martedì 12 settembre 2017

Il dialogo fra le corti minorili in materia di stepchild adoption



  1. Palermo, Bologna, Venezia: tre punti di vista sulla stepchild adoption
Nelle ultime settimane sono state depositate tre sentenze in materia di adozione coparentale (Tribunale per i minorenni di Venezia del 31 maggio 2017, depositata il 15 giugno; Tribunale per i minorenni di Palermo del 30 luglio 2017; Tribunale per i minorenni di Bologna del 20 luglio 2017, depositata il 31 agosto), le quali – ad un anno dalla decisione con cui la Cassazione (con la nota sentenza n. 12962 del 24 maggio 2016) l’ha ammessa in caso di conviventi anche dello stesso sesso – rappresentano tre diversi atteggiamenti dei tribunali italiani sulla questione che tanto ha agitato il dibattito pubblico durante l’iter della legge sull’unione civile: la c.d. stepchild adoption applicata alle coppie omosessuali.
Tutti e tre i tribunali aderiscono in linea di principio all’indirizzo della Cassazione, potendosi ritenere così verosimilmente accantonato quell’orientamento di netta contrapposizione seguito dai Tribunali per i minorenni di Torino e Milano (Torino 11 settembre 2015; Milano, 17 ottobre 2016 in Articolo29 con nota S. Stefanelli, che divergevano con varia motivazione dall’interpretazione evolutiva del tribunale per i minorenni di Roma avallato dalla Cassazione), le cui decisioni sono state poi riformate dalle rispettive Corti di appello (Torino 27 maggio 2016; Milano 9 febbraio 2017).
In nessun caso, inoltre, viene negato che una volta ammessa l’applicabilità dell’art. 44 lettera d) legge adoz. al convivente del genitore legalmente riconosciuto, la stessa debba essere estesa anche nell’ambito delle coppie omosessuali. Sul punto valga il richiamo alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani che vieta ogni distinzione fra coppie conviventi eterosessuali e omosessuali anche in materia di adozioni[1]. Sulla idoneità genitoriale delle coppie dello stesso sesso valga inoltre il rimando all’unanime presa di posizione delle organizzazioni degli psicologi, degli psicoanalisti e dei pediatri, quali si desumono dai loro statements ufficiali[2], e la costante giurisprudenza europea[3],  internazionale[4] e della nostra Corte di cassazione[5] e di merito[6].
Ciò nonostante, il Tribunale per i minorenni di Palermo giunge a conclusioni che annullano ogni pratico effetto giuridico all’indirizzo della Suprema Corte (tant’è che il ricorso viene rigettato), mentre la decisione veneziana, pur favorevole per la ricorrente, appare dissonante nella motivazione.
Di tutt’altro segno la decisione del Tribunale per i minorenni bolognese (la quale segue alcune sentenze analoghe depositate in luglio, contenenti interessanti e innovative affermazioni con riguardo alla natura familiare delle relazioni e agli effetti in materia della legge n. 76/2016 istitutiva  dell’unione civile fra persone dello stesso, per cui si rimanda ad altro commento in questo sito[7] ), a nostro avviso del tutto condivisibile ed assai accurata, la quale contiene una precisa e chiara risposta alla sollecitazione palermitana, in un interessante e singolare dialogo fra le nostre corti minorili.
Da un lato, pertanto, le decisioni in commento confermano che l’orientamento inaugurato dal Tribunale per i minorenni di Roma nel 2014 e confermato dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 12962/2016, cit., è stato accolto nella grande maggioranza dei fori (come detto: Corti d’appello di Roma, Milano e Torino; Tribunali per minorenni di Bologna e Venezia); allo stesso tempo la decisione palermitana e quella veneziana certificano la permanenza di resistenze giuridiche – come nel caso siciliano – e culturali, come nel caso veneziano. Se, dunque, la mancata disciplina dell’adozione coparentale in sede di approvazione della legge sull’unione civile non ha precluso – in virtù della specifica clausola di salvaguardia contenuta nel terzo periodo dell’art. 1, comma 20 – che i figli nati, accolti o cresciuti in coppie omogenitoriali potessero trovare tutela (almeno) nell’adozione in casi particolari ai sensi dell’art. 44, lett. d), legge n. 184/83 (d’ora in poi, legge adoz.), allo stesso tempo non può nascondersi che la vera e propria “delega” alla giurisdizione, posta in essere dal legislatore comporta, almeno nel primo periodo, il rischio – fisiologico, per vero, in un ordinamento di civil law – di qualche divergenza tra la corti di merito, financo a seguito dell’intervento nomofilattico della Corte di legittimità[8].

