"Caro Presidente Conte,
mi duole accodarmi al coro latrante di chi vorrebbe la sua testa, ma sento di doverlo fare: si dimetta!
Subito. E non sto scherzando. Dovrebbe prendere tutte le sue belle
carte, rassettare le sue stanze a palazzo Chigi, congedarsi dai suoi
collaboratori e salire al Colle. E tanti saluti a tutti. Da buona figlia
della seconda Repubblica, capirà che non provo nessun tipo di empatia
per l’attuale classe politica. Ma Lei, presidente Conte, mi sembra una brava persona. È per questo che glielo dico: si dimetta.
Le abbiamo consegnato un Paese scassato, rattoppato alla bell’e meglio, rabberciato, claudicante. Un Paese
talmente martoriato da decenni di mala politica, lassismo e
indifferenza che altre cinque legislature non basterebbero a rimetterlo
in piedi e a ridargli una parvenza di dignità.
Abbiamo scoperto all’improvviso che in Italia la burocrazia non
funziona. Che la sanità è stata falcidiata da anni di scelte scellerate.
Che la sicurezza ha i suoi intoppi, che la giustizia
consente scappatoie, che le imprese sono devastate da grattacapi, che la
povertà esiste, che la macchina statale è lenta, che l’immigrazione non
è il problema principale di questo Paese, che gli slogan sono idee
vuote, che troppi amministratori sono incompetenti, che l’informazione non è incolore, che le conquiste tecnologiche sono lontane. Eccetera, eccetera, eccetera.
E pretendiamo che Lei faccia fluire tutto alla perfezione. Che
semplicemente cancelli una pagina e ne scriva una nuova, subito. Che riaggiusti
in due mesi un Paese che, per azzopparlo, ci hanno messo mezzo secolo.
Non ho visto nessun suo predecessore essere bersagliato sistematicamente
in questo modo.
La accusano di tutto e del contrario di tutto. Di essere troppo
timoroso e troppo decisionista. Di parlare troppo e troppo poco, di
essere poco chiaro e troppo specifico, di essere un dittatore
e uno zimbello, di essere confuso e di avere le idee troppo chiare. La
accusano di aver attentato alla Costituzione, di aver esautorato il
Parlamento, messo agli arresti domiciliari 60 milioni di italiani – e di
goderci pure – e di avere il ciuffo sempre a posto.
Si presenta in Parlamento e se ne sta seduto per ore, in rispettoso
silenzio, ad incassare la mole straordinaria di insulti che piovono sia
dai banchi dell’opposizione che di certa maggioranza. Ma perché lo fa?
No, sul serio: chi glielo fa fare? Lavorare giorno e
notte con una pistola puntata alla testa, consapevole che da ogni sua
decisione dipende il futuro di 60 milioni di persone.
Chi glielo fa fare? Dover dribblare avversari che
spuntano a caso, giorno dopo giorno. Evitare gli sgambetti di chi
dovrebbe darle una mano e invece cerca di pugnalarla alle spalle.
Sopportare l’arroganza di chi non aspetta altro che un passo falso
per affondare ancora di più il coltello. Perché non gliela dà vinta? Una
firma e basta. Una firma e l’incombenza di trascinare
il Paese fuori dalla crisi spetta a loro. A quelli che sanno tutto, che
hanno già pronte tutte le soluzioni.
Lasci fare a loro. Riapra tutto. Tutto: cinema, ristoranti, parchi, piscine, palestre, bordelli. Lo faccia davvero il populista,
ci liberi dalle nostre prigioni e consegni le chiavi del Paese a chi sa
davvero come gestirlo. Si dimetta, presidente. Così potrà tornare a
casa, rivedere suo figlio, spaparanzarsi sul divano e dormire 14 ore al
giorno.
C’era chi diceva che saremmo usciti da questa crisi come persone
migliori. Io penso invece che siamo stati capaci di dare il peggio di
noi stessi senza nemmeno aspettare la fine dell’emergenza.
Viviamo nell’era del tutto e subito, del click che asseconda in un
istante tutti i desideri. Ma la vita reale non è questo e lo abbiamo
capito a nostre spese.
Vorrei che Lei si dimettesse, con tutto il cuore. Perché mi sembra
una brava persona e le brave persone, in questo Paese, non hanno un
futuro roseo davanti.
Ma non credo che voglia farlo e per questo, a malincuore, la ringrazio."
Ma non credo che voglia farlo e per questo, a malincuore, la ringrazio."
Serena Verrecchia (sostenitrice de Il Fatto Quotidiano - 7 maggio 2020)
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