venerdì 16 febbraio 2018

“Non so quanto a voi ma può anche capitare"




Oggi è in grande voga il ritorno alle fotografie concettuali che nella loro estetica inglobano volutamente una serie di mossi creati per mostrare una dinamica, per offuscare la scena, per alludere a qualcosa di indistinguibile, per indurre a soffermarsi di più davanti all’immagine nel cercare di capire.
Indubbiamente questo tipo di foto necessitano sempre di una preparazione, un ricorso a esposizioni per tempi lunghi, a chiusure massime degli otturatori e, in qualche modo, talvolta ad altri stratagemmi e interventi diretti che aiutino nella realizzazione del progetto  ideato. 
Qualche tempo fa ebbi a scrivere su Facebook, in accompagnamento alla immagine mossa di copertina, “Non so quanto a voi ma può anche capitare di scattare una foto ..... e succede di sbagliarla ... per tanti motivi ... poi, in post produzione, ne scopri comunque un certo fascino .... Si tratta talvolta di quelle tante immagini imprevedibili contaminate dal "fattore C" ...”
Molto più spesso di quanto si pensi può capitare di individuare nell’immagine a posteriori, in post produzione, elementi che intrigano e  suscitano un certo interesse. Certamente si tratta sempre di fotografie non volute, occasionali scatti che possono talvolta capitare anche quando, nella foga dell'azione, si ripone maldestramente la macchina fotografica “pistola” nella fondina, ma poco importa.
Così come ci avviciniamo a visionare le produzioni altrui, “certificate” in ambiti ufficiali, azzardo a proporre un approccio analogo nella visione di tutte le nostre foto, in maniera aperta e asettica, senza alcun pregiudizio.
Da sempre sostengo, nel parlare di fotografia, che dei nostri scatti durante l’azione non va buttato niente. L’alternarsi delle mode nel tempo dimostra del resto che spesso il vintage viene riproposto nel moderno, ovvero come tipologie di immagini sbagliate che una volta andavano indiscutibilmente cestinate vengono ora realizzate perché così pensate e progettate prima. Il vintage e il moderno, peraltro, si traslano e ripropongono costantemente in ogni epoca.
E allora nascono nuove correnti e scuole di pensiero che “nobilitano” il mosso creativo, lo sfocato, ovvero fotografie frutto di ecletticità nell’uso di filtri trattati con materiali disparati e chi più ne ha più ne metta; pur consci che alla fine sarà sempre e solo il tempo quello che sedimenterà la reale valenza.
Proponendo la visione, senza fare alcun cenno all’autore, in questi casi sfido comunque a saper distinguere in generale un risultato frutto di una progettualità a monte con una immagine che derivi da grossolani errori o eventi imprevisti.
Qui ritorniamo al tema che confonde profondamente i due campi, quello del fotografo che realizza una foto e quello dell’osservatore/lettore.
Come ben sappiamo, non sempre "il nostro modo di scrivere" riesce ad esprimere i concetti così come li abbiamo pensati, anche se talvolta la carta usata, le spaziature, il tipo di carattere o le interlinee, vorrebbero in qualche modo indirizzare e condizionare nell’approccio. Chi è chiamato a leggere focalizzerà ciò che saprà/vorrà vedere, attraverso il linguaggio parlato del tempo e nel luogo, la scelta estetica assunta, ma inequivocabilmente concettualizzerà il prodotto osservato attraverso il proprio personale “background culturale”.
Fra i tanti addetti ai lavori, poi, si confonderanno anche strani personaggi quali i "critici per tutte le stagioni", i "parolai", i "millantatori", ma questo sarebbe un altro discorso che meriterebbe un capitolo a parte.
In argomento ho da raccontare che recentemente, ad una lettura di portfolio, nell'attesa che venisse proclamato e premiato quello migliore, parlavo di questa nuova moda dei "mossi creativi" con un fotoamatore incontrato in loco. Lui ascoltò le mie tesi, senza però proferire parola. Dopo alcuni minuti furono annunciati i vincitori ed ebbi così modo di scoprire, con un certo imbarazzo, che il mio occasionale ascoltatore si era appena classificato al primo posto. Vedendo i suoi lavori, infatti, mi accorsi che tutte le sue fotografie esposte corrispondevano ai dettami della "nuova tendenza" e che quindi avevo parlato con un suo educato "seguace".
Comunque, in conclusione, tornando al serio, con quanto detto non vorrei apparire dissacrante o riduttivo e aver fatto nascere in qualcuno dei dubbi circa l'utilità e la necessità della ricerca sperimentale, nella fotografia come nell’arte; una pratica che indubbiamente aiuta a far nascere e crescere nuove modalità espressive e a variegare, arricchendola sempre più, la cultura attraverso differenti prospettive, sfumature e idee innovative.
Come fatto in altre volte, vorrei con questo scritto instillare spunti per un dialogo aperto che, senza pregiudizi, prenda anche atto di quanto la casualità e l’imprevedibile possano condizionare talvolta anche quei risultati che erigiamo, tutti unanimi, a opera d’arte.
Buona luce a tutti.

© Essec


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