  1. La decisione palermitana: sì all’adozione da parte del convivente ma con effetti sorprendenti
Il Tribunale per i minorenni di Palermo, innanzitutto, dà espressamente atto di aderire all’orientamento della Cassazione per cui l’articolo 44 lettera d), legge adoz. é utilizzabile al fine di dare protezione giuridica alla relazione di fatto fra un bambino e il proprio genitore sociale (in genere, ma non necessariamente, convivente col bambino e il genitore legale) anche se il medesimo non sia in stato di abbandono grazie alla presenza di un genitore legale adeguato, il quale ovviamente presti il proprio consenso. Nè, in ossequio al principio di non discriminazione che informa il nostro ordinamento, il tribunale muove obiezione alcuna con riguardo all’orientamento sessuale dei genitori (le due mamme), di cui anzi evidenzia l’adeguata capacità genitoriale.
Ciò nonostante, i giudici siciliani rigettano l’istanza avanzata dalla mamma non legalmente riconosciuta, sull’assunto che l’articolo 44 – in combinato disposto con gli artt. 48 e 50 legge adoz. – comporterebbe la decadenza automatica della madre genetica dalla responsabilità genitoriale, con la conseguenza che il suo consenso all’adozione (regolarmente acquisito nel corso del procedimento) sarebbe viziato in quanto dato nell’inconsapevolezza di causare così la perdita della propria qualità di genitore esercente la relativa responsabilità.
Per i giudici siciliani, dalla norma che assicura la permanenza della responsabilità in caso di matrimonio (articolo 48 legge adoz., a mente del quale “se il minore è adottato da due coniugi, o dal coniuge di uno dei genitori, la potestà sull’adottato ed il relativo esercizio spettano ad entrambi”) potrebbe inferirsi, a contrario, che in caso di mera convivenza il genitore legale decada. I giudici palermitani ritengono dunque di poter inferire da tale disposizione  che l’adozione de qua recida, sempre e necessariamente, la relazione col genitore legale, sicché questi dovrebbe prestare il proprio consenso non solo all’adozione da parte del genitore sociale, ma anche all’abdicazione alla propria responsabilità genitoriale (volontà abdicativa che il tribunale deve comunque giudicare conforme all’interesse del minore).
Nel caso di specie i giudici palermitani non negano dunque che l’adozione ex art. 44 lettera d) sarebbe stata ammissibile, ma assumono che il genitore biologico avrebbe prestato un consenso “viziato” in quanto inconsapevole dell’effetto abdicativo della propria responsabilità genitoriale.
Tale esegesi, adesiva all’indirizzo maggioritario per quanto concerne i presupposti per l’ammissione all’adozione in caso particolari e apparentemente dissenziente soltanto per quanto concerne gli effetti, non appare tuttavia persuasiva per diverse ragioni, evidenziate in una assai celere, precisa ed univoca risposta contenuta nella successiva decisione di fine agosto del tribunale per i minorenni di Bologna.

  1. Vizio in rito?
In primo luogo, la sentenza palermitana appare viziata in rito, non dando atto d’avere sollevato d’ufficio la (inedita) questione interpretativa che pone alla base della propria decisione.
Dalla motivazione non si evince nulla al riguardo, ma, come correttamente osservato anche dal tribunale per i minorenni di Bologna, se davvero la questione non è stata proposta alle parti (e, anche, al genitore legale che pur non essendo parte gioca un evidente ruolo anche come legale rappresentante del minore), la decisione parrebbe viziata in rito, per essere stato violato il principio del contraddittorio (artt. 111 Cost. e 101, 2 comma c.p.c.), che avrebbe imposto di porre la questione del consenso asseritamente viziato del genitore biologico (per ignoranza delle supposte conseguenze dell’adozione speciale sul suo status di genitore), che pure avrebbe avuto diritto a “dire la sua” (ben potendo, ad esempio, addirittura affermare d’essere disposta a perdere la responsabilità genitoriale).

    
      4. Esegesi della legge adozioni e principi generali in materia di filiazione 

Nel merito, quanto all’interpretazione dell’art. 48 della legge adoz. e, soprattutto, dei suoi effetti sulla possibilità di disporre l’adozione in casi particolari ex art. 44, lett. d), può dubitarsi che la norma che afferma che nell’ambito del matrimonio la responsabilità spetta ad entrambi i coniugi (l’uno genitore biologico, l’altro adottivo) implichi in via logica che fuori dal matrimonio la responsabilità possa o addirittura debba non essere congiunta[9].
