sabato 8 maggio 2021
Il “Mega Direttore Galattico” e l'uso censorio della sua “Matita Rosso/Blu”
Se si riflette un po’ ci si accorge che quasi tutti gli accadimenti che suscitano attenzioni per presunte irregolarità procedurali, anomalie che indurrebbero a verifiche e approfondimenti, la questione principale sembra essere sempre l’aspetto formale; come se l’eventuale supposta irrituale prassi potesse far venir meno l’anomalia gestionale applicata al fatto e pregiudicasse l'accertamento immediato di irregolarità – anche palesi – correlate al fenomeno oggetto d’esame.
In un altro scritto, soffermandomi alla vicenda definita dalla stampa come la “guerra dei dossier” (Davigo-Storari-Amara, nello specifico), ebbi a raccontate un aneddoto che intendeva dimostrare come, mettendo da parte per un momento rigidità procedurali, si potesse anche procedere proficuamente nella verifica di questioni che necessitavano d’essere immediatamente accertate per poi, se se ne ricorressero i presupposti, essere confermate nei termini apparenti o andar corrette.
Poiché la storia che vorrebbe mettere al centro Piecamillo Davigo sembra il vero e unico problema irrisolvibile della questione, in un sistema italiano dove tutti hanno l'abitudine di parlarsi informalmente e ove succedono pure cose/fatti al limite della legge (leggasi al riguardo il libro intervista di Sallusti su Palamara), voglio raccontare un altro aneddoto occorsomi a fine anni novanta, che ritengo possa essere abbastanza emblematico riguardo all’opportunità di dover prendere in autonomia delle responsabilità immediate, specie in casi che necessitano di decisionismi urgenti.
Per raccontare meglio e cercare di rendere più scorrevole l'aneddoto prendo, in qualche modo, in prestito una certa tecnica e modalità narrativa di Camilleriana memoria.
Nel nostro sistema normativo italiano, nell’ambito delle procedure di recupero forzoso di somme da esigere, i creditori possono avvalersi della facoltà di aggredire disponibilità liquide facenti - in qualche modo - capo a disponibilità detenute o periodicamente alimentate attraverso conferimenti di terzi individuabili. La prassi più diffusamente messa in atto in questi casi dagli avvocati per tutelare i propri patrocinati, è genericamente denominata “pignoramento presso terzi”.
Nella realtà in cui ho operato per tanto tempo, una volta, per uno specifico pignoramento, accadde che in relazione ad un procedimento avviato, che aveva determinato un vincolo su somme disponibili come tesoriere, stante l’accertata un’erogazione corrisposta al creditore principale in altre forme, venne disposto dagli uffici romani competenti lo “svincolo dell’intero accantonamento effettuato” precedentemente. L’ufficio periferico cui facevo capo, dispose quindi quella volta lo svincolo delle somme e preparò la classica dichiarazione da consegnare con delega durante l'udienza in Tribunale, secondo una prassi consolidata.
Accade però che alla data convenuta si venne a presentare anche un altro “creditore intervenuto” che, rilevato informalmente lo svincolo incautamente intanto effettuato, venne a paventare azioni civili (accertamento dell’obbligo del terzo, art. 549 c.p.c.) e penali (non assolvimento degli obblighi del custode giudiziario).
Attesa la fondatezza delle ragioni dell’interveniente e nell’impossibilità di potermi confrontare con il mio ufficio, concordai con l’intervenuto una soluzione salomonica praticabile. Per scongiurare verbalizzazioni che certamente avrebbe assunto il celebrante (acquisendo la dichiarazione predisposta che attestava l'avvenuta rimozione del vincolo, disattendendo agli obblighi di legge) e che avrebbero comportato sicuramente conseguenze pesanti per l’istituto che rappresentavo, m’assunsi – in qualità di delegato, quale ero – la decisione di richiedere un rinvio, evitando con ciò di depositare una dichiarazione che avrebbe generato gravi conseguenze civilistiche e penali.
La formula nella circostanza usata e che feci scrivere a verbale dal facente funzioni di Pretore fu: “il quale fa presente di non essere pronto per rendere la dichiarazione per conto della” … “e pertanto chiede un rinvio breve”.
Certamente questa mia autonoma iniziativa derivava anche dall’esperienza accumulata nell’attività fino a poco tempo prima svolta, nei ben più complessi e complicati compiti ispettivi, che necessitano sempre velocità nella capacità d’analisi e, talvolta, prontezze decisionali; che impongono, cioè, di cogliere con immediatezza l’essenza delle cose per scegliere quelle opzioni più opportune disponibili nel momento.
L'utilizzo delle professionalità accumulate, che ora venivano solo impegnate ad apporre aste di spunta su tabulati vari e, per delega, a firmare per l'ammissione a titoli di spesa al pagamento (assolvendo da tali compiti, dei superiori poco propensi ad svolgere incombenze regolamentari a loro proprie), non poteva annebbiare le autonomie decisionali necessarie che certe criticità richiedessero.
