La
disuguaglianza fra paesi ricchi e poveri nel mondo è la principale causa del
fenomeno migratorio. Lo scrittore ed
economista Milanovic sostiene che le “differenze
di luogo” hanno in buona misura sostituito le “differenze di classe”; in
effetti, anche lo scontro politico si è spostato sulla contrapposizione tra chi si sente minacciato dall’afflusso dei
migranti e chi propugna soluzioni maggiormente improntate a criteri di
solidarietà.
Comunque,
c’è il settore popolarissimo del calcio in cui le regole da diversi anni sono
cambiate per agevolare l’afflusso di una particolare tipologia di “migranti”
dall’estero. Ciò ha portato a far accettare senza problemi alla pubblica
opinione l’impiego massivo di persone straniere e l’assenza di giocatori
autoctoni in una squadra (con buona pace di chi invoca con sistematicità “prima
gli italiani!”). Insomma, la passione pedatoria è riuscita a ridurre, per certi
aspetti, le pulsioni sciovinistiche
(anche se non sono infrequenti episodi di razzismo negli stadi) .
Con
la globalizzazione diverse società di calcio europee, spesso di proprietà di
soggetti stranieri, sono diventati marchi mondiali, facendo paradossalmente
aumentare un altro tipo di disuguaglianza. E’ risaputo che il calcio nel
vecchio continente è organizzato in modo da favorire le società più ricche che
possono comprare i migliori giocatori in circolazione e primeggiare nei
campionati; le società che non dispongono di mezzi economici non hanno, salvo
rarissime eccezioni, probabilità di
vittoria.
Negli
ultimi anni, infatti, i principali campionati (Francia, Germania, Italia,
Inghilterra, Spagna) sono dominati da
poche squadre con maggiori possibilità finanziarie; il grado di concentrazione del potere sportivo è
aumentato (nel caso italiano, gli ultimi sei campionati sono stati conquistati
dalla stessa società).
A
questo punto potremmo nobilmente invocare l’adozione di normative che
salvaguardino la competitività di tutti i partecipanti (sulla falsariga dei
campionati sportivi americani) e azzardare a dire che, in considerazione della
vasta popolarità del calcio, un cambio di regole di governo potrebbe
addirittura avere un effetto positivo non
solo nel campo dello sport ma anche in ambito culturale e civile.
Ma non vogliamo avventurarci su un terreno
pericoloso, in cui si possono scatenare polemiche provocate da ancestrali
rivalità sportive mai sopite.
Comunque
non possiamo dissimulare la frustrazione (alimentata anche dalla performance
negativa della nazionale italiana) di chi - innamoratosi fin dall’infanzia del calcio come si sarebbe
“poi innamorato delle donne: improvvisamente, inesplicabilmente, acriticamente”
(“Febbre a 90’” di N. Horby) - si trova
a tifare per squadre magari belle ma incapaci di appagare le naturali ambizioni
di vittoria, purtroppo disegualmente e
saldamente concentrate nelle mani - rectius piedi - di poche e ricche
società di calcio.
© P.T.
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