sabato 17 febbraio 2018

Cinque Stelle: "l'errore è una verità impazzita"




Travaglio ha ragione. Ma io non ho torto. Ha ragione Travaglio quando afferma che di fronte alla slealtà, alla malafede, ai raggiri, alle truffe, alle violenze sostanziali bisogna restare fermi sui propri princìpi senza abbassarsi a quei livelli, costi quello che costi. Perché quando si scalfisce un principio anche per una sola volta e per cosa di poco conto, si sa da dove si comincia ma non dove si va a finire. Ma io non ho torto perché un principio, anche il più giusto dei princìpi, se portato alle sue estreme conseguenze è un errore (“l’errore è una verità impazzita”, Chesterton). E’ l’errore che hanno fatto i Cinque Stelle, nella comprensibile ansia di un rinnovamento etico in un’Italia marcia fino al midollo, insistendo con eccessiva ossessività sull’’onestà’, che avrebbero fatto meglio a chiamare ‘legalità’ perché l’onestà è un fatto interiore e anche un delinquente può essere onesto se rispetta il proprio codice morale (è il concetto che io riassumo nel binomio emblematico Vallanzasca/Berlusconi, il primo è un criminale, ma interiormente pulito, il secondo oltre a essere un criminale è, interiormente, moralmente marcio, un “delinquente naturale” come lo ha definito la Cassazione, cioè una persona che delinque anche quando non ne ha alcun bisogno).
Questo aver portato il principio dell’onestà/legalità alle sue estreme conseguenze espone i Cinque Stelle a facilissimi boomerang. L’altro ieri tutti i principali giornali italiani titolavano, in testa alla propria prima pagina, sul fatto che alcuni Cinque Stelle, violando il proprio codice interno, non avevano restituito la diaria. Il Giornale: “Disonestà, disonestà. Crolla il mito dei ‘puri’. Fine del sogno a 5 Stelle”; La Repubblica: “Rimborsi, lo scandalo scuote M5S”; Corriere della Sera: “M5S, un buco da 1,4 milioni”; La Stampa: “I grillini ammettono: rimborsi gonfiati”; Il Messaggero: “Rimborsi M5S, manca un milione”; Il Foglio: “Gioioso j’accuse contro gli impresentabili del moralismo”. Il sottotesto di quest’orgia di j’accuse è la sua ‘gioiosa’ implicazione: vedete sono come noi, sono marci come noi, che meraviglia.
Non c’è chi non veda, spero, la differenza che esiste fra coloro che oggi fan la morale ai moralisti e questi ultimi. I Cinque Stelle (cinque, dieci? Vedremo) hanno violato un proprio codice interno, privato, fra i moralisti d’occasione ci sono partiti nelle cui file militano deputati, senatori, consiglieri regionali, consiglieri comunali che hanno violato il Codice penale.
Giuseppe Prezzolini nel suo Codice della vita italiana distingueva gli italiani fra “i furbi” e “i fessi”. I primi sono quelli che se fregano di ogni regola, i secondi le rispettano. Ma i fessi sono così fessi da provare ammirazione per i “furbi”. Scrive ancora Prezzolini nel capitolo che introduce il Codice della vita italiana che s’intitola appunto “Dei furbi e dei fessi”: “L’italiano ha un tale culto per la furbizia, che arriva persino all’ammirazione di chi se ne serve a suo danno”. Il ventennale successo di Silvio Berlusconi, come ricordava l’altro ieri Marco Travaglio, insegna.



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