martedì 31 ottobre 2017

MiBact





Il coordinamento organico delle tante realtà bibliografiche della fotografia italiana costituisce una delle più valide iniziative assunte in campo culturale dalla politica.

Finalmente anche nel nostro paese c'è' qualcuno che sta prendendo sul serio la fotografia e, in modo organizzato, sta cercando di creare un coordinamento fra i variegati archivi pubblici e privati che detengono testimonianze fotografiche per dare un giusto riconoscimento ad una forma artistica acclarata.

A prescindere dagli interessi indiretti che possono aver suscitato l'iniziative, la portata culturale è fuori discussione ed encomiabile appare l'operazione di coordinamento avviata.

Già le tavole rotonde organizzate in vari contesti dell'intera penisola, con la messa in rete degli interventi di diversi esponenti pubblici e privati che hanno a che fare con l’immagine, hanno consentito di focalizzare i diversi aspetti (storici e attuali) che hanno interessato e caratterizzano la breve storia dell'arte fotografica.

Chi ha la pazienza e il tempo di visionare i tanti eventi postati sul web avrà il modo di apprendere e riflettere sulle molteplici peculiarità legate alla fotografia, come testimonianza dei tempi e forma d'arte complessa, mutata e sempre in perenne trasformazione.

I tanti relatori intervenuti nei convegni hanno infatti focalizzato gli aspetti più disparati che toccano questo mondo, nato dalla fotoamatorialità di pochi sperimentatori e che persevera nella passione di una vasta platea di fotografi per la maggior parte non professionisti.

Il portale già reso operativo dal Ministero dei Beni Culturali, ben articolato ed in corso di implementazione, fornisce un quadro organico delle singole realtà che esistono nel nostro paese.

Archivi molto spesso attivati da enti ed associazioni locali si affiancano a diverse iniziative regionali nate per la conservazione e la tutela di consistenti produzioni di famosi fotografi italiani.

Chi coordina l’intero progetto ha chiarito che attualmente la catalogazione ed il censimento degli archivi  è rivolto esclusivamente a strutture pubbliche e private riconosciute. Eventuali conferimenti e/o coordinamento con singoli privati rientra nei progetti ma attualmente è di difficile attuazione. Ne deriva che anche associazioni riconosciute a livello internazionale come Fiaf e Uif possono costituire a pieno titolo canali di coordinamento per costituire archivi di foto degli associati con immagini opportunamente filtrate.

Un appunto, per chi volesse mettere a frutto i suggerimenti del censimento fotografico, sarebbe quello di non vedere questo momento solo come occasione per allestire una ennesima mostra, facendosi ospitare in contesti e luoghi prestigiosi, magari per dare una maggiore visibilità ad opere contingenti, ma di attivarsi per organizzare e creare i giusti presupposti finalizzati ad avviare una valida archiviazione (personale per un selettivo conferimento associativo) che possa ambire ad affluire nella lodevole iniziativa felicemente avviata dal Ministero.

