lunedì 2 novembre 2020

Antonio Lorenzini – Fotoamatore, impegnato anche nel racconto di verità nascoste

Per come la penso io, associazionismo e partecipazione a mostre, concorsi o eventi sono di fondamentale importanza per accedere a nuove conoscenze, allargare orizzonti, utili ad alimentare curiosità e confronti.

Altrettanto importante è al riguardo proporsi sempre basandosi su un’onestà intellettuale che rimane imprescindibile, in caso di eventuali frequentazioni costruttive.

Su tante cose si può anche non pensarla allo stesso modo e anzi, spesso, ciò è naturale e utile, certamente però una imposizione “tout court” del proprio modo di vedere non costituisce mai un buon metodo per allargare il proprio raggio culturale, a prescindere dal campo in cui si opera.

Sono normali le sfumature e possono pure essere ammesse delle opinioni differenti, ma le diversità devono restare sempre dei punti di vista, come normalità di qualunque dialettica.

Per quanto ovvio, è pur vero che se uno sottopone una propria opera a una lettura o, come avviene nelle letture di portfolio, a un sereno confronto, occorre essere sempre disponibili a subirne le conseguenze. In questi casi però i comportamenti saranno bilaterali, validi cioè per entrambi le parti in causa, anche quando emergano perplessità nell’interlocutore scelto o assegnato.

Al termine dell’esperienza, ciascuno continuerà ad andare per la propria strada, con buona pace di tutti. E magari l’occasione potrà tornare utile successivamente, per diversi aspetti. Anche per scegliere il lettore di una prossima volta, ad esempio.

Ogni esperienza potrà, comunque, tornare valida per riflettere sui limiti comunicativi di quanto prodotto, per correggerne gli errori che non si erano valutati, banalità, ripetizioni, disturbi e chi più ne ha più ne metta.

Il “Portfolio Italia” della Fiaf, in versione lockdown, mi ha consentito qualche mese fa di fare un'ennesima conoscenza virtuale che gradualmente si è ora trasformata in uno stimolante strumento di confronto.

Come accennato in premessa, conoscere gente nuova è sempre un'occasione per allargare i propri  confini e il senese Antonio, - che si “premunisce” annunciando di non avere un facile carattere - mi sta anche oggi offrendo l’occasione per scandagliare nuovi campi fotografici. Spazi di ricerca espressiva che, per un verso, mi hanno sempre intrigato e che, dall’altro, mi hanno procurato un certo timore per le tematiche crude in cui spesso egli si cimenta.

Del primo incontro con lui ho raccontato nell’articolo che spiritosamente ho intitolato “Alla fine va a culo ….. non so se rendo l’idea”, che è risultato poi essere stato letto da tanti e che sembra abbia pure suscitato qualche dibattito fra gli stessi "addetti ai lavori". In quel caso l'argomento trattato nel suo portfolio fotografico riguardava un soggetto interessato da alternanti disturbi di bipolarismo.

 


Le foto sopra proposte, pubblicate su autorizzazione di Antonio, direi proprio che parlano da sole e, tenuto conto anche del suo scritto, direi che appare superfluo dire ancora delle altre cose. 

Ciascun osservatore, del resto, saprà completare le eventuali parti mancanti o personalizzare meglio il tutto; anche in funzione delle eventuali esperienze vissute.

Potrei solo aggiungere, a conclusione, che saper accendere un cono di luce, per far conoscere realtà pesanti a chi ha la fortuna di saperne solo l’esistenza (per averne letto le storie o conoscerne perchè viste da lontano per patologie vissute da altri più o meno prossimi a noi), costituisce un impegno sociale non indifferente e in questo caso la fotografia è solo lo strumento usato.

Antonio, a mio parere, ha il coraggio e la capacità di raccontare con molto tatto e altrettanta efficacia, drammi che i più infelici vivono in prima persona, perché malati o per l’averne cura.

Quanto fino ad ora ho avuto modo di vedere dei suoi lavori - Timmy ora e dell’amico “bipolare” in precedenza - sono pagine che vanno al di là di quello che può chiaramente palesare visivamente la sola fotografia, perché i suoi chiaroscuri raccontano anche tutto quell’altro che c’è dentro, che rimane in ombra e che, ad una lettura veloce, talvolta non si vede. 

Pertanto mi piace concludere il pezzo con un semplice: “Chapeau!”

 

 © Essec

 

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