mercoledì 14 aprile 2021

Le 24 ore che costituiscono una giornata.



Fra le tante cose dette, in una recente conferenza che qualche giorno fa Pippo Pappalardo ha tenuto durante un suo racconto descrittivo del suo Mario Giacomelli, mi ha molto colpito un punto.
Nell'esordio della sua introduzione all’evento ebbe infatti anche a precisare: “Parlerò di un mio modo di vedere Giacomelli, che è nato sostanzialmente da alcuni pretesti incontrati nei libri, incontrati nelle poesie, incontrati casualmente. Ho cercato, quindi, di voler incontrare questa persona, ci sono riuscito”. Ha poi soggiunto: “E poi, tutto sommato, se metto assieme il tempo che ho trascorso con Mario Giacomelli, io una giornata non l'accumulo. Sono state poche ore, però mi sono state significative, non solo quelle ore ma per le risposte che lui ha dato a certe mie domande che, li per lì, mi sono sembrate risposte sibilline ma che poi, nel tempo, ancora oggi risultano degli squarci di luce e di assoluta evidenza.”
A un ascolto veloce sembrerebbero delle esplicitazioni, quelle di Pappalardo, di non particolare rilevanza ma, riflettendoci un po’ più a fondo, non è proprio così.
In verità ci ha voluto dire che tanti brevi incontri intensi, gli hanno permesso di raccogliere tanti punti di vista del Maestro, con tante risposte su tanti spunti posti e riguardanti variegati argomenti.
Anche se, come dice, assemblando temporalmente la densità dei dialoghi, si sarebbero potute assommare forse le 24 ore che costituiscono una giornata, quel breve tempo è risultato più che sufficienti per avere chiaro il pensiero del soggetto che gli stava di fronte.
Poichè anche lui interessato a confrontare le proprie opinioni. Senza, quindi, l'intento di ostentare certezze di parte, in un dialogo libero e mai preconcetto che ha consentito a entrambi i dialoganti di andare avanti nell’intento di un reciproco arricchimento, cosa che può solo venir fuori da un dibattito aperto e alla pari.
Un nostro modo di presentare chi ci sta intorno è spesso quello di etichettare con la classica frase: “questo è un caro amico mio”, ma in verità quanto a fondo conosciamo veramente la persona che classifichiamo come tale? Quanti momenti di verifica ci hanno permesso di conoscerci a fondo reciprocamente? Quanti confronti senza barriere ci hanno consentito di verificare la sussistenza di un'assoluta onestà intellettuale in entrambe le parti?
Alcune volte non basta una vita per conoscere realmente un soggetto. Talvolta anche quelli che frequentiamo spesso o che convivono con noi, magari a noi vicini per interessi comuni; con i quali però non abbiamo mai avuto un'occasione seria per scavare sui reciproci sentimenti, sui valori che ci appartengono e su quelli che potrebbero – in un contesto anche solo leggermente variato – pure contrapporci.
Il racconto che Pippo Pappalardo ci ha fatto l’altra sera di Mario Giacomelli è stato assolutamente convincente ed è stato pure sufficiente a descrivere il quadro di una personalità complessa, composita, libera, imprevedibile, curiosa e al contempo piena di paure.
Con quel condensato di tanti piccoli incontri, Pappalardo ha voluto lanciare un chiaro messaggio agli astanti e forse anche rinnovare una sua ferma convinzione.
Ci ha voluto far capire che scremando ogni dialogo dai convenevoli di rito e cercando di approfittare di ogni occasione per arricchire elementi, aggiungendo nuovi tasselli, si può avere modo di capire. Per individuare e riconoscere gli ingranaggi più complessi che, in qualche modo, animano e alimentano genialità che, per manifestarsi, hanno bisogno dei giusti input posti da interlocutori attenti. E, ovviamente, per chi indaga o studia, occorre essere capaci di raccogliere e assemblare i frammenti delle tante piccole risposte fornite, che costituiscono i pensieri e che, nell’insieme, vanno a comporre ogni puzzle che ci contraddistingue.
Quanto fin qui osservato, traeva spunto da un evento e risultava a contorno del racconto su un fotografo famoso, passato alla storia della fotografia.
Il messaggio lanciato nell'occasione era però una considerazione molto attenta, che andava molto più in là del mero oggetto che era stato il tema della serata.

Buona luce a tutti!

© ESSEC

1 commento:

  1. Ricevo dall'amico Pippo questo commento che non posso esimermi dal pubblicare, per integrare l'intero discorso.
    "Non intendo commentare le tue parole, caro Toti, semmai sviluppare da questa tua bella riflessione incidentalmente provocata, un breve corollario educativo per tutti noi avventurieri dell'immagine.
    L'istante è importante e la sua importanza è connessa col profondo pensiero speculativo e fotografico che conduciamo intorno al tempo; quel tempo che tutto struttura dal nostro volto al volto dell'altrove. L'aveva capito benissimo Doisneau che titolò la sua raccolta fotografica "Due minuti di eternità" (ogni scatto è quasi sempre appena un centesimo di secondo).
    Dobbiamo avere cura dell'istante la cui "forma" è il nostro sguardo ma anche l'emozione suscitata e la catena emotiva di sguardi che ci relaziona.
    Tu hai letto bene tra le righe del mio straparlare perchè ormai sai leggere tra le righe del mio costrutto verbale. Parafrasando Montale, hai risolto le ombre del mio pensiero "come parole tra noi leggere".
    Finisco qui il mio intervento perchè non voglio turbare la "flanerie, il nobile cazzeggio" che intercorre fra noi e i lettori di questa rubrica."
    F.to Pippo Pappalardo

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