domenica 2 maggio 2021

La storia è unica e nella sua sintesi si compone di tante singole storie epocali che si accumulano nel tempo.



L’altro giorno è stata trasmessa, in prima serata, una pagina d’inchiesta giornalistica televisiva di spessore.
Prendendo spunto da un’intervista curata da Michele Santoro e riguardante stragi di mafia, con tante zone d’ombra, Enrico Mentana ha condotto una trasmissione che ha ospitato Fiammetta Borsellino, Antonio Di Pietro, Andrea Purgatori e lo stesso Santoro.
Un programma che, comprese le interruzioni pubblicitarie, si è protratto ben oltre la mezzanotte, per toccare tanti aspetti di molti omicidi eccellenti.
Il dibattito ha avuto al centro le inchieste giudiziarie, i depistaggi, i veleni; nelle connessioni volute o casuali tra mafie e società civile, partiti politici e tanti discutibili e discussi loro leaders del momento.
Tutto questo, suffragato dalle testimonianze dirette e dalle interpretazioni appassionate dei fatti (in qualche caso, pure inediti) raccontati da Fiammetta Borsellino e da Antonio Di Pietro, per le loro conoscenze e per i ruoli rispettivamente ricoperti storicamente in quei tempi.
Quanto veniva a mettere sul piatto Michele Santoro (dato da tanti come prossimo ad accasarsi anche lui a La Sette) veniva a costituire un punto di partenza che ebbe in breve ad alimentare torrenti in piena, a stento arginati da Mentana. Le profonde conoscenze dei fatti del giornalista Andrea Purgatori ebbero a corroborare e razionalizzare al meglio i fatti e i momenti storici in oggetto, incrociando aspetti solo apparentemente collidenti ma che in verità svisceravano i fenomeni che andavano a costruire una logica drammaticamente coerente.
Il prodotto portato da Santoro era costituito da un’intervista fatta a un collaboratore di giustizia catanese che si era macchiato di circa ottanta omicidi e che – a suo dire - aveva anche preparato e partecipato, come esperto di esplosivi, all’attentato a Paolo Borsellino di via D’Amelio.
L’interessante lavoro giornalistico del sempre valido Santoro consentiva di ascoltare una versione dei fatti un po’ diversa da quella narrata dalla cronaca giudiziaria. Abbastanza plausibile, seppur nei limiti che impongono verifiche e accertamenti circostanziati, su alcuni aspetti che potessero alimentare dubbi.
In un’intervista di Giampiero Calavà, pubblicata in questi giorni e riguardante quanto era stato prodotto nella trasmissione da Michele Santoro, Claudio Fava al riguardo precisava: “Ho sentito dire a Santoro che Spatuzza non era un uomo d’onore, mentre Avola sì. E con questo? Quello che sa Avola è solo quello che veniva comunicato a un killer della famiglia Santapaola, punto. Quel che sa Spatuzza è quello che sa un personaggio dalla caratura criminale consolidata e accertata, con rapporti diretti con i boss di primo piano di Cosa nostra.” Puntualizzazioni non di poco conto che, in ogni caso, non devono mai indurre a escludere l’ascolto di ogni versione, seppure apparentemente per certi aspetti diversa.
Fiammetta Borsellino ebbe a incentrare principalmente il suo apporto con energici interventi che andavano a focalizzare l’ambiente giudiziario palermitano nei periodi corrispondenti a quelli che antecedettero l’omicidio di suo padre. In tutto questo, coinvolgendo più genericamente anche la figura di Giovanni Falcone e dei tanti altri uomini dello stato, che erano state vittime collegate anche al più ampio disegno stragista attuato dai corleonesi.
Un grande occhio di bue teatrale ha quindi illuminato drammaticamente, in uno scenario buio, le figure di Salvo Lima e di Vito Ciancimino. Evidenziando come questi due personaggi in special modo ebbero sempre a costituire i collanti fra mafia e politica, assicurando, peraltro, impunità giudiziarie a tutti gli esponenti mafiosi o loro sodali che si erano venuti a trovare coinvolti in processi giudiziari che andassero a coinvolgere.
In piena notte, in chiusura della trasmissione, fu fatto anche un cenno agli arresti in Francia di ex brigatisti e altri terroristi, ritornando a rivisitare – con brevissimi cenni - le epoche storiche a cui si rifacevano i fatti criminosi, e fotografando in una foto di gruppo quello che rappresentava la lotta armata contrapposta allo stato e alla politica nazionale di quei tempi. Ma qui ci sarebbe voluta un’altra trasmissione o anche più di una per affrontare anche questo altrettanto ingombrante problema.

