venerdì 3 agosto 2018

Tra il dire e il fare c’è in mezzo un barcone


Ultima lezione di liceo, consigli di classe già passati. Classe composta essenzialmente da italiani emigrati in Francia, e magrebini che hanno vissuto prima in Italia e ora oltralpe. Avevo intenzione di far vedere il discorso del Grande Dittatore di Chaplin ma ho chiesto se avessero seguito l’attualità e se avessero notizie del barcone. Rapidamente la situazione scivola su frasi del tipo: “non hanno lavoro e lo cercano in Italia dove non ce n’è”, “é meglio che restano dove sono”, “meglio aiutarli a casa loro”.
Fortunatamente per me, la maggior parte della classe non poneva la questione in questi termini, altrimenti avrei potuto considerare tutto l’insegnamento di questi mesi completamente vano. Dopo aver studiato l’avvento della società industriale, l’alienazione e i movimenti operai, l’imperialismo, il primo dopo guerra coi suoi odiati trattati, la nascita del Fascismo, l’incapacità della comunità internazionale di far fronte all’espansionismo tedesco ed il resto del l’obbrobrio causato dalle ideologie nazifasciste, ho scoperto che l’attualità appare in modo diverso ai ragazzi e la storia un mondo lontano che non gli appartiene.
Nella mia mente si è così spalancata la visione di un vuoto enorme, una desolazione totale tra tutti i valori che avevo cercato di trasmettere e quelli sottesi dalle domande dei ragazzi che sembravano quelle di un assiduo ascoltatore di programmi sullo stile “Dalla vostra parte” o di un raro elettore de Il giornale o Libero.
Si tratta degli stessi ragazzi che erano capaci di spiegarmi che durante la crisi post bellica i Fasci di Combattimento erano un mix di istanze rivoluzionarie e nazionalismo, che lo stato si totalitario si costituisce sul principio di esclusione di un gruppo di persone individuato come capro espiatorio e via di seguito.
Eppure in quel momento, la storia non li tangeva, la realtà era un’altra ed era quella proiettata dai media della retorica dell’invasione, della sicurezza e del “già abbiamo i nostri problemi”.
Ho sudato freddo per un attimo, anche se il discorso valeva per pochi ragazzi, un anno di lezione era li, idealmente sospeso sopra il cestino, pronto per essere buttato al macero.
Inizialmente ho cercato di portare dati, riflessioni, argomenti consolidati, ma mi sono accorto che continuava ad esserci un fossato enorme tra quello che viene detto, raccontato e studiato, e le loro esistenze: se non sono capaci di riconoscere quanto del passato sia attuale, come potrei fare capire che le loro domande partono dal loro punto di vista di Franco-Italiani e non da quello dei migranti? Come posso fare capire che le domande che si pongono sono quelle che vengono rimbalzate sui social, dagli « avvelenatori di pozzi »?
Ho loro posto le seguenti domande: Marco, qual è la differenza tra tuo padre che è arrivato qui in Francia dall’Italia e quella di un libico che vuole attraversare il Mediterraneo? Qual è la differenza, tra i tuoi genitori, Fatima, che sono venuti dall’ Italia in Francia in ragione della crisi economica, e la donna che col figlio sta su quel barcone in questo momento? Qual è la differenza tra il sottoscritto che è venuto in Francia per trovare un lavoro che in Sicilia non c’era e il ragazzo del Mali che in questo momento soffre di mal di mare tra la Sicilia e Malta?
Fatima mi risponde che è diverso, perché io sono italiano, quindi dell’Unione Europea e avevo avuto un’educazione simile a quella dei francesi, quindi potevo entrare in Francia, mentre invece il ragazzo del Mali no.
Marco afferma che tra suo padre e il libico non è mica la stessa cosa. Gli chiedo perché. Il silenzio come risposta non mi basta e gli chiedo se sapesse che ad Aigues-Mortes durante la fine del XIX° secolo quando, a causa della diffusione di una falsa notizia, furono massacrati numerosi immigrati italiani che lavoravano nelle saline francesi. Gli chiesi se sapesse che in tutto il sud-est e nel nord-est del paese della “Fraternité”, gli italiani come i suoi genitori erano vittime di xenofobia e violenze per il semplice fatto di non essere francesi, che non scappavano da guerre ma dalla crisi, che secondo i francesi non c’era abbastanza lavoro per loro e che sarebbe stato meglio che restassero dov’erano.
