venerdì 3 agosto 2018

Io e i paleo-contestatori arenati ai Bagni Umberto


Nell'estate del Sessantotto me ne stavo beatamente ai Bagni Umberto di Savona, bagni familiari, tipo anni Cinquanta, con una rotonda che avrebbe fatto gola ai VanzIna se fossero già stati all'onor del mondo, dove il Sessantotto non era ancora arrivato e, per la verità, non sarebbe arrivato mai, tant'è che se ci andate oggi li ritrovate tali e quali, con le signore che giocano a Burraco invece che a Ramino o a Scala Quaranta.
Ero lì per filare le ragazze e la rotonda serviva proprio a questo. Non che ai Bagni Umberto non fosse arrivato il rock, i Beatles e persino i Rolling Stones, ma noi preferivamo il lento, il 'ballo del mattone' come cantava Rita Pavone. Fra noi ragazzi esistevano dei codici precisi anche se inespressi. Se una ti metteva il gomito sul petto voleva dire che era meglio lasciar perdere. Se ti metteva la mano sulla spalla era un segnale neutro. Se ti metteva il braccio al collo voleva dire che potevi andare avanti. Ma non significava ancora nulla, perché agli albori del Sessantotto la libertà sessuale, non solo ai Bagni Umberto, era ancora di là da venire.
Del resto che altro fare nell'estate del Sessantotto a Savona, una delle città più torpide d'Italia anche se proprio per questo, per contraccolpo, ha espresso alcuni genietti della Televisione, Fabio Fazio, Antonio Ricci, Carlo Freccero, Aldo Grasso, Tatti Sanguineti.
Nel '68 avevo 24 anni. I 'sessantottini', in genere, dai diciotto ai venti, pochissimi anni di distanza ma che facevano la differenza. Io appartenevo, culturalmente, alla generazione esistenzialista, dei Sartre, dei Camus, di Merleau-Ponty, di Juliette Greco, delle caves e anche, se si vuole, a quel suo derivato che era stato il movimento hippy. Ero troppo adulto, anche se non smaliziato, per lasciarmi andare a facili entusiasmi. Inoltre mi ero laureato tre giorni prima che la contestazione esplodesse in Statale. Una fortuna. Per due motivi. Perché mi evitò di protrarre per mesi la mia tesi e, col 'trenta' gratuito che sarebbe venuto dopo e che avrebbe rovinato parecchi miei coetanei costretti a ciondolare per anni in cerca di un lavoro quale che fosse, dava alla mia laurea ancora un valore. Comunque partecipai diligentemente alle due prime occupazioni della Statale quando vi arrivarono Mario Capanna, Luciano Pero e Michelangelo Spada che erano stati espulsi dalla Cattolica. Ma me ne andai quasi subito quando vidi che il conformismo aveva solo cambiato di segno. Sia in senso letteralmente semantico (mentre prima in università bisognava andarci in giacca e cravatta, adesso la divisa obbligatoria era l'eskimo) sia in modo più profondo perché si era presa l'abitudine di sprangare in trenta contro uno chi non era 'in linea'. Insomma il linciaggio da squadracce fasciste sotto il manto della democrazia progressista. E il linciaggio è la cosa che più mi fa torcere le budella: ho sempre pensato che chi lincia si mette sullo stesso piano, se non peggio, di colui che lo subisce qualsiasi cosa costui abbia commesso.
Ma torniamo alla mitica estate del Sessantotto che io mi spassavo in vacanza, al mare. Per la verità non ero il solo perché tutti o quasi i primi 'contestatori', diciamo i paleo-contestatori, erano figli della buona borghesia milanese (Popi Saracino and company) o romana. Tuttavia anche in quell'immobile estate di vacanza qualcosa di sessantottino ci fu. Ai primordi del Sessantotto, quando facevo la guardia da semplice mujahidin ai portoni della Statale occupata, avevo conosciuto alcuni ragazzi, tra gli altri Ilio Frigerio, Eugenio Polizzi che sarebbero poi entrati nella più strutturata Lotta Continua