Sono proseguiti con l’audizione dei magistrati incaricati dei procedimenti penali a carico dei vertici delle banche in default e quelle delle associazioni dei consumatori i lavori della Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario.
Andranno avanti fino alla scadenza della legislatura con le convocazioni di magistrati, esponenti della professione, manager, e quanti altri. Da ultimo verranno sentiti i vertici delle Autorità di settore. L’autorevole Vice Presidente di fronte ad alcuni dubbi dell’opinione pubblica circa il ruolo della Commissione ha ribadito che il giudizio finale sulle nostre vicende bancarie non deve uscire dai suoi lavori, bensì dai Tribunali e che alla Commissione compete di avanzare alcune proposte legislative per ridurre i rischi nel rapporto tra operatori finanziari e risparmiatori.
Il professor Visentini, in un lungo articolo su Firstonline, elenca i deficit dell’ordinamento in vigore e suggerisce alcuni importanti emendamenti, meritevoli di considerazione. Sulla stessa linea si colloca Giampaolo Galli su Il sole 24 ore, proponendo di riscrivere alcune regole, entrambi non soddisfatti della mole di norme che dal 2007 si e' abbattuta sul settore. Eppure tutte le teorie sul central banking sono concordi che il potere effettivo in campo finanziario non discende solo dalle regole, ma anche dal collocamento istituzionale della banca centrale nei moderni ordinamenti, vero dominus della stabilità a condizione che essa sia autorevole e in grado di diffondere fiducia.
L’inadeguatezza delle nostre attuali regole è invocata a gran voce dalle stesse autorità come il limite incontrato nell’azione di prevenzione e di correzione delle crisi bancarie succedutesi negli ultimi anni con impressionante virulenza.
Senza voler contraddire il principio che tutto è migliorabile anche in termini normativi (tra l’altro in questi giorni è stata approvata la nuova legge sul fallimento da tempo auspicata), corre l’obbligo di osservare come le regole che debbono preservarci dalle crisi bancarie siano ormai il prodotto della normativa europea, che lascia a quelle nazionali la gestione di alcune peculiarità e alle sue autorità di vigilare su poche entità minori, le cosiddette banche meno significative.
In Italia, si tratta oramai di piccole popolari e società azionarie a base privata, alcune a vocazione specialistica, che ritengono di avere un’offerta competitiva di servizi in una fase in cui l’industria bancaria italiana, se non addirittura quella europea, viene incentivata a prendere la via del consolidamento. Cosa che porta con sé una maggiore pressione sui mercati locali, da parte di banche di maggiore dimensione. Vi è da augurarsi che questo processo ci faccia uscire da manifestazioni tanto esiziali, ma anche tanto provinciali dei nostrani conflitti di interesse e dei localistici rapporti con la politica.
Il nostro paese ha spesso recepito con colpevole ritardo alcune importanti direttive europee, anche se non ci pare che si siano levate gran voci di fronte a queste lentezze del Parlamento italiano. Senza un’approfondita analisi degli impatti sul nostro sistema abbiamo poi votato in sede europea provvedimenti che hanno reso più difficili non solo gli interventi di salvataggio anche di banche minori, ma che hanno, soprattutto, ritardato il rinnovamento della politica del credito.
Si pensi alla sottovalutazione della Banking Communication della Commissione europea del 2013 sul fatto che gli interventi avviati tramite i fondi di garanzia dei depositanti venissero da quel momento in poi bocciati in quanto considerati aiuti di stato. Cosa che è puntualmente avvenuto. Viene ancora tirato in ballo il caso Tercas, pressoché sconosciuta banca locale, il cui salvataggio ad opera del Fondo di tutela dei depositi fu impedito dalla Direzione Concorrenza della Commissione, limitando da quel momento in poi i nostri più usuali strumenti di intervento in caso di crisi.