Non apparendo tale esegesi imposta in alcun modo dalla lettera della norma, si deve riflettere difatti sul rapporto tra tale disposizione e le previsioni del codice civile relative all’attribuzione della responsabilità genitoriale congiunta, anche al di fuori del matrimonio, a seguito della riforma della filiazione del 2012 (artt. 315 bis ss. c.c.).
Alla luce dell’unicità dello status di figlio, non è infatti più consentita alcuna distinzione tra figli, in relazione alla fonte dello status medesimo. La regolamentazione della responsabilità genitoriale nel caso di due genitori (poco importa come siano divenuti genitori legalmente riconosciuti: biologici; ex art. 8 legge n. 40/2004; adottivi ex art. 6 legge adozioni; adottivi ex art. 44 legge adoz.) trova difatti ormai una tassativa e determinata disciplina nel codice civile (315 bis e ss.) che, come noto, dal 2012 prevede che tutti i figli sono uguali (e che sono uguali pure tutti i genitori). Osserva al riguardo il tribunale bolognese come sia «da escludere che dalla permanenza dell’art. 48 cit. possa trarsi una deroga ai principi di cui agli artt. 315 bis  e ss. cod. civ., i quali sono stati recepiti dal legislatore italiano in funzione della protezione del migliore interesse del minore».
In quest’ottica, pertanto, l’art. 48 non è una norma generale sull’attribuzione della responsabilità genitoriale in caso di adozione speciale, ma è relativa, piuttosto, ai rapporti tra i coniugi e il minore, ove il coniugio sia parte della fattispecie[10].
In altri termini, l’art. 48 si riferisce unicamente alla condivisione della responsabilità genitoriale fra i coniugi (dato peraltro scontato, prima e dopo la riforma del 2012) senza dir nulla sul caso in cui l’adottante non sia coniuge del genitore biologico, men che meno con l’effetto di escludere che in questo caso la responsabilità genitoriale sia condivisa.
Si potrebbe sostenere, allora, che si tratti semplicemente di una norma (sulla relazione fra i genitori coniugati e il figlio, biologico/adottato) ormai inutile. D’altro canto, si consideri che l’ordinamento già prevede due norme sulla condivisione della responsabilità genitoriale nel matrimonio (artt. 147 e 148 cc), un tempo importantissime e sulla cui utilità dopo il 2012 la dottrina si interroga (dal momento che, dopo la riforma del 2012, i rapporti verticali prescindono del tutto da quelli orizzontali). Come noto, è discusso in dottrina se la persistenza di tali norme abbia tuttora una qualche giustificazione, assumendosi da parte di molti che le stesse permangano quali puri relitti, che il legislatore avrebbe fatto bene ad eliminare[11]: si sostiene infatti, del tutto condivisibilmente, che tali disposizioni siano ormai prive di efficacia giuridica e abbiano solo valore simbolico (anche la loro rilevanza sotto il profilo residuale della individuazione dei doveri fra i coniugi – anche ai fini dell’addebito – è dubbia, se solo si tenga conto che il venir meno agli obblighi che derivano dalla responsabilità genitoriale congiunta configura certamente una violazione dei doveri di lealtà, collaborazione e determinazione comune dell’indirizzo della vita familiare)[12]. Ben può assumersi, dunque, che la norma di cui all’art. 48 legge adozioni (così come gli articoli 147 e 148) sia dopo il 2012 in larga misura assorbita dalla regolamentazione della responsabilità genitoriale ex art. 315 bis cc.
Secondo il tribunale palermitano, un ulteriore argomento potrebbe trarsi dall’art. 50 legge adoz., a mente del quale in caso di decadenza dell’adottante serve un provvedimento giurisdizionale al fine di determinare la responsabilità genitoriale, ivi compresa l’eventuale “ripresa” dell’esercizio della medesima da parte dei genitori.
