mercoledì 11 aprile 2018

Prendere a pugni un professore è meno faticoso che educare i propri figli



Palermo, Istituto Abba-Alighieri, un professore viene aggredito dal padre di un’alunna perché colpevole (secondo il racconto della ragazzina) di aver “alzato le mani” contro di lei. Il professore finisce al pronto soccorso e la ragazzina ritratta tutto, sostenendo di aver subito solo dei rimproveri.
Torino, Istituto Russel-Moro,un insegnante punisce un alunno per un ritardo mandandolo in biblioteca e il genitore organizza una “spedizione punitiva” e con altri due parenti si presenta a scuola e picchia il professore colpendolo con un pugno alla mandibola.
Avola, Istituto Comprensivo Elio Vittorini, stavolta gli aggressori dell’insegnante sono entrambi i genitori che decidono di “punire” il professore con calci e pugni davanti a una classe di dodicenni per aver rimproverato, a loro dire, in maniera troppo “aggressiva” il loro figlio.
Credetemi, potrei continuare per un bel pezzo con questo vergognoso elenco, perché i casi di aggressione da parte di genitori “contrariati” nei confronti degli insegnanti sono veramente tanti.
Puntualmente mi torna alla mente la mia adolescenza, i colloqui coi genitori e il terrore che avevo di mio padre quando tornava a casa dopo aver parlato coi professori. Mi bastava guardarlo un secondo per capire com’era andata la chiacchierata e per quanto pregassi tutti i santi del paradiso (allora pregavo, sì), mai una volta mio padre si schierava dalla mia parte. Mai.
Forse il suo era un modo un po’ estremo di trattare la questione Francesca-scuola, ma vi assicuro che nel 99% dei casi, la colpa era davvero mia. Ero abbastanza scaltra e mi bastava poco per apprendere, solo che studiavo poco e qualche volta (più di qualche) preferivo una bella gita al mare con le amiche piuttosto che cinque ore di lezione. Ma il punto è che per mio padre l’insegnante era depositario della verità assoluta, una figura di fondamentale importanza nella società e perciò degna del massimo rispetto.
Ora, va da sé che non sempre i professori sono depositari della verità assoluta e che quelli che fanno ancora con passione il loro lavoro sono pochi, ma per mio padre – come per tutti i genitori della sua generazione – la figura dell’insegnante (insieme a quella del prete e del medico) era sacra. Pensare che, dopo un colloquio col professore di matematica che raccontava a mio padre l’ennesima mia figuraccia alla lavagna, lui decidesse di difendere la mia totale incompetenza in fatto di numeri sferrandogli un bel destro sul naso, era qualcosa che non apparteneva nemmeno ai miei pensieri più reconditi. E se solo mi azzardavo a parlar male di un professore, a insultarlo davanti a lui, le botte le prendevo io! Esagerato? Forse, ma quando ci penso non posso fare a meno di chiedermi dove sia finito quel rispetto.
Poi mi viene in mente il parco giochi e il papà che sghignazza se il figlio fa il bulletto con gli altri bambini o la mamma che suggerisce alla bimba di occupare in fretta l’altalena prima che lo facciano altri bambini e di non scendere sennò “ti rubano il posto”. Mi viene in mente una bella tavolata di un ristorante in cui gli adulti ridono e scherzano tra loro, mentre i figli scorrazzano come invasati per il locale disturbando gli altri tavoli e se qualcuno prova a rimproverarli la mamma lascia la sua allegra compagnia per puntualizzare stizzita che i figli “sono bambini e che i bambini devono giocare”. Mi viene in mente un video assurdo trovato on line, in cui qualcuno filma un viaggio di otto ore dalla Germania a New York, durante il quale un bimbo di tre anni urla ininterrottamente, rendendo il volo insopportabile a tutti i passeggeri.
Ecco dov’è finito quel rispetto. Nel cesso. Nella folle convinzione che giustificare i figli significhi comprenderli, si è passati da un estremo all’altro. Oggi si preferisce parteggiare per i figli a prescindere da tutto, senza nemmeno tentare di chiarire le cose e di capire realmente ciò che è accaduto e perché. Questo dà al genitore l’illusione di essere vicino al proprio figlio, di comprenderne i reali bisogni, scagionandolo anche quando meriterebbe una bella ed esemplare punizione.
La famosa frase “se cadi e ti sporchi ti dó il resto!” è ormai obsoleta, perché oggi “se cadi e ti sporchi è colpa di quel cretino che ha asfaltato male la strada. Chissà a che pensava mentre lavorava!”. Eccesso di protezione? Affatto. Semmai il contrario. Sono vittime di un’epoca frenetica, individualistica e competitiva nella quale ai genitori costa meno fatica assecondarli, piuttosto che occuparsi attivamente di loro. Capita poi che qualcuno, magari un professore, cerchi di rimediare a questa mala educazione assumendosi la responsabilità di correggere e rieducare i ragazzi al rispetto delle regole, evidenziando così il fallimento della figura genitoriale. Fallimento che ovviamente il genitore non può ammettere, a se stesso ma soprattutto agli altri, perciò reagisce, nei casi più estremi, ricorrendo alla violenza.
Che tipo di insegnamento potranno trarre degli adolescenti che vedono il proprio genitore picchiare selvaggiamente il loro professore? Sicuramente che tutto è concesso, che il rispetto per gli altri è un’opzione che si può anche non prendere in considerazione, se questo danneggia i propri interessi, che se ti dicono che sei un asino in geometria e che sei maleducato è colpa del professore stronzo che ti odia e quindi una bella lezione la merita lui. Papà dice che è giusto così.

Francesca Petretto (Il Fatto Quotidiano, 11 aprile 2018

 

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