Da un bell’articolo di Silvia Truzzi sul Fatto (10.10) apprendiamo che in Italia il 7% dei diplomati conclude il ciclo di studi “con un livello di competenze così basso che è come se non avessero mai messo piede in classe”. Ma le cose non vanno meglio, anzi peggio, per gli adulti, da una rilevazione Ocse si ricava che “il 70% degli adulti italiani risulta non in grado di comprendere adeguatamente testi lunghi e complessi”.
La
storia viene da lontano. In quasi nessun Paese in cui sono stato ho
visto la scuola trattata o meglio bistrattata come in Italia. Prendiamo a
titolo di esempio la Tunisia. Sotto il regime di Ben Ali i giornali
impegnavano pagine e pagine in dibattiti sull’istruzione soprattutto
delle prime classi: sui tempi di attenzione dei ragazzi, sulla scansione
degli intervalli, sui metodi di insegnamento, sul comportamento dei
docenti, sulla disciplina, sul rigore degli esami. Anche i regimi
dittatoriali hanno sempre dato, e danno, una grande importanza
all’istruzione se non altro per educare i cittadini alla propria visione
politica. Il Fascismo, almeno nelle grandi città, costruì per i maestri
elementari, cioè per il livello più basso della classe dei docenti,
case che oggi fanno gola ai benestanti. I docenti dovevano godere di una
considerazione sociale elevata che poi si rifletteva sul loro prestigio
in aula.
Nell’Italia
repubblicana, per decenni, durante tutta l’era democristiana e oltre,
il ministero dell’Istruzione andava come premio di consolazione al più
sfigato dei politici o a quello che stava in ‘standby’. Sono stati
ministri dell’Istruzione Giuseppe Bettiol, Egidio Tosato, Giuseppe
Medici, Giacinto Bosco, Fiorentino Sullo, Riccardo Misasi, Mario Pedini,
Adolfo Sarti, Guido Bodrato, Franca Falcucci, Giovanni Galloni, Gerardo
Bianco, Riccardo Misasi, Rosa Russo Iervolino, Francesco D’Onofrio,
Giuseppe Fioroni. E fermiamoci qui per carità di patria.
Per
decenni la scuola è stata concepita come una sorta di ‘riserva indiana’
per semioccupati od occupati malpagati e frustrati, senza nessuna
considerazione per il merito e la passione per il proprio lavoro (gli
scatti erano solo per anzianità). Molti dei ‘babypensionati’ vengono
dalla scuola e spesso erano i migliori, con una vocazione autentica per
la loro delicatissima professione. Si tenga presente che il lavoro
dell’insegnante scrupoloso non si esaurisce in aula ma, soprattutto per
alcune materie, lettere e filosofia in particolare, continua a casa con
la correzione dei compiti e la preparazione della lezione del giorno
successivo. I migliori, alla lunga, hanno pensato che non ne valesse la
pena e sono andati a spendere il loro talento altrove, gli altri che
talento non avevano sono rimasti a scaldare i banchi.
A
tutt’oggi ogni nuovo ministro della Pubblica Istruzione elabora un suo
piano di studi puntualmente sconfessato dal suo successore. Non funziona
così, non può funzionare così. Anche se oggi tutto va a gran velocità
(che, sia detto di passata, è uno dei drammi della vita moderna) un
piano di studi va pensato con vista lungimirante, per almeno due o tre
generazioni. Se il mitico ‘classico’ di Gentile ha potuto resistere
decenni è perché Gentile aveva guardato avanti e soprattutto aveva ben
in testa che la scuola ti deve dare, oltre alle nozioni, gli strumenti
per capire la realtà. Perché capire è più importante di sapere.
Tutti
i recenti tentativi di riforma hanno cercato di adeguare la scuola alle
nuove realtà. E’ inevitabile, ma si è troppo forzato sull’attualità. La
scuola si deve occupare soprattutto dell’inattuale, Eraclito, Platone,
Bacone se non li incontri a scuola poi non li incontri più. L’attualità
ci entra ed esce da tutte le orecchie.