Anche tale argomento, tuttavia, non persuade. Come rilevato dal giudice bolognese nella decisione depositata il 31 agosto, l’art. 50 «è norma dettata per il caso in cui la responsabilità genitoriale sia stata attribuita per intero all’adottante, cui non può ascriversi una qualche portata generale. L’art. 50 è, difatti, disposizione speciale per il caso in cui, a seguito dell’adozione speciale, apprezzato l’interesse del minore, si sia ritenuto di privare il genitore legale della responsabilità genitoriale. Per tutti gli altri casi, la disciplina degli effetti è quella del codice civile, che non esclude – anzi, impone, se nell’interesse del minore – l’esercizio congiunto della responsabilità genitoriale da parte dell’adottante e del genitore legale».
Non persuade invero il Tribunale di Palermo quando afferma che “aprendo” l’applicazione dell’art. 44 lettera d) a soggetti non coniugati e assicurando la bigenitorialità anche sul piano della responsabilità genitoriale, si creerebbe indeterminatezza rispetto agli effetti sulla responsabilità genitoriale medesima: la disciplina degli effetti è quella contenuta nel codice civile, ed è chiara.
Gli artt. 48 e 50 non possono leggersi come se dicano che la responsabilità è esercitata congiuntamente “solo” quando gli adottanti sono coniugati; ci dicono che sicuramente è congiunta quando gli adottanti sono coniugati, rinviando ormai implicitamente negli altri casi al codice civile. La legge adozioni va interpretata infatti sistematicamente alla luce della riforma della filiazione (come rammentato anche di recente con dovizia di argomenti dalla quasi totalità degli esperti auditi, nel corso del 2016, dalla Commissione Giustizia della Camera dei deputati nell’indagine conoscitiva sullo stato dell’applicazione della legge sulle adozioni).
Si consideri infatti, nel prisma dell’interesse del minore, che l’argomento “ex art. 48” del giudice palermitano sembra provare “troppo”, perché finisce per contraddire il principio della bigenitorialità, pure ritenuto ostativo al mantenimento della responsabilità genitoriale in capo al “terzo” o “quarto” genitore: infatti, anche prescindendo da ogni considerazione (de jure condito o condendo) sulla possibilità che la responsabilità genitoriale persista – in caso di complesse fattispecie adottive “miti” – in capo a più di due soggetti, nel caso di specie si versa nella distinta ipotesi di “aggiungere” un secondo genitore accanto al primo (e unico), e con il consenso di questo, così dando attuazione al principio della bigenitorialità, preferenziale anche alla luce delle convenzioni internazionali sui diritti del minore.
In conseguenza, non è possibile desumere dalle disposizioni di cui agli artt. 48 e 50 che – con riferimento all’adozione in casi particolari – l’attribuzione della responsabilità genitoriale all’adottante escluda quella del genitore legale. Si ricordi inoltre, a fortiori e conclusivamente, che manca, nella disciplina dell’adozione in casi particolari, una disposizione analoga a quella contenuta nell’art. 27, comma 3, della stessa legge n. 184/1983, ove si prevede che, per effetto dell’adozione parentale “piena” cessano i rapporti dell’adottato nei confronti della famiglia di origine; e anzi, a mente dell’art. 300 del codice civile, richiamato dall’art. 55 della legge adozioni, l’adottato ai sensi dell’art. 44 mantiene intatti diritti e doveri nei confronti della famiglia di origine, i quali verrebbero invece meno ove l’attribuzione di responsabilità genitoriale all’adottante determinasse il venir meno della responsabilità genitoriale in capo al primo genitore (come dimostra, a contrario, proprio il richiamato art. 27, comma 3).

  1. Un ulteriore profilo di contraddizione
Nella sentenza palermitana sembra potersi rinvenire un ulteriore profilo di contraddizione (il tribunale bolognese parla di tesi interpretativa «contraddittoria e di scarsa tenuta già sul piano logico giuridico»), laddove si afferma, per un verso, di condividere l’orientamento della Cassazione, secondo cui l’art. 44 lettera d) è applicabile anche laddove non sussista lo stato di abbandono (e dunque anche ove vi sia un genitore validamente esercente la responsabilità genitoriale), e per altro verso si finisce per dedurre dall’adozione ex art. 44 lettera d) effetti tali escluderne, nei fatti, l’applicazione proprio in quei casi.
È evidente al riguardo, anzitutto, come la manifestazione da parte del genitore legale di un consenso implicante la volontà di abdicare alla propria responsabilità genitoriale sarebbe priva di qualsiasi effetto in carenza di un provvedimento giurisdizionale di dichiarazione di decadenza dalla responsabilità genitoriale, il quale, come sottolineato dal giudice emiliano, «non potrebbe fondarsi, com’è ovvio, sulla sola volontà del genitore, non vertendosi in materia di diritti disponibili, ma necessiterebbe di una valutazione di oggettiva incapacità genitoriale dello stesso genitore legale», sicché l’interpretazione palermitana finisce col ricondurre sempre l’adozione in casi particolari al presupposto dell’incapacità del primo genitore e, dunque, dell’abbandono del minore.
