulnerabili è esattamente ciò per cui ci attaccano: la nostra libertà, di cui siamo custodi e praticanti imperfetti, ma consapevoli. La libertà dell'organizzazione della nostra vita, della sua combinazione con gli altri, della sottomissione spontanea alle leggi che ci siamo dati per regolare il nostro vivere sociale. Quei feriti di 34 Paesi falciati sulle Ramblas, testimoniano proprio questo, la libertà del movimento e della scelta, della vacanza e del lavoro, degli incontri e degli scambi, tutto ciò che fa di Barcellona - come di Roma, Parigi, Londra, Bruxelles e New York, dove tutto è cominciato con le Torri Gemelle - una città aperta, che guarda al mondo e sa ospitarlo nelle sue strade e nelle sue piazze, facendo mercato universale della sua storia, della cultura, dello stile di vita e dei suoi costumi.
Le Ramblas sfregiate a morte non sono dunque - non devono essere - una pura scena del delitto, un paesaggio inerte e indifferenziato. Sono espressione di un modo di vivere, parte del meccanismo quotidiano con cui la libertà si organizza in società, dopo essersi data norme, diritti, istituzioni. Noi dobbiamo dare un nome a questo spazio di quotidiana civiltà mondializzata, che l'Isis colpisce ipnotizzato proprio per marcare il suo particolarismo estremo, la sua irriducibilità, la radicalizzazione del suo rifiuto: solo così sarà possibile una lettura politica e non esclusivamente emotiva e sentimentale di quel che è accaduto e ancora accadrà. Il nome è quello della democrazia occidentale, di cui siamo cittadini infedeli e tuttavia testimoni inesauribili. 
È questa la cifra civile che oggi è sotto attacco e che dobbiamo difendere, per difendere ciò che noi siamo: o almeno ciò che vorremmo essere. 



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