Oggi è in grande voga
il ritorno alle fotografie concettuali che nella loro estetica inglobano
volutamente una serie di mossi creati per mostrare una dinamica, per offuscare
la scena, per alludere a qualcosa di indistinguibile, per indurre a soffermarsi
di più davanti all’immagine nel cercare di capire.
Indubbiamente questo
tipo di foto necessitano sempre di una preparazione, un ricorso a esposizioni
per tempi lunghi, a chiusure massime degli otturatori e, in qualche modo,
talvolta ad altri stratagemmi e interventi diretti che aiutino nella
realizzazione del progetto ideato.
Qualche tempo fa ebbi
a scrivere su Facebook, in accompagnamento alla immagine mossa di copertina,
“Non so quanto a voi ma può anche capitare di scattare una foto ..... e succede
di sbagliarla ... per tanti motivi ... poi, in post produzione, ne scopri
comunque un certo fascino .... Si tratta talvolta di quelle tante immagini
imprevedibili contaminate dal "fattore C" ...”
Molto più spesso di
quanto si pensi può capitare di individuare nell’immagine a posteriori, in post
produzione, elementi che intrigano e suscitano un certo interesse.
Certamente si tratta sempre di fotografie non volute, occasionali scatti che
possono talvolta capitare anche quando, nella foga dell'azione, si ripone maldestramente
la macchina fotografica “pistola” nella fondina, ma poco importa.
Così come ci
avviciniamo a visionare le produzioni altrui, “certificate” in ambiti
ufficiali, azzardo a proporre un approccio analogo nella visione di tutte le
nostre foto, in maniera aperta e asettica, senza alcun pregiudizio.
Da sempre sostengo,
nel parlare di fotografia, che dei nostri scatti durante l’azione non va
buttato niente. L’alternarsi delle mode nel tempo dimostra del resto che spesso
il vintage viene riproposto nel moderno, ovvero come tipologie di immagini
sbagliate che una volta andavano indiscutibilmente cestinate vengono ora
realizzate perché così pensate e progettate prima. Il vintage e il moderno,
peraltro, si traslano e ripropongono costantemente in ogni epoca.
E allora nascono nuove
correnti e scuole di pensiero che “nobilitano” il mosso creativo, lo sfocato,
ovvero fotografie frutto di ecletticità nell’uso di filtri trattati con
materiali disparati e chi più ne ha più ne metta; pur consci che alla fine sarà
sempre e solo il tempo quello che sedimenterà la reale valenza.
Proponendo la visione,
senza fare alcun cenno all’autore, in questi casi sfido comunque a saper
distinguere in generale un risultato frutto di una progettualità a monte con
una immagine che derivi da grossolani errori o eventi imprevisti.
Qui ritorniamo al tema
che confonde profondamente i due campi, quello del fotografo che realizza una
foto e quello dell’osservatore/lettore.
Come ben sappiamo, non
sempre "il nostro modo di scrivere" riesce ad esprimere i concetti
così come li abbiamo pensati, anche se talvolta la carta usata, le spaziature,
il tipo di carattere o le interlinee, vorrebbero in qualche modo indirizzare e
condizionare nell’approccio. Chi è chiamato a leggere focalizzerà ciò che saprà/vorrà
vedere, attraverso il linguaggio parlato del tempo e nel luogo, la scelta
estetica assunta, ma inequivocabilmente concettualizzerà il prodotto osservato
attraverso il proprio personale “background culturale”.
Fra i tanti addetti ai
lavori, poi, si confonderanno anche strani personaggi quali i "critici per
tutte le stagioni", i "parolai", i "millantatori", ma
questo sarebbe un altro discorso che meriterebbe un capitolo a parte.
In argomento ho da
raccontare che recentemente, ad una lettura di portfolio, nell'attesa che
venisse proclamato e premiato quello migliore, parlavo di questa nuova moda dei
"mossi creativi" con un fotoamatore incontrato in loco. Lui ascoltò
le mie tesi, senza però proferire parola. Dopo alcuni minuti furono annunciati
i vincitori ed ebbi così modo di scoprire, con un certo imbarazzo, che il mio
occasionale ascoltatore si era appena classificato al primo posto. Vedendo i
suoi lavori, infatti, mi accorsi che tutte le sue fotografie esposte
corrispondevano ai dettami della "nuova tendenza" e che quindi avevo
parlato con un suo educato "seguace".
Comunque, in
conclusione, tornando al serio, con quanto detto non vorrei apparire
dissacrante o riduttivo e aver fatto nascere in qualcuno dei dubbi circa
l'utilità e la necessità della ricerca sperimentale, nella fotografia come
nell’arte; una pratica che indubbiamente aiuta a far nascere e crescere nuove
modalità espressive e a variegare, arricchendola sempre più, la cultura
attraverso differenti prospettive, sfumature e idee innovative.
Come fatto in altre
volte, vorrei con questo scritto instillare spunti per un dialogo aperto che,
senza pregiudizi, prenda anche atto di quanto la casualità e l’imprevedibile
possano condizionare talvolta anche quei risultati che erigiamo, tutti unanimi,
a opera d’arte.
Buona luce a tutti.
© Essec
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