Ma
la distruzione o la semidistruzione definitiva di ogni capacità di
comprensione e del far propria una vera cultura, e questo riguarda
l’intera popolazione, giovanile e adulta come rileva l’Ocse, viene dalla
tecnologia digitale. Su internet puoi trovare tutto, subito.
Incameriamo una serie infinita di nozioni, ma è un generico sapere sul
sapere. Paradossalmente da questo punto di vista le cose andavano meglio
in era preindustriale. Scrive Johan Huizinga ne La crisi della civiltà
che è del 1935: “L’uomo comune diventa sempre meno dipendente dalle
proprie facoltà di pensiero e di espressione. Il contadino, il marinaio,
l’artigiano di una volta, nel tesoro delle sue conoscenze pratiche
trovava anche lo schema spirituale con cui misurare la vita ed il mondo.
Anche dove l’individuo sia animato da un sincero impulso verso il
sapere e la bellezza, dato l’ossessivo sviluppo dei mezzi di diffusione
meccanica dello scibile, difficilmente potrà sottrarsi alla noia di
ricevere, bell’e confezionati o strombazzati, giudizi e nozioni”.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 12 ottobre 2019)
Per dare maggiore contezza all'interessante articolo di Massimo Fini mi è doveroso pubblicare il commento postato al riguardo su FB, che completa alcuni aspetti, anch'essi - a mio modo di vedere - assolutamente condivisibili e che, in ogni caso hanno riguardato e riguardano ancora l'impegno da ciascuno profuso nel proprio lavoro e impegno sociale:
Enza Bertuglia Purtroppo, devo condividere in linea di massima ciò che sostiene Massimo Fini, anche se mi sembra doveroso puntualizzare alcuni concetti. Innanzi tutto, non è vero che sia rimasto a "scaldare i banchi" chi migliore non è. Continuano ad esserci ottimi insegnanti che dedicano tutti se stessi ai ragazzi, credendo fermamente nel loro compito e nonostante le scarsissime gratificazioni, siano esse morali o materiali. E questo, ad ogni livello e grado d'istruzione. Altro punto: capire è più importante che sapere. Io penso che, per una vera formazione, l'uno non può fare a meno dell'altro. Ed il pasticcio è cominciato da quando, andando dietro alle correnti di pensiero pedagogico (o pseudo tale), si è sostenuto l'uno a discapito dell'altro. Ed i "digitalizzati" (consentitemi un po' di amara ironia!) sono quelli che più ne stanno pagando le conseguenze, perchè è molto facile scivolare nel tritacervelli di internet, che dice (spesso in pessima lingua!) tutto e il contrario di tutto. E per chi non sa, non è certo "dolce naufragare in questo mare"!
Per dare maggiore contezza all'interessante articolo di Massimo Fini mi è doveroso pubblicare il commento postato al riguardo su FB, che completa alcuni aspetti, anch'essi - a mio modo di vedere - assolutamente condivisibili e che, in ogni caso hanno riguardato e riguardano ancora l'impegno da ciascuno profuso nel proprio lavoro e impegno sociale:
Enza Bertuglia Purtroppo, devo condividere in linea di massima ciò che sostiene Massimo Fini, anche se mi sembra doveroso puntualizzare alcuni concetti. Innanzi tutto, non è vero che sia rimasto a "scaldare i banchi" chi migliore non è. Continuano ad esserci ottimi insegnanti che dedicano tutti se stessi ai ragazzi, credendo fermamente nel loro compito e nonostante le scarsissime gratificazioni, siano esse morali o materiali. E questo, ad ogni livello e grado d'istruzione. Altro punto: capire è più importante che sapere. Io penso che, per una vera formazione, l'uno non può fare a meno dell'altro. Ed il pasticcio è cominciato da quando, andando dietro alle correnti di pensiero pedagogico (o pseudo tale), si è sostenuto l'uno a discapito dell'altro. Ed i "digitalizzati" (consentitemi un po' di amara ironia!) sono quelli che più ne stanno pagando le conseguenze, perchè è molto facile scivolare nel tritacervelli di internet, che dice (spesso in pessima lingua!) tutto e il contrario di tutto. E per chi non sa, non è certo "dolce naufragare in questo mare"!
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