Questo ragazzo e questa ragazza, di fatto figli del mondo, un pò italiani, un pò francesi, un pò magrebini, proprio loro che dovrebbero essere i più simili alle persone che cercano fortuna, si sono dimenticati o non conosco le sofferenze patite dai loro genitori immigrati per potere garantire loro la possibilità di studiare e vivere una vita serena. Figuriamoci se ricordano la lezione di storia.
Ho cercato quindi di lacerare quella bolla che non gli permette di vedere quanto le loro vite siano immerse nella Storia umana.
Colmato con la riflessione sulle loro esperienze quel fossato tra i valori studiati a lezione e quelle domande frutto di un egoismo dilagante, mi sono sentito un pizzico più sereno, ma una serie di altri mari di incertezze e di dubbi si sono rivelati.
Ho in seguito spiegato che gli argomenti delle destre che leggo oggi, sono le stesse dita dietro le quali ci si è sempre nascosti.
Tra il dire che si vogliono eliminare gli interessi di chi lucra sui migranti e il compiere un’azione diretta a stanare tutti i pezzi grossi del caporalato, c’è una mare di ipocrisia rivelata dalla lotta allo sbarco, come se il problema fossero i migranti, non chi eventualmente vi lucra.
In una scala di valori non può essere confuso il valore della vita umana con quello della sicurezza, evocato stupidamente dai media col solo scopo di favorire la radicalizzazione delle fazioni e del dibattito, e falsato da una percezione distorta. Complici di questo ingigantimento tutti gli schieramenti politici che hanno trattato la questione migratoria come un problema sulla sicurezza e non come un fenomeno umano fisiologico che dura dalla notte dei tempi.
Tra il dire, da un lato, che si vogliono spezzare le catene di chi vuole essere sfruttato e, dall’altro, l’azione di tutte le persone unite dalla condizione di subalternità nei confronti del capitalismo finanziario e dell’ingiustizia sociale, c’è un mare che è fatto di lotta tra sfruttati e disoccupati del “sud” dell’Europa contro sfruttati del “sud” del mondo. Come posta uno stimatissimo collega, Matteo Saudino, “la storia delle destre sovraniste è sempre la stessa: a parole attaccano i poteri forti quali la finanza, le banche, l’UE, la Nato, nella realtà dei fatti costruiscono comunità in cui si limitano diritti civili e sociali e in cui crescono sentimenti di odio e guerre tra poveri”.
Infine non potevo che concludere la lezione con quel capolavoro che mi ero promesso di proiettare, sicuro che sarebbe, in ogni caso, caduto a pennello anche in quella discussione. I grandi classici servono proprio a questo.
“L’avidità ha avvelenato i nostri cuori, ha precipitato il mondo nell’odio, condotti a passo d’oca verso le cose più abiette. Abbiamo i mezzi per spaziare, ma ci siamo chiusi in noi stessi. La macchina dell’abbondanza ci ha dato povertà, la scienza ci ha trasformati in cinici, l’abilità ci ha resi duri e cattivi. Pensiamo troppo e sentiamo poco. […]
Uniamoci tutti! Combattiamo tutti per un mondo nuovo, che dia a tutti un lavoro, ai giovani la speranza, ai vecchi la serenità ed alle donne la sicurezza. Promettendovi queste cose degli uomini sono andati al potere. Mentivano! Non hanno mantenuto quelle promesse e mai lo faranno. E non ne daranno conto a nessuno. Forse i dittatori sono liberi perché rendono schiavo il popolo. Combattiamo per mantenere quelle promesse. Per abbattere i confini e le barriere. Combattiamo per eliminare l’avidità e l’odio. Un mondo ragionevole in cui la scienza ed il progresso diano a tutti gli uomini il benessere. Soldati! Nel nome della democrazia siate tutti uniti!»

Tobia Savoca (Pressenza - Ingernational Press Agency - 21 giugno 2018)


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