In altri casi abbiamo praticato una sorta di slalom tra i paletti delle regole europee e di quelle nazionali, come quando abbiamo anticipato, d’urgenza alla fine del 2015, la risoluzione delle 4 banche non sistemiche (Etruria, Marche, Ferrara e Chieti) per evitarne il bail in (che avrebbe probabilmente coinvolto anche gli obbligazionisti senior e i risparmiatori con più di centomila euro), la cui entrata in vigore fu posposta al 2016, quando l’istituto della risoluzione è previsto a livello europeo soltanto per le banche sistemiche.
Sta di fatto che il nostro piccolo risparmiatore fosse azionista, obbligazionista o depositante era da sempre visto come un unicum, che basava indifferentemente e totalmente le proprie scelte sulla fiducia nella propria banca e non sui rischi dei diversi strumenti finanziari.
Non ci siamo nemmeno chiesti finora quale sia il modello della nuova banca retail europea che emerge dalle regole comunitarie e quanto ne siamo lontani, cioè quanto sarà ancora lungo il processo di riconfigurazione industriale del nostro sistema.
Sta di fatto che la banca commerciale, cioè quella che ha esposto i minuti risparmiatori alle maggiori perdite, viene prefigurata come un intermediario con meno crediti all’economia (tramite regole più severe di valutazione di quelli anomali), più attenzione alle ragioni dei depositanti (introduzione a partire dal 2018 della Mifid 2) e servizi più moderni e a prezzi più bassi (tramite la piattaforma Sepa per gli Instant Payments).
Quanto siamo lontani da quel modello ce lo dicono tanti elementi di segno opposto (dalla eccessiva tolleranza nella svalutazione dei crediti non performing, che il mercato prezza a poco più del venti per cento, alla ormai diffusa sfiducia verso strumenti finanziari come le azioni e le obbligazioni subordinate, al ritardo verso servizi europei di base, come il conto di pagamento, in favore del più tradizionale conto corrente che consente politiche di tariffazione non sempre collegate ai sottostanti costi industriali delle transazioni. Come pure avviene per le commissioni sul risparmio gestito, spesso fortemente penalizzanti per il consumatore.
L’adesione allo schema Sepa degli instant payments, per compiere in pochi secondi operazioni di trasferimento di fondi, vede solo sedici banche italiane presenti sulla piattaforma al 10 novembre, quando l’avvio ufficiale avverrà in questo stesso mese. Estesa praticamente a tutto il sistema è invece la presenza di quelle spagnole, austriache e tedesche.
Ora che il modello di business basato sulla banca locale è praticamente sparito per il fallimento dei suoi più sbandierati intermediari e vi sono dubbi che possa rigenerarsi con le peculiarità delle nuove regole del credito cooperativo, in che cosa dovrebbe consistere la introduzione di nuove norme, se non nel pronto allineamento a quelle europee e alle sue riforme infrastrutturali, in nome delle quali il risparmiatore finale deve essere messo in grado di compiere in consapevolezza le proprie scelte finanziarie?
Il compito della Commissione e' di sicuro difficile, ma la tutela del risparmio e' un fatto sostanziale e non solo questione di norme, dato che la sua prima espressione consiste nel non far fallire le banche. Altrimenti sembra di praticare non tanto la scelta delle migliori regole del gioco quanto quella del gioco delle regole mancanti, dietro il quale nascondere i nostri deficit e giustificare a posteriori i nostri guai bancari, che hanno visto la distruzione di risparmio e cospicui interventi di denaro pubblico.
Senza apparire irriguardosi, vi sono molte analogie tra la storia più recente del nostro sistema bancario e quella della nostra ultima nazionale di calcio. Dalle affermazioni trionfalistiche e autoreferenziali (“abbiamo il sistema bancario più solido”, “ai prossimi campionati del mondo saremo la vera sorpresa senza limiti ai nostri più ambiziosi traguardi”) ai cocenti, inattesi e ancora inesplicati fallimenti di entrambi.
Si dice che anche nel calcio si debbano riscrivere le regole, ma almeno i vertici, alla fine, sono stati indotti a dimettersi. Questa dopo tutto è, da sempre, la prima ed essenziale regola del gioco.
