martedì 8 gennaio 2019

Vi racconto la mia censura antropologica ai tempi di Berlusconi


A me va bene tutto. Mi sarebbe piaciuto però che nelle recenti rievocazioni delle censure perpetrate in Rai durante il ventennio berlusconiano, innescate dalla speranza che i 5Stelle riescano a spazzar via il regime partitocratico e familista che regna nella Tv pubblica dalla fine dell’epoca Bernabei, un cenno, almeno di sfuggita, fosse stato dedicato a quella che ho subìto io. Va da sé che le emarginazioni di Luttazzi, di Freccero, di Biagi e di altri protagonisti dello star system televisivo, sono molto più importanti per la notorietà di quei personaggi, ma la mia, dal punto di vista qualitativo, è la più grave. Perché non è stata una censura a un programma, ai suoi contenuti, ma a una persona in quanto tale, a prescindere. Una censura ‘antropologica’. Tanto che nel loro Regime Gomez e Travaglio le dedicarono il primo capitolo intitolato, appunto, “Massimo Fini, censura antropologica”. Cercherò qui di raccontare quegli antichi fatti, che hanno anche dei risvolti esilaranti.
Siamo agli inizi dell’autunno 2003. Un regista e produttore, Eduardo Fiorillo, direttore di una notevole struttura musicale, Match Music, propone al direttore di Rai Due, Antonio Marano, in quota Lega, un programma di costume che intende intitolare Cyrano, inspirato più a quello di Guccini che a Rostand. Conduttrice sarà Francesca Roveda, a me spetterà di cucire il filo fra i vari spezzoni del programma. Marano accetta: Cyrano andrà in onda in terza serata. Facciamo le prove negli studi Rai di corso Sempione a Milano. La prima puntata è pronta, ma deve essere ancora montata. Non è presente nessun dirigente o funzionario Rai. Insomma nessuno l’ha vista, tranne noi. In serata Fiorillo riceve una telefonata di Marano, da Roma. “Ci sono dei problemi” dice. “Sul programma?” chiede Fiorillo. “No, su un nome. Quello di Massimo Fini. Devi toglierlo di mezzo”. Fiorillo è basito. Conosce il mondo, anche nei suoi lati pericolosi e borderline, ma a violenze di questo tipo non è abituato. In fondo si è sempre occupato di musica. Comunque si rifiuta: “No, io una cosa del genere non mi sento di farla. Oltretutto il programma è centrato proprio su Fini”. Marano propone un incontro chiarificatore a tre (lui, Fiorillo ed io) per il lunedì pomeriggio, il giorno prima che il programma, ampiamente pubblicizzato dalla stessa Rai e anche dai giornali, incuriositi, vada in onda. In fondo la cosa dispiace anche a lui. In epoca di ‘reality show’ dar una patina un po’ più culturale alla sua Rete gli conviene. Nessuno dei due, né Fiorillo né Marano, si è reso conto di aver messo il piede su una merda. Io e Fiorillo decidiamo di portarci dietro un registratore, di nascosto. Non si sa mai. Marano, nella sua parte di Don Abbondio, è a suo modo onesto: “A questo punto la puntata l’ho vista. Potrei dirle che non funziona, che lei non ‘buca il video’. Ma non me la sento. Perché non è così. E’ che su di lei c’è un veto politico aziendale”. E mi propone di sparire dal video e di retrocedere ad autore. A parte che io non sono affatto autore del Cyrano, che è opera di Fiorillo, ritengo la proposta inammissibile e la rifiuto. “Non so se vi rendete conto della violenza che mi state usando. Perché mi avete avvicinato voi, mi avete contrattualizzato. Erano quindici puntate, ho dovuto modificare i miei programmi, per esempio lasciare quella poca roba che avevo su Odeon tv con Funari e cancellare un calendario di presentazioni di un mio libro Il vizio oscuro dell’Occidente. E adesso mi si dice: no, tu non puoi lavorare. Cioè, io non posso lavorare in questo Paese?”. Marano, quasi scandalizzato, farfuglia che non è così. “Diciamo allora che ci sono lavori che io non posso fare”. Marano: “Ecco, questo è più preciso”. “Va bene, dunque ci sono dei lavori che io non posso fare. Anche nel ’38 c’erano lavori che gli ebrei non potevano fare. Mi metterò una stella gialla sul petto”.  
