Quaranta anni fa la Legge Basaglia ha determinato la chiusura definitiva degli ospedali psichiatrici in Italia, ma con ciò non è che sono come d'incanto scomparsi gli affetti di malattie mentali.
Di certo le condizioni precedenti di quei poco fortunati in moltissimi casi, senza esagerazione, erano prossime allo stato carcerario e le produzioni di vari fotografi hanno spesso documentato anche la scarsa salubrità delle strutture e lo stato igienico di molti dei manicomi italiani.
In occasione del quarantennale dall’introduzione della Legge Basaglia in Italia sono state
diverse le mostre celebrative realizzate. Fra queste, di quella allestita a Palermo, curata da Helga Marsala, si è raccontato nell’articolo
intitolato "Anche a Palermo si celebra Franco Basaglia".
Nei giorni scorsi Antonio Lorenzini, appassionato fotoamatore e da tempo impegnato nel sociale, mi ha trasmesso un suo ennesimo portfolio, anche questa volta complesso, che affronta un aspetto specifico riguardo all’articolato argomento in questione, fornendo anche imputs per capire la storia raccontata.
Occorre dire che oggigiorno i pazienti, se non mantenuti all’interno delle loro famiglie, vengono accolti in strutture sanitarie.
Le malattie mentali sono appunto situazioni molto complesse che, specialmente se collegate a contesti familiari per vari aspetti difficili, nella maggior parte dei casi determinano da subito un sostanziale abbandono dei malati nelle comunità che li ospitano.
Ma la realtà insegna che non tutte i disturbi mentali sono uguali, per intensità o patologie, e non sempre necessitano di soluzioni estreme. Anzi, talvolta – se saputi adeguatamente gestire, curare o assecondare – possono coabitare col normale quotidiano e magari sprigionare potenzialità creative che meriterebbero rispetto e valorizzazione. Tanti gli esempi nel passato e i più noti potrebbero essere diversi: da Van Gogh a Munch o Ligabue in pittura; Baudelaire, Virginia Woolf o Hemingway in letteratura; altri ancora nelle molteplici discipline e non necessariamente legate all’arte o alle sole lettere.
Francesco Petrarca, vissuto nel 1300, scriveva già al suo tempo in modo categorico che “non esiste alcun ingegno se non mescolato alla pazzia.”
Venendo alle ventidue fotografie proposte da Antonio, queste documentano un aspetto particolare della gestione di soggetti affetti da patologie neurologiche.
Nello specifico le immagini selezionate si riferiscono a un gruppo di sei malati ex psichiatrici (cinque uomini e una donna) ai quali è ciclicamente concessa, una volta al mese e per due giorni consecutivi, la possibilità di vivere una sorta di convivenza autogestita, come se fossero in gita; nel senso che viene concessa ai sei l’opportunità di sperimentare una vita di gruppo quasi autonoma (anche se nella intera durata, rimangono costantemente assistiti da personale specializzato del loro centro di cura). Durante il breve periodo, a detta dell'autore, i rapporti nel gruppo non determinano alcuna gerarchia, bensì creano e consolidano una collaborazione granitica fra i sei soggetti, con una pressochè automatica distribuzione dei compiti.
Dopo questa necessaria premessa veniamo a parlare specificatamente delle foto del portfolio intitolato “Un giorno normale, un giorno speciale”.
Il testo che lo accompagna racconta: “Un gruppo di ex psichiatrici si ritrova mensilmente all’interno di una casa che diventa ‘famiglia’ per due giorni e dove tutto diventa ‘straordinaria quotidianità’ fino a ritornare ‘controllo e solitudine’”. Dopo il breve periodo, infatti, i soggetti rientrano nella loro normalità che si svolge nel centro di cura che li accoglie.
Personalmente, quando ho impattato con le fotografie, non avendo mai avuto opportunità di assistere ad esperienze del genere, il mio pensiero è subito andato al film diretto da Milos Forman nel 1975 e tratto dall’omonimo romanzo intitolato “Qualcuno volò sul nido del cuculo” di Ken Kesey, dove un meraviglioso Jack Nicholson generava una temporanea evasione del gruppo col bus della clinica.
A differenza della temporanea fuga rappresentata nelle scene del film, le foto che compongono il lavoro di Antonio descrivono la storia di un accadimento reale e razionalmente programmato.
L’inizio della narrazione fotografica comincia con l’immagine che ritrae un componente del gruppo che s’intrattiene alla finestra nell'attesa che arrivi il mezzo che li trasporterà alla nuova residenza.
In verità la prima tappa sarà una sosta al bar del supermercato per far colazione e poi procedere ai necessari acquisti per il pranzo conviviale. Con la monetina si sgancia il carrello per la spesa e via.
Lungo le corsie l’unica donna fra i sei si sofferma davanti ai pupazzetti di pelouche con uno sguardo sognante, che lascia intendere tante cose. Al termine degli acquisti ognuno ha il suo sacchetto della spesa.
La tappa successiva è nell'interno chiuso della nuova casa, dove ciascuno tira fuori dal sacchetto ciò che ha probabilmente scelto e che condividerà col gruppo.
Ciascuno ha un compito nel preparare il pranzo collettivo e, dopo aver consumato, si provvederà infine a lavare i piatti con gli assistenti che daranno una mano.
Nel pomeriggio ognuno dei sei si dedica ai propri interessi, chi legge e chi discute magari degli accadimenti al supermercato o d’altro, chi si isola ripendando ai momenti, solo chi si trovasse lì potrebbe saperlo.
In vista della notte ciascuno prepara il proprio letto, per dormire il suo sonno e sognare nel suo mondo libero.
E' già domani e finisce la gita. Si valica la porta, c'è chi scende le scale a piedi e chi prende l'ascensore in compagnia e in breve ci si riprova sulla strada ad attendere il pulmino che riporterà tutti quanti alla residenza principale.
La sequenza delle fotografie costruita da Lorenzini costituisce un racconto completo di una giornata speciale che la naturalezza rappresentata sembrerebbe però negare, presentandola come semplice vivere quotidiano.
L'accurata scelta delle foto può essere letta come dei fotogrammi di un film che documentano in modo delicato i momenti di una normale e ordinaria gita fuori porta che può fare un gruppo di amici qualsiasi, anche se avanti nell’età.
Dal punto di vista sanitario il prodotto sapientemente confezionato testimonia un plauso sulla cura assicurata agli assistiti da quel centro, dove un gruppo - e forse non solamente quello - certamente ogni mese conta fiducioso sull’arrivo della giornata premio tanto attesa che li aiuta a vivere; il tutto con la stessa tenerezza e attenzione che si usa con i bambini.
Buona luce a tutti!
© Essec
Bellissimo articolo caro Toti, peccato non poter apprezzare le foto dal vivo o vederle anche più grande sul blog, ma capisco l'importanza di pubblicarle così. Complimenti all'autore e a te nella esaustiva spiegazione. Un saluto e buon S.Stefano, un abbraccio Angelo.
RispondiEliminaGrazie e auguri anche a voi tutti in famiglia. Riguardo alla foto, la puoi isolare e allargare per leggere meglio i singoli componenti.
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