Daniele Corsini e Gerardo Coppola
Andranno avanti fino alla scadenza della legislatura con le convocazioni di magistrati, esponenti della professione, manager, e quanti altri. Da ultimo verranno sentiti i vertici delle Autorità di settore. L’autorevole Vice Presidente di fronte ad alcuni dubbi dell’opinione pubblica circa il ruolo della Commissione ha ribadito che il giudizio finale sulle nostre vicende bancarie non deve uscire dai suoi lavori, bensì dai Tribunali e che alla Commissione compete di avanzare alcune proposte legislative per ridurre i rischi nel rapporto tra operatori finanziari e risparmiatori.
Il professor Visentini, in un lungo articolo su Firstonline, elenca i deficit dell’ordinamento in vigore e suggerisce alcuni importanti emendamenti, meritevoli di considerazione. Sulla stessa linea si colloca Giampaolo Galli su Il sole 24 ore, proponendo di riscrivere alcune regole, entrambi non soddisfatti della mole di norme che dal 2007 si e' abbattuta sul settore. Eppure tutte le teorie sul central banking sono concordi che il potere effettivo in campo finanziario non discende solo dalle regole, ma anche dal collocamento istituzionale della banca centrale nei moderni ordinamenti, vero dominus della stabilità a condizione che essa sia autorevole e in grado di diffondere fiducia.
L’inadeguatezza delle nostre attuali regole è invocata a gran voce dalle stesse autorità come il limite incontrato nell’azione di prevenzione e di correzione delle crisi bancarie succedutesi negli ultimi anni con impressionante virulenza.
Senza voler contraddire il principio che tutto è migliorabile anche in termini normativi (tra l’altro in questi giorni è stata approvata la nuova legge sul fallimento da tempo auspicata), corre l’obbligo di osservare come le regole che debbono preservarci dalle crisi bancarie siano ormai il prodotto della normativa europea, che lascia a quelle nazionali la gestione di alcune peculiarità e alle sue autorità di vigilare su poche entità minori, le cosiddette banche meno significative.
In Italia, si tratta oramai di piccole popolari e società azionarie a base privata, alcune a vocazione specialistica, che ritengono di avere un’offerta competitiva di servizi in una fase in cui l’industria bancaria italiana, se non addirittura quella europea, viene incentivata a prendere la via del consolidamento. Cosa che porta con sé una maggiore pressione sui mercati locali, da parte di banche di maggiore dimensione. Vi è da augurarsi che questo processo ci faccia uscire da manifestazioni tanto esiziali, ma anche tanto provinciali dei nostrani conflitti di interesse e dei localistici rapporti con la politica.
Il nostro paese ha spesso recepito con colpevole ritardo alcune importanti direttive europee, anche se non ci pare che si siano levate gran voci di fronte a queste lentezze del Parlamento italiano. Senza un’approfondita analisi degli impatti sul nostro sistema abbiamo poi votato in sede europea provvedimenti che hanno reso più difficili non solo gli interventi di salvataggio anche di banche minori, ma che hanno, soprattutto, ritardato il rinnovamento della politica del credito.
Si pensi alla sottovalutazione della Banking Communication della Commissione europea del 2013 sul fatto che gli interventi avviati tramite i fondi di garanzia dei depositanti venissero da quel momento in poi bocciati in quanto considerati aiuti di stato. Cosa che è puntualmente avvenuto. Viene ancora tirato in ballo il caso Tercas, pressoché sconosciuta banca locale, il cui salvataggio ad opera del Fondo di tutela dei depositi fu impedito dalla Direzione Concorrenza della Commissione, limitando da quel momento in poi i nostri più usuali strumenti di intervento in caso di crisi.