© Essec 





sabato 28 ottobre 2017

I “V.I.P.”, gli "imbucati" e la gente comune







L'altro giorno ho avuto il privilegio di poter essere presente alla inaugurazione della bellissima mostra “Henri Cartier-Bresson Fotografo” allestita al GAM di Palermo a cura di Denis Curti. 
Nella galleria d’innumerevoli splendide foto di uno dei maggiori maestri della fotografia moderna era però severamente vietato fotografare e tanti addetti attenzionavano al riguardo i visitatori.
La mia foto di copertina mostra nella sua concretezza il paradosso concettuale del divieto.
Nonostante in vigore la normativa del ministro Franceschini, che consente di fotografare le opere d’arte presenti nei musei, è ancora ammesso il divieto di ritrarre le opere esposte al pubblico, pure in eventi direttamente promossi e sponsorizzati da enti pubblici.
Ora, chi non conosce le opere di Cartier-Bresson? E fra quanti sono gli appassionati di fotografia, quanti sono coloro che non posseggono almeno un libro fotografico che raffigura le sue opere?
Sarebbe così difficile ricercare oggi anche nel web le sue foto e scaricarle per usi didattici o per diletto squisitamente personale?
Che senso ha, al giorno d’oggi, tutelare il diritto d’immagine di fotografie che costituiscono ormai patrimonio culturale comune?
Capisco l’utilità di tutela del diritto d’autore per gli scopi commerciali ma i divieti imposti dagli eredi in eventi sponsorizzati anche da denaro pubblico proprio no.
Del resto, l’interesse di ciascun fotografo che visita tali mostre non è quello di riprodurre fotograficamente l’opera esposta, bensì quello di catturare l’atmosfera che pervade l’ambiente, di fotografare magari occasionali personaggi associandoli al contesto evocativo che talvolta ne potrebbe fare da sfondo.
Perché vietare di poter fare questo tipo di foto allora?
Verrebbe da dire, fatevi queste mostre solo da privati e non richiedete sovvenzioni pubbliche per le vostre iniziative.
Ne verrebbe nocumento alla collettività? Direi di no, perché gli interessati spenderebbero sempre e comunque per vedere una mostra.
Per inciso, ad evento appena iniziato, un gran numero di “visitatori ad invito” impedivano quasi di vedere bene le foto esposte. Dopo una ventina di minuti però miracolosamente la folla scemò e fu possibile godere la visione delle varie opere.
Cosa era successo? Semplicemente che si era aperto il buffet all’aperto e la massa degli “invitati” si rivolgeva ora con maggiore interesse all’aspetto culinario della faccenda.
Fra i tanti personaggi figuravano tanti della Palermo bene che a vaio titolo erano stati invitati alla inaugurazione dell'evento.
Anche questa sarebbe stata una fotografia del mondo reale, alla Cartier-Bresson per intenderci, della società degli “invitati” (fra i quali solo casualmente mi ritrovavo anch’io) che sarebbe risultata assai diversa da quella che si sarebbe potuta fare l'indomani, con le presenze di gente normale, quella che avrebbe pagato il suo lauto biglietto d’ingresso.
I titoli che Henri Cartier-Bresson avrebbe potuto dare alle due foto immaginiamoli come: “V.I.P. ed imbucati - Ingresso free” per la prima, “Gente comune - Ingresso a pagamento” per la seconda.

© Essec 

venerdì 27 ottobre 2017

Grasso chi?


