venerdì 21 agosto 2020

“È meglio sposare una donna ricca, bella e intelligente che una donna brutta, povera e stupida”

 

“È meglio sposare una donna ricca, bella e intelligente che una donna brutta, povera e stupida”. Oppure: “Meglio essere giovani, belli, ricchi e in buona salute piuttosto che vecchi, brutti, poveri e malati”. Erano queste alcune delle tante sentenze lapalissiane di Massimo Catalano, il filosofo dell'ovvio, che a metà degli anni Ottanta impressionava gli italiani con le sue banalità.

In qualche modo, con l’aggiunta di un tocco surreale, gli facevano da sponda, nel mitico gruppo di Arbore di “Quelli della notte”, i vari Pazzaglia, Laurito, Frassica e compagnia.

A pensarci bene, in qualche modo Catalano aveva anticipato i tempi di un costume che oggi va per la maggiore.

A sentire certi personaggi contemporanei - e in tutti i campi – si riscontra sempre più quella superficialità di analisi cui sfociano pensieri semplici, “alla Catalano” per intenderci, che allora erano di un sano cabaret che faceva sorridere e che è sempre piaciuto a quella fascia di popolo che tende a rimuovere con faciloneria tutti i problemi, specie se interessano solo gli altri.

Al mondo di esperti che si basa su cognizioni scientifiche si affiancano oggi opinionisti in grado di rispondere a qualunque domanda, a trovare risposte anche su questioni complesse e complicate, basandosi sostanzialmente su loro tesi "originali", molto spesso pure preconcette.

Ad esempio, mentre ieri la politica responsabile basava la sua azione di opposizione su articolati approfondimenti specifici e a tema che producevano financo “governi ombra”, oggi si fonda su slogan semplici che rispondono ai desiderata della massa, canalizzata a pensieri banali, con soluzioni che non prospettano alternative comprensibili e tantomeno fattibili. Basta parlare alla pancia ed il rutto è sicuro. Sigh!

Anche un recente discorso dell’ex Capo della BCE, già Governatore della Banca d’Italia, seguendo quella logica del banale ha ritrovato cassa di risonanza nella maggioranza dei media.

Ai tempi odierni sembriamo per lo più tutti concentrati a ricercare un nemico, per additarlo alla folla come responsabile dei nostri disagi. Per evidenziare quello che non va ma che è ovvio e che del resto vedono tutti, piuttosto che dare chiare prospettive per possibilità di nuovi sbocchi. Siamo tornati indietro di duemila e venti anni circa, quando alla folla veniva chiesto chi volesse che fosse liberato. Anche allora il ladrone ebbe la meglio.

In tutto questo i tanti social costituiscono una manna piovuta dal cielo. Dietro anonimati che alimentano impunità, i manganellatori di un tempo ora usano il nuovo mezzo di gogna e tutti prima o dopo lo utilizzano e magari talvolta ne fanno pure in qualche modo le spese.

I pifferai magici quindi abbondano, perché le masse deluse e scontente innalzano di continuo nuovi patiboli e cercano sempre nuove teste da mandare alla forca.

E la folla ne trova gaudio e si immortala in infiniti selfie, convinta che il tutto resti estraneo alla propria cerchia d’interessi.

Tornassero in vita “Catalano & Co.” sarebbero oggi il partito politico vincente. La pletora di seguaci quantomeno mostrerebbe sorrisi e non importa se da ebeti o meno, nei tantissimi selfie.

Buona luce a tutti!

 

 © Essec


mercoledì 19 agosto 2020

G. Vi racconto Gaber

 

In genere gli scritti che in qualche modo hanno a che fare con le biografie di autori, anche se dense di eventi e interessanti, alla lunga possono risultare un po’ noiosi.

Il libro dedicato alla storia del Signor G, realizzato per la Fondazione Gaber dopo oltre un decennio dalla scomparsa di Giorgio Gaber da Roberto Luporini, figlio del cugino di colui che ha accompagnato Gaber nella creazione del “teatro-Canzone”, costituisce invece un felice racconto ricco di aneddoti connessi al connubio dei due autori e non solo.

Nello storicizzare l’evoluzione creativa degli spettacoli portati in giro nei teatri nazionali, si evidenziano i dibattiti e i mutamenti socio-politici che hanno interessato un trentennio, sui quali, con una arguta ironia, talora anche romantica, surreale o cinica, Giorgio Gaber e Sandro Luporini hanno saputo imbastire e dipingere chiari e alquanto dettagliati paesaggi.