Una volta però rientrato in ufficio, apriti cielo! Lascio al lettore immaginare quelle che furono le reazioni. Chi l’ha autorizzata a adottare questo comportamento. Lei è passibile di azioni disciplinari! Si doveva attenere ad eseguire solo il suo mandato! Doveva depositare la dichiarazione al Pretore! Non era delegato per assumere sue decisioni! E così via dicendo.
Il Direttore della Sede con la sua matita blu, com’era del resto avvezzo – specie nel far risaltare quelli che, per lui, erano fatti gravissimi - venne a scrivere di pugno nell’appunto predisposto dal responsabile di settore e con veemenza (sottolineando il suo scritto): “d’iniziativa?”.
Eppure nell’appunto in questione stava anche scritto che “l’Amministrazione Centrale, sentita per le vie brevi, ha approvato il comportamento tenuto e ha suggerito di rivincolare l’importo originario, in attesa di ricevere nuove istruzioni”.
Come capitava in casi inconsueti come quello accaduto, l’isteria era subito prevalsa in tutte le parti in causa; nessuno a caldo era riuscito a ragionare, razionalizzare, e tanto meno a capire la portata delle gravi irregolarità emerse, che erano state fortunatamente scongiurate.
La reazione che ebbi personalmente a ricevere fu, quindi, quella classica militaresca; quella che prefigura e realizza senza riserve un’insubordinazione, un’indisciplina, una disubbidienza anarchica, un comportamento non conforme ai rigidi obblighi regolamentari.
Il capo ufficio – con gli occhi di fuori - ebbe perfino a dire che, per quanto fatto, prefigurava anche il licenziamento.
L’intera pratica ebbe un seguito interno, producendo varia corrispondenza e, in ultimo un ulteriore nuovo appunto - predisposto per il Mega Direttore Galattico del tempo- Questi, dopo aver visionato scrisse con la solita matita e sottolineando ancora la sua disposizione: “protocollare”. L'appunto da assoggettare a protocollo riportava, tra l’altro, questo: “Non fu a suo tempo previsto alcunchè per i possibili ‘intervenienti’, in quanto anche per loro dovrebbe vigere l’obbligo della decorrenza prevista” …. “L’occasione peraltro sarà utile per una riconsiderazione anche da parte della Consulenza Legale” …. “Per quanto poi concerne l’Avvocatura di Stato, che va indubbiamente resa edotta di quanto avvenuto, nel caso particolare, è preferibile che venga intrattenuta dopo che l’A.C. avrà espresso le sue considerazioni sulla vicenda”.
Per quanto intuibile, accertate le gravi irregolarità amministrative e la pessima gestione interna all’istituto, nessuno ebbe poi a scusarsi per il modo in cui ero stato trattato a caldo, nonostante acclarata la giustezza e la valida provvida soluzione che avevo posto in essere e che aveva evitato rogne oltre che tutelato in modo eccellente - e a vari livelli - l’istituzione.
Certamente chi sta leggendo avrà avuto conoscenza di altre storie di avvenimenti irrazionali similari. Del resto la burocrazia miope non regna mai in un solo luogo, specie in Italia.
Per inciso, quel direttore di cui ho fatto breve cenno, ma del quale non faccio il nome, ebbi a incontrarlo poche volte nei corridoi dello stabile, nonostante la sua lunga reggenza.
Lui non trattava con la manovalanza, si rapportava ai dipendenti gerarchicamente, esclusivamente per il tramite di funzionari e dirigenti (era uno dei tanti psicopatici che si trovavano a ricoprire pericolosamente ruoli eccessivi per loro e che si rivelavano assolutamente inopportuni, anche per i condizionamenti comportamentali psicotici che inevitabilmente determinavano con le loro concezioni direzionali, specie nei più deboli e pavidi che si trovavano ad alimentare così una lunga catena).
In ultimo, come aspetto un pò irrazionale ma coerente rispetto all'intera vicenda, nell'esaminare gli atti documentali si ebbe a registrare come, sul famoso primo appunto d'ufficio, sul quale aveva apposto con matita blu l'interrogativo "d'iniziativa ?", il Mega venne poi a tagliarlo con tre linee (usando lo stesso colore e forse pure la stessa matita, sempre con pugno fermo). Ma con ciò non riuscì a cancellare l'osservazione originaria, rivelatasi alquanto inopportuna.
L'apposizione e la sua permanenza rendeva il tentativo di rettifica solo un aspetto patetico del personaggio, che così intendeva ridimensionare i suo primo giudizio inappellabile di condanna.
Anche questo racconto, che potrebbe aver forse tediato, vuole dimostrare come la sostanza delle cose spesso è molto più importante delle forme, delle prassi, delle regole scritte. Tutto va soppesato e interpretato in relazione anche all’urgenza di assumere decisioni. Le gerarchie aiutano nelle organizzazioni ma tutte le regole sono funzionali agli scopi e il buon senso spesso prevale anche su di esse.
Le recenti vicende sui fatti accennati in premessa, mi hanno portato e riesumare dai miei ricordi anche questa nefasta avventura. Il povero Piercamillo Davigo sta, in ogni caso e a mio parere, costituendo per molti un'eccellente utile arma di distrazione di massa, in questo momento complicato e alquanto oscuro della storia democratica del nostro paese.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
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