Il Pd fischietta, come se non fosse successo niente: forse perché Piero Grasso non è un trascinatore di popolo o forse perché in questi casi si dice che "alla gente comune queste cose di Palazzo non interessano".
Insomma una sorta di "Grasso chi?", secondo la formuletta inizialmente dedicata a Fassina ma che si è via via allargata ai vari Bersani, Enrico Rossi ed Errani, e - dopo tanti altri - appunto a Piero Grasso. Senza scordare il primo sassolino della valanga, cioè Civati, già candidato che prese mezzo milione di voti alle penultime primarie del Pd. E senza scordare neppure Prodi, che al decennale del partito di cui è stato fondatore non si è fatto vedere, come un padre che non ha voglia di incontrare per strada il figlio divenuto tossico.
No, non è una questioncina di Palazzo, l'uscita dal proprio gruppo (per la prima volta nella storia repubblicana) della seconda carica dello Stato.
Non lo è né per la rilevanza del ruolo istituzionale né (soprattutto) per la storia personale e per la dirittura morale di chi ha compiuto il gesto.
E questa volta non si può addurre ad alibi la livorosità vendicativa di un D'Alema o il movimentismo eterodosso di un Civati. Questa volta siamo di fronte a un signore a cui il Pd aveva già proposto un seggio sicuro al Senato, un signore di 72 anni che ne aveva davanti altri cinque da trascorrere nelle fiorita pianura dei notabili: e che invece ha scelto la porta stretta, strettissima, di qualcosa che stia fuori da questo Pd, di qualcosa che sia diverso dal renzismo.
E, politicamente, si sta parlando di un signore che non ha mai fatto parte né di alcuna corrente del Pd (o dei partiti che lo hanno composto) né tanto meno della "sinistra radicale", formula con cui dunque sarà sempre più difficile etichettare la cosa politica a sinistra di Renzi, se Grasso dovesse averne un ruolo significativo.
Già: la cosa a sinistra di Renzi.
In questi mesi da quelle parti si è fatto parecchio per far casino, per interrompersi a vicenda, per porsi veti, per parlare di cose sbagliate (tipo alleanze) anziché di cose giuste (tipo welfare e disuguaglianze). E si è così creato un magma di partititi, partitini, movimenti e iniziative che a volte fanno scuotere la testa di esausta stanchezza.
Ma, per fortuna, c'è Renzi.
Per fortuna ci sono Rosato, Boschi, Lotti, Richetti, Bonifazi, ladylike Moretti ed Ernesto "ciaone" Carbone. Per fortuna insomma c'è tutta la compagnia di giro che con la sua catastrofica raffica di errori e di incomprensione del presente, ogni giorno finisce per regalare personalità, storia, ragioni e motivi d'esistere a chi sta alla loro sinistra - o comunque a sinistra, ma altrove rispetto a loro.
Da "Fassina chi?" a "Grasso chi?" sono passati solo tre anni mezzo.
Eppure, sembra un'era geologica.
Si sapeva che Renzi faceva tutto veloce.
Ma così veloce nel gonfiarsi e nello scoppiare, davvero, non se lo aspettava nessuno. 

Alessandro Gilioli (L'Espresso, 27 ottobre 2017)



Palermo, 24 ottobre 2017: Quanta Polizia




L'altro giorno ho visto molti agenti di Pubblica Sicurezza per strada.

Pur abitando in una città come Palermo, dove il “controllo del territorio” lo percepisci senza vederlo, ma dove il controllo è di “altri”, appariva del tutto inusuale un dispiegamento così capillare di forze armate in quel sito.

Mentre mi muovevo con la mia auto, erano tanti i motorizzati che venivano fermati per dei controlli.

Mi chiedevo, forse c'è stata una evasione di qualche personaggio importante dall'Ucciardone o qualche soffiata aveva dato indizi attendibili per la possibile cattura del noto latitante.

Sulla via del rientro verso casa, dopo alcune ore, mi si svelava l'arcano.

Davanti al Teatro della Verdura, infatti, una lunghissima sfilza di auto blu riempiva fittamente un lato di Viale del Fante.

Un considerevole numero di onorevoli e loro pari erano evidentemente radunati per un comizio in vista delle imminenti elezioni regionali.

Tra auto e relativi autisti saranno state quasi un centinaio le unità, provenienti verosimilmente dalle diverse provincie siciliane.

Era quindi certo che qualche pezzo grosso di partito era calato dalla Capitale; non mi chiedevo di quale fazione facesse parte, ma di certo non era un raduno dei Cinquestelle o di uno dei tanti partiti minori d'opposizione.

Tutto quel movimento e l'apparato connesso mi portava solo a considerare semplicemente un aspetto ovvero come per il controllo ordinario cittadino raramente si vedono forze dell'ordine in giro a presidiare le strade, mentre qui, nel caso di un raduno politico, un vero e proprio esercito era stato schierato a salvaguardia, per esponenti pubblici eletti dai cittadini. Potenza di Minniti o cosa?

L'esagerato dispiegamento di forze dell'ordine era stato disposto a salvaguardia e tutela per un raduno. Ma, per come vanno oggi le cose e per il livello etico-morale della politica, in verità chi erano i reali soggetti da proteggere?

Quella sera ebbi a ripetermi più volte due domande, senza trovare alcun sollievo ai dubbi, ovvero tutta quella P.S. era stata posta a tutela di chi e, nel caso, per timore di chi?

Buon voto a tutti!
 

© Essec