In secondo luogo, inferire che conseguenza dell’adozione ex art. 44 lettera d) sia quella di privare il minore del “primo” genitore, significa in altri termini rendere nei fatti applicabile il 44 lettera d) solo nei casi di abbandono, in evidente violazione del chiaro disposto di cui all’art. 44 primo comma.
Anche da questo punto di vista, dunque, l’argomento palermitano pare provare troppo, perché travolge le premesse da cui pure afferma di prendere le mosse.
Inoltre, così ragionando si aggirerebbe anche l’art. 44, comma 3, che estende le adozioni ex lett. a), c) e d) anche a chi “non è coniugato”. Seguendo il giudice palermitano, infatti, la disposizione finirebbe per riferirsi unicamente al single, con discriminazione irragionevole nei confronti del convivente e dell’unito civilmente, cui peraltro questa norma si applica in via diretta, e non analogica (come erroneamente assume, escludendone la possibilità, il giudice palermitano), in virtù del terzo periodo del comma 20 della legge n. 76 del 2016 (in quanto, non facendo riferimento al matrimonio, né contenendo le parole “coniuge, coniugi ed espressioni equivalenti”, si sottrae al combinato disposto dei primi due periodi del medesimo comma 20)[13].

  1. Relazioni familiari di fatto e protezione in concreto del miglior interesse del minore
Da un punto di vista generale, le argomentazioni del giudice palermitano si muovono, evidentemente, in un’ottica che privilegia ancora una lettura della legge sulle adozioni incentrata sul modello matrimoniale, come se non si fosse affermato nel frattempo – nell’ordinamento – un chiaro principio che slega i rapporti verticali tra genitori e figli dai rapporti orizzontali tra genitori[14].
Come tappe di questa progressiva affermazione, si ricordi la giurisprudenza della Corte costituzionale (ad es. la sentenza n. 166/98), ma soprattutto l’evoluzione legislativa, ed in particolare la riforma della filiazione del 2012. Si tratta peraltro di principio che si lega al progressivo passaggio – nella costituzione dello status filiationis – dal favor legitimitatis, al favor veritatis, al bilanciamento tra interesse del minore, favor veritatis e rilievo del consenso o, più genericamente, delle relazioni familiari di fatto (il cui valore è stato riconosciuto da tempo dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, ma anche dalla Suprema Corte di cassazione proprio in riferimento all’interpretazione dell’art. 44, lett d), legge adoz.[15]): più in generale si pensi, sul punto, alla sentenza n. 162/14 della Corte costituzionale, in tema di p.m.a. eterologa, e alla recentissima Cassazione Civile, sez. I, sentenza 03/04/2017, n. 8617.
La proposta interpretativa del tribunale siciliano non appare imposta dalla lettera della legge e conduce a reintrodurre nell’ordinamento giuridico una vacatio legis in punto di protezione delle relazioni genitoriali di fatto, da lungo tempo stigmatizzata dalla dottrina, dalla giurisprudenza di merito maggioritaria, dalla Corte di Cassazione, dalla Corte europea dei diritti umani e, infine, dalla Corte Costituzionale con la nota sentenza n. 383/1999.  Come si rammenterà, con tale decisione la Consulta ha ritenuto di avallare l’indirizzo che consentiva l’adozione in casi particolari alle persone che si prendevano cura della prole di genitori dichiarati decaduti dalla potestà (oggi responsabilità) genitoriale – cui risultava inapplicabile l’art. 44 lettera a) in quanto riferito al solo decesso dei genitori – osservando che «l’esigenza di adeguata considerazione di legami di fatto instauratisi trova nella nuova normativa un riconoscimento tanto penetrante, da indurre il legislatore a derogare, in taluni casi, al requisito generale dell’esistenza o persistenza di un rapporto di convivenza o di coniugio tra gli affidatari, e che il criterio ispiratore è, anche qui, quello della “adeguatezza in concreto”, nel superiore interesse del minore: in vista del quale la legge, in determinate situazioni, abbandona le soluzioni rigide, prevedendo che la valutazione circa la prevalenza dell’una o dell’altra delle esigenze in gioco – presenza di entrambe le figure dei genitori da un lato; valorizzazione dei rapporti affettivi di fatto instauratisi, dall’altra – sia effettuata in concreto dal giudice, nell’esclusivo interesse del minore»; in questo contesto appare significativo che per la Corte costituzionale l’art. 44 costituisca letteralmente «una sorta di clausola residuale» e che la disposizione di cui alla lettera d) fornisca «un’ulteriore “valvola” per i casi che non rientrano in quelli più specifici previsti dalle lettere a) e b)».