Il programma andrà in onda con una settimana di ritardo e con un nuovo titolo, Borderline, senza di me. La vicenda suscita un po’ di scalpore, non tanto, il ‘minimo sindacale’.
La questione finisce davanti alla Commissione parlamentare di Vigilanza Rai presieduta dal diessino Claudio Petruccioli. E Petruccioli compie un autentico capolavoro: si fa inviare da me la cassetta con la registrazione, ne dà notizia in Commissione ma non la fa ascoltare. I consiglieri leghisti (Davide Caparini), gli ex missini ora An (Alessio Butti) e il forzista Giorgio Lainati, si scatenano subito contro di me: vogliono che sia denunciato alla Magistratura per violazione della privacy e radiato dall’Ordine. Da vittima divento il colpevole. Cornuto e mazziato (E pensare che ero stato uno dei pochissimi intellettuali italiani a difendere la prima Lega di Bossi quando era trattata peggio delle Br, un po’ come oggi i ‘populisti’ grillini, e l’unico, insieme a Mughini, a difendere il diritto di cittadinanza politica dei missini contro la truffa dell’ ‘arco costituzionale’). Un altro exploit lo fece Marcello Veneziani, uno dei leader di quella ‘nuova destra’ che pure, a suo tempo, avevo difeso, che scrisse sul Giornale: “Visto che Fini è tanto bravo e così necessario al video come mai la Rai dell’Ulivo non aveva pensato a offrirgli un programma?”. Insomma in Rai non potevo lavorare né se comandava la destra né se comandava la sinistra. Non potevo lavorare e basta. Ero (e sono rimasto) un meteco.
La mancata audizione della registrazione permise a Marano (che tuttora sverna in Rai) di cambiare completamente le carte in tavola, nonostante contro le sue menzogne ci fosse anche la testimonianza di Fiorillo: ero un incapace, uno che “non buca il video” e se non me lo aveva detto in faccia era solo per delicatezza.
Naturalmente non fui denunciato alla Magistratura, tantomeno da Marano, né radiato dall’Ordine. Sarò io a far causa alla Rai per i danni materiali e quelli morali portati alla mia immagine. E la vincerò. Ma il Tribunale riconobbe solo i danni materiali, non quelli morali con la singolare motivazione che ero stato io stesso a danneggiare la mia immagine parlando dell’accaduto con i giornali. Sarebbe come se una ragazza stuprata non venisse risarcita perché ha denunciato la violenza.
Ma come a volte avviene da un male può nascere un bene. Fiorillo decise di portare il Cyrano a teatro, ma non quello che avevamo immaginato per la Rai bensì centrato sul ‘Fini pensiero’ antimodernista. “Non ce la puoi fare, Edo” gli dissi. “Ne verrà fuori un polpettone indigeribile”. Invece Fiorillo, usando gli strumenti dello spettacolo non per distrarre gli spettatori dal ‘polpettone’ ma per supportarlo, mise in piedi una pièce che ha ottenuto un grande successo in teatri importanti come il Ciak di Milano, il Celebrazioni di Bologna, lo splendido Storchi di Modena, una piccola Scala, con i palchi, riempita fino all’inverosimile. E io ho ottenuto la mia rivincita personale. Altro che “non bucare il video”. Perché, caro Marano, a teatro, con il pubblico davanti a te, a differenza della tv o dallo scranno di un ufficio, non si può mentire.

Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 8 gennaio 2018)


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