di Sofri e Pietrostefani. In una stagione successiva Ilio Frigerio sarebbe diventato parlamentare della Lega. Una prima lezione di quel trasformismo che avrei poi visto dilagare per ogni dove. A settembre con Ilio, Rosanna Battino detta 'Roro', che apparteneva a una delle migliori famiglie milanesi, Eugenio Polizzi e la sua ragazza, una sciocchina che squittiva per ogni cosa, rovinandola, ma riscattata dal fatto di essere parecchio carina, decidemmo di fare un viaggio in Sicilia, terra a noi allora ignota tranne che al Polizzi che era nato a Caltanissetta e vi conservava la casa dei suoi genitori. Guidavo io. Ero l'unico ad avere una macchina, un'inguardabile Simca 1000 da 'voglio ma non posso'. A quei tempi l''esproprio proletario' non era ancora in voga ma, insomma, l'idea che in qualche modo bisognava fregare il sistema era già nata. Frigerio e Polizzi erano quindi decisi a entrare in un qualche grill e farvi, di nascosto, razzia. Allora non c'erano ancora le videocamere interne, come sull'autostrada non c'erano i limiti di velocità, i tutor, l'obbligo delle cinture. La cosa quindi pareva abbastanza facile. Io non ero per nulla d'accordo ma seguii il gruppo quando entrò in un grill deciso a tutto. Ne uscii quasi subito rintanandomi in macchina con Roro e lasciando che gli altri tre facessero gli affari loro. Tornarono dopo una mezz'ora. Incazzatissimi. Non erano riusciti a prendere nulla. Allora tirai fuori dal mio giubbotto un salame, una bottiglia di vino e un filone di pane. Un trionfo. Guidai ininterrottamente per ventiquattro ore da Milano fin quasi a Caltanissetta. L'ultima ora cedetti il volante a Ilio, che per tutto quel tempo insieme agli altri non l'aveva nemmeno toccato e mi misi a dormire. Quando mi risvegliai ancora tutto intontito il buon Ilio ebbe la faccia tosta di prendermi in giro perché' mi ero addormentato. Un avvertimento, sia pur di poco momento, che avrebbe dovuto mettermi sull'avviso e che invece non ho imparato mai: se ti spendi per gli altri non avrai in cambio che derisione. Il gioco che conta è esattamente l'opposto: appropriarsi del lavoro altrui facendo finta di averlo fatto tu. Una pratica che avrei visto dispiegata in grande stile l'anno dopo quando entrai come impiegato di seconda alla Pirelli, in particolare da Marcello Di Tondo che sarebbe diventato il primo braccio destro del Berlusconi ancora imprenditore.
A Caltanissetta scoprimmo che la mafia non esisteva. Nessuno osava pronunciarne neppure il nome. Nemmeno il Polizzi che pur era di quelle parti e che mafioso non era. Del resto avrei imparato in seguito che in Sicilia è difficilissimo distinguere non solo il mafioso da chi non lo è ma anche da chi la Mafia la combatte. Negli anni ho avuto modo di parlare con Pio La Torre parlamentare comunista ucciso dalla Mafia nel 1982 e più tardi anche con Falcone quando era direttore della DIA. I toni, i tic, il modo di parlare allusivo mai diretto, tendenzialmente sfuggente era lo stesso dei mafiosi conclamati che mi è capitato di incontrare durante qualche inchiesta in Sicilia. E' la sicilitudine.
Nel '68 mentre al Nord i giovani contestatori sognavano, in modo un po' dilettantesco, di abbattere l'odiato sistema, la Mafia al Sud, almeno ufficialmente, non esisteva. Ad abbattere per vie legali se non il sistema almeno la partitocrazia ci avrebbero provato nel biennio '92-'94 i magistrati di Mani Pulite, ma non ne caveranno un ragno dal buco.
Il sistema non è caduto, la partitocrazia tanto meno, in compenso la Mafia c’è e, come ci raccontano le cronache, pare più forte e inserita che mai. Mezzo secolo è passato invano.

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