L’interpretazione palermitana, in ultima analisi, imponendo una valutazione astratta ed ex ante e non in concreto dei presupposti per il riconoscimento della responsabilità genitoriale, preclude una adeguata protezione dell’effettivo miglior interesse del bambino.
Secondo le condivisibili conclusioni del Tribunale per i minorenni di Bologna «in definitiva, l’origine del progetto genitoriale non può in alcun modo incidere sullo stato giuridico dei figli che è sempre e comunque lo stesso (art. 315 c.c. come modificato dalla legge 10 dicembre 2012 n. 219) e negare ad un minore i diritti ed i vantaggi connessi al riconoscimento legale del legame genitoriale già instaurato con la propria madre sociale costituirebbe una scelta non corrispondente con l’interesse dello stesso minore».

  1. La peculiare motivazione veneziana
Infine, concludendo questa rapida ricognizione dei recentissimi orientamenti delle nostre corti minorili, va dato rapido conto della decisione del tribunale per i minorenni di Venezia, la quale, pur uniformandosi all’indirizzo ormai largamente maggioritario (come detto: Corte di Cassazione, Corti d’appello di Roma, Milano e Torino, Tribunale per minorenni di Roma e Bologna), lascia tuttavia perplessi per il suo tenore.
Il giudice veneziano richiama infatti in senso adesivo l’indirizzo della Suprema Corte e rileva in concreto la completa affidabilità della coppia di mamme, ritenendo tuttavia di dover evidenziare – nelle pochissime righe di motivazione (in condivisibile ossequio al principio di concisione degli atti processuali) – che le stesse sono (e, si intende, dovranno essere) consapevoli della necessità che i figli si relazionino “con persone di orientamento non omosessuale”.
Che i bambini debbano essere invitati a relazionarsi con persone d’ogni razza, religione, orientamento e identità è certamente buona cosa. Che il tribunale abbia ritenuto di doverlo sottolineare solo in occasione di una coppia dello stesso sesso appare, tuttavia, assai singolare e davvero poco opportuno.
Per fugare ogni sospetto di pregiudizio o omofobia del giudice (invero piuttosto sorprendente nel 2017) e di una ingiustificata discriminazione contenuta in un provvedimento giurisdizionale (in aperto contrasto con i principi di diritto europeo convenzionale ed eurounitario) non resta che confidare che d’ora innanzi analogo e speculare auspicio – che i figli frequentino anche persone di orientamento omosessuale – sia contenuto nelle sentenze veneziane che dispongono adozioni in favore di persone e coppie eterosessuali.

Marco Gattuso* e Angelo Schillaci** (Articolo 29 - 11 settembre 2017)
*Magistrato presso il tribunale di Bologna
** Ricercatore presso l’Università La Sapienza di Roma

Si ringrazia l’avv. Valentina Pizzol per l’invio della sentenza veneziana.

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[1] Corte EDU, Grande Chambre, X e Altri c. Austria, decisione del 19 febbraio 2013 in Articolo29.it, per cui costituisce violazione dell’art. 14, in combinato disposto con l’art. 8, la previsione in materia di adozione di minori di una norma che disciplina diversamente le condizioni di esercizio della potestà genitoriale per le coppie di fatto dello stesso sesso e per quelle di diverso sesso.
[2] American Psychological Association (2005): «non un solo studio dimostra che i figli di genitori gay e lesbiche siano in qualche modo svantaggiati rispetto ai figli di coppie eterosessuali».
American Psychoanalytic Association (2002 e 2012): «interesse del bambino è sviluppare un attaccamento verso genitori coinvolti, competenti e capaci di cure e di responsabilità educative» e «la valutazione di queste qualità genitoriali dovrebbe essere determinata senza pregiudizi rispetto all’orientamento sessuale».
