martedì 15 ottobre 2019

L’albero a cui tendevi la pargoletta mano non era il verde melograno …



Quante volte, magari in un momento di riposo ci ritornano in mente momenti, cose e frasi dei nostri tempi passati. Talvolta rievocano malinconie, altre volte suscitano felicità che ti fanno accennare istintivi sorrisi.
“Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai in una selva oscura che la diritta via era smarrita” ovvero “Cantami o diva del pelide Achille l’ira funesta che infiniti danni addusse agli achei” o ancora “La bocca sollevò dal fiero pasto quel peccator, forbendola a'capelli del capo ch'elli avea di retro guasto. Poi cominciò: Tu vuo' ch'io rinovelli disperato dolor che 'l cor mi preme già pur pensando, pria ch'io ne favelli”.
Chi non ricorda, per reminiscenze scolastiche o per letture successive, i versi di queste importantissime opere che costituiscono capisaldi della letteratura.
Ma accanto o in parallelo agli originali viaggiavano nei distretti scolastici delle parodie che avevano un’efficacia tale da rimanere indelebili e che sempre erano pronte nella memoria di ciascuno.
E allora il verso omerico diventava "Cantami o diva i peli di Achille" ovvero il carducciano brano del “pianto antico” veniva trasformato in “L’albero a cui tendevi la pargoletta mano non era il verde melograno ma a ciolla ru zu Tano” (….. ma l’uccello dello zio Gaetano) oppure l’erudita frase liceale degli allievi del classico del mio tempo “ausculta germano, avvolgi il felino onde evitare il torsolo di cattiva effigie” (accompagnato dalla simultanea traduzione dialettale diventava “tal’è ‘o frati, ammuogghia sta atta pi evitare un trunsu ri malafiura”).
Dopo circa cinquanta anni, se tu accenni uno dei versi dialettali anzidetti, nel mio distretto siciliano trovi sempre chi si aggancia e ti completa la frase.
Il fatto certo che chiunque (almeno a livello generazionale) riesce a mantenere ben presente un brano parodiato conferma, senza alcun dubbio, che nell’apprendimento è fondamentale la metodologia "didattica".
Ciascuno, anche per necessità di sopravvivenza, ne elabora una propria ma è anche vero che la scarsa dinamicità dei programmi scolastici, da sempre in ritardo in tema rispetto all'adeguamento ai tempi, costituisce ancora oggi una palla al piede che, talvolta, rende inadeguate le tecniche di apprendimento e non soltanto per la poca inclinazione didattica di alcuni maestri/professori.
Ricordo a tal proposito che il mio compagno di banco Costantino era sempre preparatissimo in storia e in tutte quelle materie che presentavano aspetti nozionistici. Mi faceva rabbia la sua preparazione. Nel tempo ebbe a confessarmi che il suo metodo era abbastanza semplice (almeno per lui) ed era quello si associare i termini mnemonici a parole o frasi in codice a lui familiari, come quella famosa “Ma con gran pena le reca giù”: la filastrocca superconosciuta che aiutava a ricordare i nomi delle varie catene alpine.
Analogamente all’argomento si associano i tanti proverbi dialettali, spesso uguali e tradotti nei diversi termini in uso nei territori.
Può quindi capitare di dire in sintesi, e per esprimere l’impressione avuta da un breve incontro parlando con un professionista dopo una udienza presieduta da un giudice onorario alquanto “tronfio” nell'interpretare il suo ruolo, “culu c’u n’ha vistu mai cammisa, quannu l’avi tussa sa isa” (letteralmente tradotto: “un sedere che non ha visto mai una camicia, quando ce l’ha tutta se la alza ovvero chi ha l’opportunità di vivere una esperienza esaltante, venendo da uno status modesto, quando indossa un abito buono ha nesessità di pavoneggiarsi e metterlo tutto in mostra).
Anche in questi casi i proverbi, che in genere costituiscono perle di saggezza, se memorizzati in forma dialettale rimangono indelebili e molto più significativi.
Volete poi mettere l’insulto o l’ingiuria dialettale? Chi non riconosce la piena liberazione che arreca il pronunciarle al momento giusto e a discarica dello stato d’ira che l'ha istintivamente suscitata nel momento.
Nel mio territorio, al "top" dei brani celebri parodiati, ritengo che non tema alcuna concorrenza quello "carducciano" del fanciullo che tendeva la mano. Un verso poetico a quei tempi assolutamente innocente, che avrebbe anche potuto essere inteso come una ironia goliardica (o allusiva) riguardo  a un fenomeno patologico cui, con ogni evidenza, oggi potrebbe essere associato.

 © Essec


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