In altri casi abbiamo praticato una sorta di slalom tra i paletti delle regole europee e di quelle nazionali, come quando abbiamo anticipato, d’urgenza alla fine del 2015, la risoluzione delle 4 banche non sistemiche (Etruria, Marche, Ferrara e Chieti) per evitarne il bail in (che avrebbe probabilmente coinvolto anche gli obbligazionisti senior e i risparmiatori con più di centomila euro), la cui entrata in vigore fu posposta al 2016, quando l’istituto della risoluzione è previsto a livello europeo soltanto per le banche sistemiche.
Sta di fatto che il nostro piccolo risparmiatore fosse azionista, obbligazionista o depositante era da sempre visto come un unicum, che basava indifferentemente e totalmente le proprie scelte sulla fiducia nella propria banca e non sui rischi dei diversi strumenti finanziari.
Non ci siamo nemmeno chiesti finora quale sia il modello della nuova banca retail europea che emerge dalle regole comunitarie e quanto ne siamo lontani, cioè quanto sarà ancora lungo il processo di riconfigurazione industriale del nostro sistema.
Sta di fatto che la banca commerciale, cioè quella che ha esposto i minuti risparmiatori alle maggiori perdite, viene prefigurata come un intermediario con meno crediti all’economia (tramite regole più severe di valutazione di quelli anomali), più attenzione alle ragioni dei depositanti (introduzione a partire dal 2018 della Mifid 2) e servizi più moderni e a prezzi più bassi (tramite la piattaforma Sepa per gli Instant Payments).
Quanto siamo lontani da quel modello ce lo dicono tanti elementi di segno opposto (dalla eccessiva tolleranza nella svalutazione dei crediti non performing, che il mercato prezza a poco più del venti per cento, alla ormai diffusa sfiducia verso strumenti finanziari come le azioni e le obbligazioni subordinate, al ritardo verso servizi europei di base, come il conto di pagamento, in favore del più tradizionale conto corrente che consente politiche di tariffazione non sempre collegate ai sottostanti costi industriali delle transazioni. Come pure avviene per le commissioni sul risparmio gestito, spesso fortemente penalizzanti per il consumatore.
L’adesione allo schema Sepa degli instant payments, per compiere in pochi secondi operazioni di trasferimento di fondi, vede solo sedici banche italiane presenti sulla piattaforma al 10 novembre, quando l’avvio ufficiale avverrà in questo stesso mese. Estesa praticamente a tutto il sistema è invece la presenza di quelle spagnole, austriache e tedesche.
Ora che il modello di business basato sulla banca locale è praticamente sparito per il fallimento dei suoi più sbandierati intermediari e vi sono dubbi che possa rigenerarsi con le peculiarità delle nuove regole del credito cooperativo, in che cosa dovrebbe consistere la introduzione di nuove norme, se non nel pronto allineamento a quelle europee e alle sue riforme infrastrutturali, in nome delle quali il risparmiatore finale deve essere messo in grado di compiere in consapevolezza le proprie scelte finanziarie?
Il compito della Commissione e' di sicuro difficile, ma la tutela del risparmio e' un fatto sostanziale e non solo questione di norme, dato che la sua prima espressione consiste nel non far fallire le banche. Altrimenti sembra di praticare non tanto la scelta delle migliori regole del gioco quanto quella del gioco delle regole mancanti, dietro il quale nascondere i nostri deficit e giustificare a posteriori i nostri guai bancari, che hanno visto la distruzione di risparmio e cospicui interventi di denaro pubblico.
Senza apparire irriguardosi, vi sono molte analogie tra la storia più recente del nostro sistema bancario e quella della nostra ultima nazionale di calcio. Dalle affermazioni trionfalistiche e autoreferenziali (“abbiamo il sistema bancario più solido”, “ai prossimi campionati del mondo saremo la vera sorpresa senza limiti ai nostri più ambiziosi traguardi”) ai cocenti, inattesi e ancora inesplicati fallimenti di entrambi.
Si dice che anche nel calcio si debbano riscrivere le regole, ma almeno i vertici, alla fine, sono stati indotti a dimettersi. Questa dopo tutto è, da sempre, la prima ed essenziale regola del gioco.
Daniele Corsini e Gerardo Coppola
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