American Academy of Pediatrics (2006) «i risultati delle ricerche dimostrano che bambini cresciuti da genitori dello stesso sesso si sviluppano come quelli cresciuti da genitori eterosessuali. Più di venticinque anni di ricerche documentano che non c’è una relazione tra l’orientamento sessuale dei genitori e qualsiasi tipo di misura dell’adattamento emotivo, psicosociale e comportamentale del bambino. Questi dati dimostrano che un bambino che cresce in una famiglia con uno o due genitori gay non corre alcun rischio specifico. Adulti coscienziosi e capaci di fornire cure, che siano uomini o donne, eterosessuali o omosessuali, possono essere ottimi genitori».
Analogamente l’American Academy of Child and Adolescent Psychiatry (2013). Così l’Hong Kong Psychological Society (2012) e la Psychological Society of South Africa (2013). In Francia, cinquecento psicoanalisti hanno firmato una petizione a favore della possibilità di adozione per le persone omosessuali. Si parlare dunque di un risultato acquisito per la «Scienza Ufficiale» in Occidente.
Nel nostro paese, vanno ricordate le posizioni ufficiali dell’Associazione Italiana di Psicologia (2011) e il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi (2014), quest’ultima in riferimento alle affermazioni del Min. della Salute Lorenzin (che imprudentemente aveva affermato in un intervista che «qualora si dovesse entrare nel dibattito scientifico sull’adozione omogenitoriale, tutta la letteratura in tema di psiconeurobiologia dell’età evolutiva – da Freud ad oggi – dichiara l’indispensabilità per lo sviluppo organico ed equilibrato della personalità del bimbo e la costruzione dell’“identità di sé”, la presenza di una madre/femmina e di un padre/maschio, essendo la corporeità binaria elemento necessario per la rappresentazione mentale del ruolo materno e del ruolo paterno») ha sottolineato in una dichiarazione ufficiale che «Tali asserzioni sono prive di fondamento empirico e disconoscono quanto appurato dalla ricerca scientifica internazionale, a partire da studi avviati ormai quarant’anni fa. Sull’argomento le più rappresentative società scientifiche si sono espresse in modo inequivocabile. […] Su questi temi la comunità scientifica è unanime. L’Associazione Italiana di Psicologia ancora una volta invita i responsabili delle istituzioni politiche a tenere in considerazione i risultati che la ricerca scientifica ha prodotto … evitando di esprimere asserzioni infondate che hanno il solo risultato di rinforzare i pregiudizi e danneggiare le famiglie monogenitoriali, le coppie omosessuali e soprattutto i loro bambini».
[3] Cfr. ancora la decisione X e Altri c. Austria ove la Grande Chambre della Corte di Strasburgo in cui è evidenziato che il governo resistente (nella specie l’Austria) aveva mancato del tutto di dimostrare che possa cagionare nocumento ad un bambino essere allevato da una coppia dello stesso sesso (da due madri o da due padri).
[4] Corte costituzionale spagnola (n. 198 del 6 novembre 2012) per cui la decisione giudiziaria in materia di adozione deve tenere sempre in conto primario l’interesse dell’adottato e l’idoneità ad esercitare la potestà da parte dell’adottante o degli adottanti, idoneità che nulla ha a che vedere con l’orientamento sessuale della persona. Corte costituzionale tedesca del  19/2/2013,  ove i giudici di Karlsruhe sottolineano come la coppia dello stesso sesso favorisca la crescita del bambino tanto quanto la coppia sposata, osservando che «i dubbi per la crescita dei minori derivanti dal loro inserimento in una coppia genitoriale dello stesso sesso sono stati confutati dalla grande maggioranza dei pareri specialistici» (par. 80).
[5] Oltre alla menzionata decisione del 2016 in materia di adozione in casi particolari, cfr. Corte di Cassazione, prima sezione civile, sentenza 11 gennaio 2013 n. 601, per cui «non può darsi rilievo alcuno al mero pregiudizio che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale»; Corte di cassazione n. 19599/2016, per cui «se l’unione tra persone dello stesso sesso è una formazione sociale dove la persona “svolge la sua personalità” e se quella dei componenti della coppia di diventare genitori e di formare una famiglia costituisce “espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi” delle persone, ricondotta dalla Corte costituzionale (sentenze n. 162/2014, § 6 e n. 138/2010, § 8) agli articoli 2, 3 e 31 della Costituzione (e, si noti, non all’articolo 29), allora deve escludersi che esista, a livello costituzionale, un divieto per le coppie dello stesso sesso di accogliere e anche di generare figli» e «di conseguenza, l’elemento di discrimine rappresentato dalla diversità di sesso tra genitori — che è tipico dell’istituto matrimoniale — non può giustificare una condizione deteriore per i figli né incidere negativamente sul loro status», conforme anche Corte di cassazione 15 giugno 2017, n.14878.