Sollecitato dalla moglie Dalia (figlia unica della coppia Gaber-Colli) Roberto Luporini (a sua volta figlio del cugino Sandro Luporini) ha saputo abilmente raccogliere anche confidenze, riuscendo a regalare al lettore un ruolo di spettatore attento, facendo sì che – alla fine - anche il suo ampio saggio costituisse una ulteriore partitura di uno spettacolo nuovo, questa volta però fatto con una narrazione fuori scena.

Ne deriva quindi che la documentazione sulla genesi del teatro-canzone e la sua evoluzione risultano così, oltre che complete, mescolate dall’umanità che intanto accompagna i due coautori che, con il trascorrere degli anni, si ritrovano sempre più complici e consolidati amici nella vita.

In alcuni capitoli, anche per meglio rendere comprensibile il contesto storico in cui si collocano alcuni scritti e canzoni, Roberto riassume pure in estrema sintesi i principali eventi che hanno interessato le contemporaneità del tempo, soffermandosi parallelamente sulle maturazioni/accadimenti che hanno interessato - unitamente e separatamente - Gaber e Luporini.

Alla fine ne risulta un bel racconto, scritto dal di dentro, che tramanda l’avventura a generazioni diverse; da chi ha vissuto in prima persona la complessa pulsione e passione creativa a chi ne ha avuto notizia solo dal racconto, facendone magari solo oggi la scoperta e anche oggetto di approfondimento.

Un libro che per i suoi contenuti induce ciascun lettore, infine, a riflettere anche su se stesso, sulle sue esperienze vissute, sul mondo che è stato e che è oggi, sui tanti valori e ideali, sui tanti incontri avuti, sul futuro rimasto da percorrere e su tutto quello che ancora ci resta.

Buona luce a tutti!

  © Essec

 

 

 

sabato 1 agosto 2020

Usi, abusi e liturgie. A chi tocca oggi il patibolo?



La foto del grande murales su Indro Montanelli apparso in questi giorni a Palermo – accompagnato da un suo testo – induce a fare qualche considerazione.
Intanto, per contemporaneità di datazione, la raffigurazione del Montanelli statuario mostra le tracce di vernice rossa che è stata riversata sulla figura bronzea ubicata a Milano, nello stesso luogo dove il giornalista venne gambizzato dalle Brigate Rosse, evidentemente per la sua attività di cronista.
Il testo di Indro Montanelli riportato nel murale recita: “La ragazza si chiamava Destà, aveva 12 anni: Particolare che mi tirò addosso i furori di alcuni imbecilli ignari che nei paesi tropicali a 12 anni una donna è donna e passati i 20 è una vecchia. Faticai molto a superare il suo odore dovuto al sego di capra di cui erano intrisi i suoi capelli, e ancor di più a stabilire con lei un rapporto sessuale perché era fin dalla nascita infibulata: il che oltre a opporre ai miei desideri una barriera insormontabile (ci volle per demolirla, un brutale intervento della madre) la rendeva del tutto insensibile.” Sulle informazioni di Destà (Segheneiti, Eritrea, 1923 - ?) viene specificato “vittima del colonialismo e del patriarcato. Comprata da Indro Montanelli al prezzo di 350 lire, durante l’aggressione fascista dell’Etiopia nel 1935”.
Sulla vicenda molti osservatori si sono autorevolmente pronunciati evidenziando la necessità di contestualizzare le epoche storiche per evitare che il "politicamente corretto" sfoci in attività puramente vandaliche e distruttive; nel caso di Montanelli qualcuno ha fatto notare che l'illustre giornalista nel rendere nota la sua storia non ha mostrato a distanza di tanti anni nessun segno di pentimento, ma ciò non giustifica in nessun modo un'azione di natura vandalica nei confronti della statua. 
La critica è doverosa e giustificata, la violenza anche nei confronti delle cose assolutamente no!
Tornando al titolo dell’articolo, nulla cambia nel tempo.
Assicurando continuità alle ritualità pagane, ogni giorno qualcuno indicherà la vittima sacrificale che più aggrada, magari seguendo la moda del momento, e tutti gli astanti si affolleranno per bere un po’ del sangue purificatore che assolverà da ogni peccato. E pure qualche credente terminerà il suo rito declamando la tipica clausola liturgica definitiva: “et in saecula e saeculorum. Amen!”

Buona luce a tutti!

 © Essec

P.S. Su input dell'amico P. e allo scopo di rendere più efficace il senso dello scritto, ho accolto il suggerimento di sintetizzare i concetti per non perdersi in dissertazioni articolate (e ci sarebbe molto da dire) che potrebbero esser presi a pretesto per polemiche infinite.