In questi giorni l’argomento di maggiore attualità è invece il PNRR e al riguardo, il Dottor Daniele Corsini, che ha avuto modo li leggere con attenzione le oltre trecento pagine del piano presentato dal Governo Draghi, in un interessante e composito articolo pubblicato su Economia & Finanza Verde, ha scritto – tra l’altro - che gli obiettivi prefissati nel piano hanno come “parole d’ordine: discontinuità, coesione, senso dello stato, nuovo rapporto tra privato e pubblico, fine degli interessi di parte, legalità. E poi innovazione, transizione, trasformazione, evoluzione, digitalizzazione, modernizzazione, occupazione, generazione (futura), inclusione.” Ha anche continuato dicendo: “Ci si spinge fino ad adombrare l’obiettivo antropologico dell’italiano nuovo, per un ideale rifondativo dei suoi caratteri etici.”
In relazione a quanto ho letto ho commentato di getto così:
“Come direbbe Marzullo, mi faccio una domanda e mi darei anche una risposta.
Come possono dei burocrati, politici, pseudo-sindacalisti, lobbisti o faccendieri e chi più ne ha più ne metta, che hanno un’età media avanti negli anni, a capire queste cose, visto come sono concentrati a mantenere il potere sempre, occupando poltrone, scambiandosi ruoli e posti con le ‘porte girevoli’, escludendo in tutto questo quelli che sono gli eterni giovani? (Intendendo per giovani la gente comune, spesso emarginata; quella che abita spesso le periferie, che rimane esclusi dalle conoscenze utili, che non può accedere alle scuole private e alla quale sono precluse opportunità, perchè raramente collegate al solo merito).
Nutro dei seri dubbi e, in tempo socio-economici non normali, non mi suscita ilarità pensare di ritrovarmi oggi amministrato da quelli che in tanti definiscono le menti e le mani dei “Migliori”. Impegnati in un PNRR sconosciuto a tanti e votato pressochè al buio.
E dire che una volta ai draghi delle favole si riusciva a far spurare fuoco. La classe politica invece appare ancora disgiunta dai problemi del paese, si accalora nell’indirizzare il consenso, senza mai però dire chiaramente ai suoi elettori per farne cosa. Sigh!”

In conclusione di questo mio scritto, tornando anche alla trasmissione de La Sette condotta da Mentana, sarei portato a dire che la storia è una continua evoluzione del vivere umano. Non corrisponde, cioè, a tante puntate di una fiction disgiunte dalle tante altre raccontate, anche se narrano di aspetti e di vissuti apparentemente disallineati e differenti.
La storia è unica e nella sua sintesi si compone di tante singole storie epocali, di tanti episodi che si accumulano nel tempo e che si sedimentano - pure compattandosi - su strati generazionali: continentali, nazionali, regionali, rionali, tribali, familiari, individuali.
Un insieme che si amalgama con tante esperienze vissute da oppressore o oppresso, da vincitore o vinto, che s'incrociano. E il paradosso della storia è che ne esistono poi tante di versioni, che vengono scritte, lette e rivisitate, in relazione ai momenti “socio-culturali” vigenti. E per ciascuno, in ogni tempo sarà sempre raccontata o vissuta come quella vera.

Buona luce a tutti!

© ESSEC

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