[6] Fra le decisioni di merito che sottolineano l’irrilevanza dell’orientamento sessuale rispetto all’educazione dei figli (oltre a quelle in materia di adozione in casi particolari già citate), cfr. Tribunale di Genova, 30 ottobre 2013; Tribunale di Nicosia, 14 dicembre 2010; Tribunale di Firenze, 30 aprile 2009; Tribunale di Bologna, 7 luglio 2008; Corte d’Appello Napoli, 11 aprile 2007.
[7] A. SCHILLACI, La vita non si ferma: l’unione civile, la famiglia, i diritti dei bambini
[8] Sulla legge 76/2016 e in particolare sugli effetti giuridici del compromesso politico che l’ha caratterizzata, con ampia trattazione della clausola di equivalenza fra unione civile e matrimonio ed ai suoi effetti in materia di filiazione e adozione, sia consentito rimandare a G. BUFFONE, M. GATTUSO, M.M. WINKLER, Unione civile e convivenza, Giuffrè, 2017. Su questi temi, v. anche A. SCHILLACI, Le unioni civili in Senato: diritto parlamentare e lotta per il riconoscimento, in GenIUS, 2/2016, pp. 18 ss., nonché – specificamente sulla clausola del comma 20 – Id., Le unioni civili tra persone dello stesso sesso: profili di diritto comparato e tenuta del principio di eguaglianza, in DPCE Online, 3/2016 (http://www.dpceonline.it/index.php/dpceonline/article/view/332).
[9] Un dubbio esegetico riguardo all’art. 48, in quanto norma non espressamente richiamata dalla legge Cirinnà, era stato prospettato  in dottrina  da A. FIGONE, Lo scioglimento delle unioni civili e la risoluzione dei contratti di convivenza, in M. BLASI, R. CAMPIONE, A. FIGONE, F. MECENATE e G. OBERTO (cur.), La nuova regolamentazione delle unioni civili e delle convivenze, Torino, 2016, con effetto tuttavia diverso da quello proposto dal tribunale palermitano: per l’A., infatti, l’effetto sarebbe non la perdita della responsabilità genitoriale per il genitore biologico ma la sua mancata attribuzione all’adottante. Per una critica, v. M. GATTUSO, La clausola generale di equivalenza in G. BUFFONE, M. GATTUSO, M.M. WINKLER, Unione civile e convivenza, p. 318, nota 294.
[10] In questo senso, con dovizia di argomenti, v. S. STEFANELLI, Adozione del fglio del partner nell’unione civile, in GenIUS, 2/2016, pp. 102 ss., 124-125.
[11] M. SESTA L’unicità dello stato di filiazione dello stato di filiazione e nuovi assetti delle relazioni familiari, in Fam. dir., 2013, p. 236; L. LENTI, La sedicente riforma della filiazione, in Nuova giur. civ. comm., 2013, II, p. 207; G. FERRANDO, La nuova legge sulla filiazione. Profili sostanziali, in Corr. giur., 2013, p. 529; M. DOGLIOTTI, Nuova filiazione: la delega al governo, in Fam. dir., 2013, p. 284
[12] Sugli effetti del loro mancato richiamo nella legge sull’unione civile V. M. GATTUSO, Rapporti personali. Analogie e differenze in G. BUFFONE, M. GATTUSO, M.M. WINKLER, Unione civile e convivenza, p. 169.
[13] Su questi temi cfr. A. SCHILLACI Un buco nel cuore. L’adozione coparentale dopo il voto del Senato in Articolo29.it http://www.articolo29.it/2016/un-buco-nel-cuore-ladozione-coparentale-dopo-il-voto-del-senato/
[14] Nella medesima prospettiva, proprio con riguardo alla necessaria interpretazione degli artt. 48 e 50 legge adoz. alla luce della mutata disciplina dei rapporti di filiazione e, soprattutto, dell’unicità dello status di figlio, v. ancora S. STEFANELLI, Adozione del figlio del partner nell’unione civile, cit., pp. 124-125.
[15] In questo senso cfr. G.FERRANDO, A Milano l’adozione del figlio del partner non si può fare in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2017, 2, p. 171


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