Quante
volte ci ho provato con una ragazza o una donna nella mia vita?
Infinite. Quante volte sono andato ‘in bianco’? Moltissime. Quante volte
mi è riuscito il colpo? Parecchie. Devo per questo essere considerato
un molestatore sessuale seriale? Quante volte ho chiesto a un amico:
“senti, mi presenteresti quella ragazza, che mi piace?”. Deve, per
questo, costui essere bollato come una sorta di prosseneta, un Lele Mora
in miniatura?
Alla
radice della questione delle molestie sessuali –tralasciando per il
momento il ‘caso Weinstein’ dove centrale è la questione del potere- c’è
il fatto che, per ragioni biologiche e antropologiche, poi diventate
culturali, è all’uomo che, in linea di massima, spetta l’iniziativa.
Perché checché se ne pensi, e lui stesso si vanti, l’uomo non è sempre
pronto per il sesso. Nemmeno la donna lo è, ma la sua scarsa
predisposizione ha effetti meno drastici della defaillance del maschio
che rende tecnicamente impossibile la penetrazione. L’uomo è cacciatore
proprio perché non sempre ha il colpo in canna. Ecco perché tocca a lui
aprire la partita mentre il compito di lei è di farsi inseguire . C’è
perciò sempre un momento in cui lui deve fare necessariamente un atto
intrusivo nella sfera personale e latus sensu sessuale di lei:
una carezza sui capelli (che, come pensano giustamente i musulmani, non
sono affatto innocenti dal punto di vista erotico) tentare di attrarla a
sé, cercare di strapparle un bacio. Se ha equivocato sulla
disponibilità di lei si beccherà un diniego. Peraltro un tempo le donne,
se non volevano starci, sapevano benissimo come fartelo capire. Il
linguaggio sessuale, erotico, amoroso ha i suoi codici, anche abbastanza
precisi, ma rientrano nell’inespresso, nel non detto, fanno appello
alla sensibilità di ciascuno, non possono appartenere all’esplicito e
ancor meno al giuridico. Quando ero ragazzo se nel ballo (“il ballo del
mattone” come cantava Rita Pavone) lei ti metteva un braccio sul petto
voleva dire che era meglio lasciar perdere, se ti poggiava la mano sulla
spalla era un segno neutro, se ti metteva le braccia al collo e si
lasciava stringere non le dispiacevi, il che non significava ancora
nulla se non che eri autorizzato a fare la mossa successiva. A
complicare le cose c’è poi l’eterna ambiguità della donna, che è ciò che
ci attrae in lei ed è, insieme, l’origine della nostra difficoltà a
comprenderla, sia nella schermaglia erotica che in ogni altro campo
(peraltro una che si offra spudoratamente, come accade a volte oggi a
differenza di un recente ieri, fa cadere ogni libido perché elimina il
grande gioco della seduzione). Perché i suoi primi no possono essere di pura parata e nascondere un sostanziale sì.
Una certa insistenza è quindi comprensibile. Insomma capire fino a che
punto ci si può spingere è una questione di reciproca sensibilità. Allo
stesso modo i sì possono capovolgersi improvvisamente in un no.
Come è stato nel caso di Mike Tyson e Popi Saracino, entrambi
condannati a vari anni di galera perché lei, all’ultimo momento, si era
negata.
E
veniamo al caso di Harvey Weinstein, importante produttore di
Hollywood. Il suo è un caso tipico di abuso di potere, ma una donna
maggiorenne, adulta, sa, o dovrebbe sapere, cosa fa quando concede i
propri favori sessuali, magari controvoglia, in cambio di promesse,
mantenute o no, di carriera: si prostituisce. Non ci sarebbero
corruttori, nel sesso come in politica, se non ci fosse chi è disposto a
farsi corrompere. E qui si innesta un’altra questione, che è generale e
va ben oltre lo strampalato e apparentemente dorato mondo di Hollywood:
quella che nel mio Di(zion)ario erotico ho chiamato –e spero che i lettori mi passino la crudezza del termine- il Fica Power.
Com’è fuori discussione che ci sono uomini di potere che ne abusano per
portarsi a letto delle belle ragazze sostanzialmente, anche se
subdolamente, ricattandole, è altrettanto fuori discussione che ci sono
parecchie donne che utilizzano il proprio sesso per avere scorciatoie di
carriera, all’interno delle aziende e altrove. Invece di indignarsi
quando si parla di Fica Power le femministe o comunque i tanti
teorici delle pari opportunità dovrebbero prestare a questo aspetto
qualche attenzione, perché questo atteggiamento lede innanzitutto i
diritti e le aspettative di quelle donne che sul posto di lavoro si
comportano con correttezza. E’ la mortificazione della tanto decantata
meritocrazia. Ma questo non si può dire. E’ tabù. Viene considerata
un’intollerabile offesa all’immagine della donna che è ridiventata, come
nell’Ottocento ma per motivi diversi, un essere angelicato, depurato di
ogni bruttura morale. Si batte quindi sempre e solo il tasto del potere
di ricatto maschile sul luogo di lavoro. Che c’è, naturalmente, ma è
più limitato, se non altro perché può essere esercitato solo dall’alto
in basso ed è verificabile, mentre il Fica Power è diretto a tutto campo e praticamente indimostrabile.
Inoltre
se è vero che l’uomo di potere può facilmente usarlo per ricattare è
anche vero che può essere altrettanto facilmente ricattabile e fare la
fine dell’incolpevole Strauss-Khan. Un banchiere americano ha confessato
che piuttosto che salire in ascensore con una donna sola (in cento
piani può accadere di tutto) preferisce aspettare il giro successivo.
L’alternativa
è la verbalizzazione. Possibilmente scritta e certificata. Negli Stati
Uniti circolano moduli in cui i due mettono nero su bianco la loro
intenzione di fare sesso e la donna, a scanso di equivoci, dichiara
anche fino a che punto è disposta a spingersi.
Se
andiamo avanti di questo passo i rapporti fra i sessi, già difficili in
una società solo in apparenza libera, in realtà sessuofobica, puritana,
sempre più simile al matriarcato americano, diventeranno impossibili.
Se bisogna verbalizzare, certificare, sottoscrivere, beh allora è meglio
soddisfarsi da soli dietro una siepe.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 17 ottobre 2017)
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