Tutto immaginavamo nella vita, fuorché di dover spiegare proprio a Niccolò Ghedini
il nostro titolo di ieri: “Il Delinquente umilia Salvini, insulta i
5Stelle e spera nel Pd”. Nessuno meglio dell’onorevole avvocato di Silvio Berlusconi dovrebbe sapere che il suo cliente è un delinquente.
Sia perché, se non lo fosse, non avrebbe così spesso bisogno di lui:
come legale e come legislatore. Sia perché almeno Ghedini le sentenze
sull’illustre assistito dovrebbe averle lette e capite. È dunque con sommo stupore che leggiamo il suo annuncio di querela
perché “i toni e i contenuti della critica politica possono essere più
aspri e severi che non nella normale dialettica, ma il titolo e
l’articolo della prima pagina del Fatto Quotidiano travalicano
qualsiasi limite giuridico e deontologico, sconfinando nella più
evidente contumelia e appaiono davvero inaccettabili. Ovviamente saranno
esperite immediatamente tutte le azioni giudiziarie del caso”. Mentre
lui esperisce, io faccio ammenda: il titolo di ieri era gravemente lacunoso, per motivi di spazio. La giusta definizione di B. è infatti delinquente naturale, o meglio: dotato di una “naturale capacità a delinquere”. Non è una “critica politica”: è un passaggio della sentenza emessa il 26.10.2012 dal Tribunale di Milano nel processo sulle frodi fiscali per 368 milioni di dollari perpetrate per anni da B. facendo acquistare da Mediaset diritti cinematografici dalle major Usa a prezzi gonfiati tramite sue società offshore.
Sentenza che condannò il Caimano a 4 anni di reclusione per le frodi (7,3 milioni di euro)
sopravvissute alla prescrizione, da lui stesso dimezzata – a processo
in corso – con la legge ex Cirielli. Sentenza confermata identica dalla
Corte d’appello nel 2013 e dalla Cassazione nel 2014,
con conseguente espulsione dal Senato in base alla legge Severino e
affidamento ai servizi sociali per scontare la pena extra-indulto in una
casa di riposo per (incolpevoli) anziani. I giudici di primo grado
definiscono B. “dominus di un preciso progetto di evasione esplicato in
un arco temporale ampio e con modalità sofisticate” e aggiungono che
“non si può ignorare la produzione di un’immensa disponibilità economica
all’estero ai danni dello Stato e di Mediaset che ha consentito la
concorrenza sleale ai danni delle altre società del settore”. La Corte
d’appello ribadisce “la prova, orale e documentale, che
Berlusconi abbia direttamente gestito la fase iniziale per così dire
del gruppo B (sistema di società offshore) e quindi dell’enorme evasione fiscale realizzata”.
E continuò a delinquere anche dopo l’ingresso in politica nel ’94 e
dopo il generoso via libera della Consob (centrosinistra) nel ’96 alla
quotazione in Borsa di una società infognata nei fondi neri e nei bilanci falsi: “Almeno fino al 1998
vi erano state le riunioni per decidere le strategie del gruppo,
riunioni con il proprietario Silvio Berlusconi”, “nonostante i ruoli
pubblici assunti” dal leader di Forza Italia. Dunque “era riferibile a
Berlusconi l’ideazione, la creazione e lo sviluppo del sistema che consentiva la disponibilità di denaro separato da Fininvest
ed occulto, al fine di mantenere ed alimentare illecitamente
disponibilità patrimoniali estere presso conti correnti intestati a
società che erano a loro volta amministrate da fiduciari di Berlusconi”.
Il delinquente naturale aveva creato quella gigantesca truffa allo Stato e alla stessa Mediaset
“per il duplice fine di realizzare un’imponente evasione fiscale e di
consentire la fuoriuscita di denaro dal patrimonio di Fininvest e
Mediaset a beneficio di Berlusconi”. La Cassazione spiega come
Berlusconi, “ideatore e beneficiario del meccanismo del giro dei
diritti… continuava a produrre effetti (illeciti) di riduzione fiscale
per le aziende a lui facenti capo in vario modo”, “la perdurante
lievitazione dei costi di Mediaset ai fini di evasione fiscale” e l’arricchimento illecito di B. che “continuava a godere della ricaduta economica del sistema praticato” con enormi “disponibilità patrimoniali estere”.
Tralasciamo, per carità di patria, le decine di altre sentenze che definiscono il Delinquente anche corruttore prescritto di senatori della Repubblica e di testimoni, finanziatore occulto e prescritto di leader politici, capo di aziende corruttrici della Guardia di Finanza, “privato corruttore” prescritto di magistrati romani, finanziatore per almeno 18 anni di Cosa Nostra con cui aveva stretto un patto d’acciaio fin dal 1974,
falso testimone amnistiato e falsificatore di bilanci prescritto o
impunito grazie a “riforme” fatte da lui stesso. Quelle sentenze almeno
Ghedini dovrebbe conoscerle bene: un po’ perché molte sono frutto di leggi ad personam
votate e/o volute anche da lui; un po’ perché l’onorevole avvocato le
ha impugnate in appello e in Cassazione per ottenere assoluzioni nel
merito, ed è stato quasi sempre respinto con perdite. Però almeno una
parola della dichiarazione ghediniana di ieri coglie nel segno: là dove
usa l’aggettivo “inaccettabili”. Per lui sono inaccettabili il titolo del Fatto
e il mio articolo. Per noi, e per molti italiani (a giudicare dalle
ultime elezioni, direi la stragrande maggioranza), è inaccettabile che
un Delinquente Naturale conclamato venga ricevuto al Quirinale, rimanga
leader di un partito, sia consultato da quasi tutti i partiti politici
per il nuovo governo e si permetta (anche perché gli vengono permesse) sceneggiate come quella dell’altroieri
nel luogo più solenne della democrazia italiana: la Presidenza della
Repubblica. Nei Paesi che – per usare un’espressione a lui cara –
“conoscono l’Abc della democrazia”, i delinquenti naturali non vanno al
Quirinale. Vanno in galera.
Marco Travaglio (Il Fatto Quotidiano, 14 aprile 2018)
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