Stabilito che la fotografia è un sistema che riproduce
evidenze fisiche percepibili, fino a che punto essa stessa può inglobare il
preesistente similare, quando cioè può includere un elemento che è stato già frutto di
fotografia o altro?
Puristi affermano che quanto è stato già prodotto in
modo definito non può essere modificato ed ancor meno essere assorbito in
analoghe successive produzioni, altri asseriscono invece che tutto quanto
rappresentabile può liberamente costituire elemento integrabile in creazioni successive.
Per quanto evidente si escludono le ovvie operazioni
di clonazione o di semplici riproduzioni in copia di un prodotto definito e
commercialmente protetto.
Secondo i sostenitori della seconda scuola di
pensiero, quindi, ogni cosa che è parte di un qualsiasi panorama che si
presenta alla nostra visione può costituire elemento utile e assemblabile in un
successivo “confezionamento” visivo; ancorchè e indipendentemente dal fatto che
possa rispondere alle regole canoniche compositive o a semplici sensazioni
percepite e interpretate, nel caso, dal fotografo di turno.
La “regola dei terzi” e la “spirale aurea” sono per i
fotografi ortodossi un limite “teologico”, anche se gli stessi non disdegnano
mai stupore ed interesse dinanzi a “prodotti del diavolo” che sfuggono alle
loro ferree regole religiose.
In ogni modo l'apprendimento dei linguaggi codificati
e la conoscenza delle regole assicureranno padronanza nelle scelte operative
che consentiranno di prediligere la strada migliore per raccontare una sensazione
attraverso uno scatto personalizzato.
Questa volta si propone un’immagine particolarmente
emblematica, che si basa essenzialmente sulla somma di altre immagini in
un’operazione compositiva che include, per l'osservatore, ed in qualche modo,
anche un “loop infinito”.
La foto scelta è un esempio che estremizza quanto fin
qui detto circa il riciclo di produzioni altrui, per il fatto che associa due
elementi autonomamente preconfezionati che di per sé costituiscono prodotti
grafici circoscritti ma che, con la loro collocazione nello spazio del
fotogramma rispondono pienamente sia alla regola dei due terzi che alla stessa
teoria numerica di Fibonacci (Al riguardo può tornare molto utile la lettura dell'articolo postato nel febbraio 2013 dal fotogiornalista Girolamo Monteleone nel suo sito web "Blissful blog").
Una lettura da sx a dx della fotografia proposta fa risultare come compositivamente l'insieme della stessa risponde alla regola dei terzi, poichè il volto raffigurato nella locandina è posto nel quadrante superiore, mentre il viso della esotica modella del murales corrisponde per grandi linee alla famosa "chiocciola aurea" (immaginiamole sovrapposte alla griglia e alla spirale aurea illustrate nell'articolo pubblicato da "Mora-Foto.it" ed al quale si fa rimando).
Una lettura da sx a dx della fotografia proposta fa risultare come compositivamente l'insieme della stessa risponde alla regola dei terzi, poichè il volto raffigurato nella locandina è posto nel quadrante superiore, mentre il viso della esotica modella del murales corrisponde per grandi linee alla famosa "chiocciola aurea" (immaginiamole sovrapposte alla griglia e alla spirale aurea illustrate nell'articolo pubblicato da "Mora-Foto.it" ed al quale si fa rimando).
La rappresentazione in questione costituisce pertanto
un ulteriore metodo creativo che, nel caso, mette in relazione elementi
autonomi in un unico insieme, attivando pure una interazione dinamica tra
figure statiche, in origine, assolutamente indipendenti.
L'interazione è data dagli sguardi presenti nei
soggetti rappresentati: sia nel ritratto della locandina che in quello esotico
della ragazza col fiore all'orecchio del murales.
Occorre precisare che non si tratta di un
fotomontaggio. Entrambi gli elementi erano presenti nella piazza: nello
specifico la locandina era affissa ad una palizzata di un cantiere, il murales
nella vecchia saracinesca dello stabile di un edificio attiguo fatisciente.
Si tratta inequivocabilmente di un classico “riciclo”
d’immagini prodotte prima da altri soggetti per scopi diversi e che il
fotografo rende proprie assemblandole in un unicum che ha intuito e scelto nel
momento.
Qualcuno potrebbe mai obiettare che potremmo essere in
presenza di un furto d’immagine perpetrato nei confronti di altri autori? Direi
proprio di no, anzi potrebbe essere definito come un’operazione tipica di “working
in progress culturale”, secondo la logica che la cultura è e sarà sempre un
continuo passaggio di testimone fra generazioni di artisti.
Ancora una volta, quindi, con un pò di fantasia
creativa, chi fotografa può riuscire a comporre sempre nuove storie, cogliendo
qualsiasi spunto, rendendole autonome e facendole vivere nell’immaginario con
la speranza/ambizione che anche l’osservatore finale riesca a cogliere
anch’esso quanto lui ha voluto vedere.
Buona luce a tutti.
© Essec
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