“La
prima azione del depistaggio sulla strage è rappresentata dal furto dell’agenda
rossa. E a rubarla non possono essere stati i boss di Cosa nostra“. Dopo
il rinvio di cinque giorni fa, Nino Di Matteo è comparso
davanti al Consiglio
superiore della magistratura. L’audizione del sostituto
procuratore della Direziona nazionale antimafia era stata fissata il 12
settembre scorso.
Il pm del processo sulla Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra, però,
ha inviato una lettera a Palazzo dei marescialli per chiedere che la seduta
fosse pubblica e non segreta. Una richiesta che ha fatto slittare la sua
convocazione per parlare delle indagini che hanno portato,
immediatamente dopo la morte del magistrato Paolo Borsellino e dei
cinque agenti di scorta, al depistaggio culminato con il falso pentito Vincenzo
Scarantino.
“Siamo a un passo
dalla verità” – “Sulla
strage
di via d’Amelio siamo a un passo dalla verità. Mai come ora
siamo vicini alla verità. E questo grazie a me e ad altri magistrati. Non è
vero che in 25 anni non si è mai fatto niente. Ci sono 26 condanne. Mai messe
in discussione e non interessate dal processo di revisione. Il pericolo che io
intravedo oggi è che tutto il dibattito si concentri solo sulla gestione
del falso
pentito Scarantino. Gli elementi che abbiamo oggi portano a
circostanze che potrebbero essere chiarite in via definitiva”, ha detto Di
Matteo. Che ha spiegato il suo ruolo nei vari processi celebrati sulla
strage. “Il primo processo Borsellino non l’ho seguito io
e del bis mi sono occupato solo della fase dibattimentale. E non è
vero che quel processo é basato solo sulle dichiarazioni di Scarantino”,
ha detto Di Matteo al Csm. “Noi ci siamo resi conto che l’attendibilità di
Scarantino era limitata , tant’è che nei confronti di 3 dei 7 soggetti chiamati
in causa da Scarantino abbiamo chiesto l’assoluzione e lui non lo abbiamo
inserito tra i testi”, ha aggiunto il magistrato. Il Borsellino bis, infatti –
dove Di Matteo rappresentava la pubblica accusa insieme ad Annamaria Palma – è
quello depistato dalle dichiarazioni di Scarantino. E poi diventato oggetto di
un processo di revisione, dopo le dichiarazione di Gaspare Spatuzza,
che ha ricostruito la fase esecutivo dell’eccidio. “La strage di Via
D’Amelio- dice Di Matteo – è in Italia quella con il più alto numero di
condannati. Non è giusto che questi magistrati siano oggi accostati a
depistaggi e questa accusa è strumentale a chi non vuole che si vada avanti” ha
detto sempre Di Matteo, parlando di “prezzi altissimi” pagati da lui stesso e
dai suoi familiari per l’accertamento della verità. Per quelle false
dichiarazioni che inquinarono le prime indagini su via d’Amelio sono
recentemente finiti accusati di calunnia tre poliziotti: il questore Mario Bo,
sugli ispettori Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo.
“Depistaggio
cominciò con furto agenda rossa” – Il
pm della Trattativa
Stato-mafia si è poi soffermato su uno dei tanti interrogativi
rimasti senza risposta sulla strage del 19 luglio 1992. “Non c’è alcun
dubbio che Paolo
Borsellino tenesse un’agenda rossa che gli era
stata regalata dai carabinieri e che quel giorno l’avesse con sé. Non c’è alcun
dubbio che avesse annotato con particolare ansia circostanze che aveva
scoperto, cose molto gravi”, ha detto Di Matteo mettendo in fila gli
avvenimenti di quell’estate di ventisei anni fa e contenuti nella motivazioni
della sentenza sul Patto tra pezzi delle Istituzioni e Cosa nostra. “E non c’è
alcun dubbio che in quel momento c’era una trattativa tra il Ros e Riina con
l’intermediazione e Ciancimino. Oggi si sa anche che Borsellino il 15 luglio
aveva parlato alla moglie di un alto ufficiale del Ros che prima gli era amico.
I mafiosi hanno fatto la strage ma il furto dell’agenda rossa non può essere
stato fatto da chi ha premuto il pulsante”. Per questo motivo, ha concluso il
magistrato “per arrivare alla verità sulla strage di Via D’Amelio la prima cosa
da approfondire e il furto dell’agenda rossa sulla quale lui scriveva cose
molto gravi, parole sue”.
“Sentite
Boccassini” – Il pm ha poi polemizzato, in un certo
senso, con i consiglieri. “Non ho visto chiamare qui i magistrati che hanno
fatto le indagini che hanno portato all’arresto di Scarantino”, ha detto
facendo i nomi di Ilda Boccassini, Fausto Cardella e Francesco Paolo Giordano.
Erano loro che si occuparono delle prime indagini sulla strage di via d’Amelio
e con lui giovane pm, dice Di Matteo, loro nemmeno parlavano. “Non ho mai
parlato nemmeno con La Barbera” allora a capo del pool investigativo, “ci tiene
a precisare il pm. E il presidente della Prima Commissione, Antonio Leone, ha
replicato: “Non abbiamo voluto scegliere qualcuno ed escludere qualcun’altro.
Il completamento della fase preistruttoria aveva previsto la fisiologica
audizione dei magistrati Fausto Cardella, Francesco Paolo Giordano, Roberto Saieva,
Ilda Boccassini. Questo programma istruttorio potrà essere concluso dalla prima
Commissione nella prossima consiliatura”. Il depistaggio di via d’Amelio,
dunque, sarà tra i primi atti sul tavolo del nuovo Consiglio.
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