Faceva un po’ rabbia, l’altra sera a Otto e mezzo, vedere il gatto e la volpe, Matteo Renzi e Alessandro Sallusti, picconare di buona lena i Cinquestelle per la faccenda del buco (un milione di euro o forse di più) dei rimborsi non rimborsati
da un pugno di candidati alle prossime elezioni. Rabbia soprattutto
verso il M5S per avere consentito a due signori, che in quanto a
impresentabili nelle rispettive liste di Pd e Forza Italia
farebbero bene a tacere, di esultare all’unisono. Con la stessa
gaglioffa goduria, per capirci, degli alunni ripetenti quando il primo
della classe viene beccato a copiare.
C’interessa poco sapere se questa imbarazzante vicenda farà perdere voti al movimento di Grillo-Di Maio,
anche se crediamo di no considerati i pulpiti da cui viene la predica.
Colpisce tuttavia l’approssimazione, e forse anche la sciatteria, con
cui è stata gestita l’operazione restituzioni, novità senza precedenti
nella politica non solo italiana: 23 milioni tra stipendi e rimborsi che sono andati a circa settemila micro e piccole imprese.
Ebbene, proprio perché l’applicazione di questo principio rappresenta, oltre che una medaglia al valore,
un ceffone insopportabile per tutti gli altri partiti, sarebbe stato
necessario che neppure uno spillo fosse mancato all’appello. Soprattutto
in prossimità delle elezioni. Invece per dirne una, come apprendiamo dall’articolo sul Fatto di Luca De Carolis e Paola Zanca, del portale che dovrebbe verificare la congruità e la correttezza dei bonifici dei parlamentari grillini, si occupa un solo tecnico.
Vero è che il giochino di coloro che si sarebbero riappropriati di
somme che ufficialmente avevano restituito (ma dove li hanno pescati?)
non era semplicissimo da scoprire. Ma se, come ha ammesso sul nostro giornale Massimo Bugani dell’associazione Rousseau, “l’errore è stato trascurare i controlli”, peggio mi sento. Anche perché viviamo nel Paese in cui i ladri presi con la refurtiva in bocca possono farla franca mentre chi è onesto deve dimostrarlo fino all’ultimo centesimo.
Ecco allora che le “trascuratezze” sui soldi di cui parla Bugani,
sommate ai non piccoli inconvenienti tecnici palesati dalla piattaforma Rousseau durante le parlamentarie, più i criteri legittimi ma del tutto soggettivi (Di Maio)
alla base della scelta delle candidature, tutto questo complesso di
cose non fa altro che riproporre l’interrogativo politico di fondo. Che
non riguarda certo l’integrità personale del gruppo dirigente
Cinquestelle e neppure le sacrosante battaglie sulla legalità e meno che
mai la possibilità di formare un governo nel caso (oggi ancora
probabile) il 4 marzo il Movimento conquistasse la maggioranza relativa.
Ma invece: se non sono capaci di controllare i conti di qualche
centinaio di persone come possono tenere in ordine il bilancio di un’intera nazione?
Antonio Padellaro (Il Fatto Quotidiano - 14 febbraio 2018)
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