venerdì 6 aprile 2018

Migrazione, potere economico e calcio




La disuguaglianza fra paesi ricchi e poveri nel mondo è la principale causa del fenomeno migratorio.  Lo scrittore ed economista Milanovic sostiene che le  “differenze di luogo” hanno in buona misura sostituito le “differenze di classe”; in effetti, anche lo scontro politico si è spostato sulla contrapposizione tra chi  si sente minacciato dall’afflusso dei migranti e chi propugna soluzioni maggiormente improntate a criteri di solidarietà.

Comunque, c’è il settore popolarissimo del calcio in cui le regole da diversi anni sono cambiate per agevolare l’afflusso di una particolare tipologia di “migranti” dall’estero. Ciò ha portato a far accettare senza problemi alla pubblica opinione l’impiego massivo di persone straniere e l’assenza di giocatori autoctoni in una squadra (con buona pace di chi invoca con sistematicità “prima gli italiani!”). Insomma, la passione pedatoria è riuscita a ridurre, per certi aspetti, le pulsioni  sciovinistiche (anche se non sono infrequenti episodi di razzismo  negli stadi) .

Con la globalizzazione diverse società di calcio europee, spesso di proprietà di soggetti stranieri, sono diventati marchi mondiali, facendo paradossalmente aumentare un altro tipo di disuguaglianza. E’ risaputo che il calcio nel vecchio continente è organizzato in modo da favorire le società più ricche che possono comprare i migliori giocatori in circolazione e primeggiare nei campionati; le società che non dispongono di mezzi economici non hanno, salvo rarissime eccezioni,  probabilità di vittoria.

Negli ultimi anni, infatti, i principali campionati (Francia, Germania, Italia, Inghilterra, Spagna) sono dominati  da poche squadre con maggiori possibilità finanziarie; il  grado di concentrazione del potere sportivo è aumentato (nel caso italiano, gli ultimi sei campionati sono stati conquistati dalla stessa società).

A questo punto potremmo nobilmente invocare l’adozione di normative che salvaguardino la competitività di tutti i partecipanti (sulla falsariga dei campionati sportivi americani) e azzardare a dire che, in considerazione della vasta popolarità del calcio, un cambio di regole di governo potrebbe addirittura avere un effetto positivo  non solo nel campo dello sport ma anche in ambito culturale e civile.

 Ma non vogliamo avventurarci su un terreno pericoloso, in cui si possono scatenare polemiche provocate da ancestrali rivalità sportive mai sopite.

Comunque non possiamo dissimulare la frustrazione (alimentata anche dalla performance negativa della nazionale italiana) di chi - innamoratosi  fin dall’infanzia del calcio come si sarebbe “poi innamorato delle donne: improvvisamente, inesplicabilmente, acriticamente” (“Febbre a 90’” di N. Horby) -  si trova a tifare per squadre magari belle ma incapaci di appagare le naturali ambizioni di vittoria,  purtroppo disegualmente e saldamente concentrate nelle mani  - rectius piedi - di poche e ricche società di calcio.


© P.T.


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