mercoledì 9 giugno 2021
“Fotogazzeggiando” dopo un mese - Pretese, attese e indifferenze diffuse.
Sollecitato da qualcuno ad andare a riprendere argomenti più leggeri, improntati sul naturale cazzeggio, gioco forza affronto una questione frivola che mi tocca da vicino, ma che spesso coinvolge anche altri in fattispecie analoghe.
Quando si scrive troppo e su troppe cose si può anche rischiare di perdersi e magari prendersi troppo sul serio, mettendo così a rischio tutta una filosofia perseguita, improntata a un approccio semplice.
Stranamente pochissimi sono però fin qui risultati i riscontri, peraltro sollecitati a taluni, sulla congruità del volume intitolato provocatoriamente “Fotogazzeggiando”, titolo alla fine scelto come risultato di un compromesso mediato con l’editore.
Le uniche considerazioni ricevute in ogni caso hanno ancora una volta riguardato l’utilizzo della semplicità del linguaggio espositivo, che a detta di diversi avrebbe consentito un facile accesso ai contenuti; senza obbligare il lettore a dover imbattersi in citazioni e bibliografie varie, non necessarie per argomentare su singole questioni esposte in maniera piana.
In verità, forse è più veritiero il fatto che sono stati pochi coloro che si sono impegnati a leggere i capitoli dell’intero lavoro, anche perché, generalmente, a un libro non acquistato, non scelto e quasi occasionalmente ricevuto non si da particolarmente credito o attenzione. Nulla di nuovo sotto il sole, come si suole dire in questi casi.
Poi magari potrà pure accadere che in un prossimo futuro, in momento di stanca o magari in penuria di qualcosa sotto mano da poter leggere, capiterà di riprendere questo strano oggetto accantonato e – superando il naturale pregiudizio per una titolazione che sembrerebbe alludere a una goliardia – magari si troverà modo e tempo per porre attenzione all’operazione editoriale, scoprendo che forse non era un’idea bislacca, com’era apparso e, anzi, rivelatrice di una certa originalità metodologica.
Il silenzio che ha anche accomunato la maggior parte degli stessi omaggiati che hanno letto, escludendo chi ha riposto il volume in un angolo dopo aver dato una rapida occhiata alle sole figure (come si usava fare da piccoli nel guardare velocemente giornaletti e fumetti), lascerebbe intendere essenzialmente, comunque, due aspetti.
Un primo, di non condivisione dei contenuti, ritenendoli poco meritevoli per un qual si voglia commento e men che meno utili per un contraddittorio, stante anche l’assenza assoluta di “citazioni dotte”; un secondo di non volersi avventurare in disquisizioni che porterebbero allo scoperto quell’interlocutore che è restio a esporsi e che da sempre è votato alla prudenza.
In entrambi i casi o forse in tutti e tre i casi (includendo nel conteggio anche chi non ha neanche accennato a una minima lettura), l’autore resta sconsolato e destinatario di una magra considerazione.
Per intendersi, non è che aspirasse di ricevere plauso o approvazione in fiducia, ma si sarebbe accontentato anche di semplici opinioni, esprimendo, nel caso, un parere per esternare financo la mediocrità e la disapprovazione motivata anche sull’operazione intrapresa. L’assenza di reazioni mi ha fatto tornare in mente il titolo attribuito in un portfolio - con foto in bianco e nero - riguardante la “piscaria” di Catania: “Il silenzio dei pesci”.
Il silenzio, in ogni caso, certifica indifferenza; cosa che non può tornare utile né a chi scrivendo ambiva a sollecitare, né al lettore che con il suo non esprimersi continua a far persistere un equivoco tra le velleità ambite e i risultati dell’operazione oggettivamente raggiunti.
In conclusione occorre in ogni caso prendere atto del fatto che, se solo pochi sono stati coloro che si sono pronunciati, il silenzio e le indifferenze diffuse di tutti gli altri vorrà pur dire – e chiaramente - qualcosa.
Per chiudere questo breve scritto e focalizzare meglio il concetto sul silenzio (nel caso riferito alla musica, ma che nell’essenza può ben essere universale) utilizzo per intero un periodo tratto da appunto a suo tempo preso da Ezio Bosso per un’intervista e pubblicato nel libro “Faccio musica – Scritti e pensieri sparsi”, curato da Alessia Cappelletti - edito da PIEMME nel maggio 2021 - e che si sofferma in particolare sul suo concetto in questione in manera - a mio modo di vedere - abbastanza puntuale e calzante:
“Il silenzio di per sé non esiste, anche il sangue che ci scorre nelle vene fa un suono. E non esiste l’ultima nota. E’ vero, tra una nota e l’altra, tra una parola e l’altra c’è una pausa, ma non è un vuoto. E’ un pieno, un pieno di tensione. Il silenzio è questa tensione da cui nasce la musica. Il silenzio ultimamente è una forma di attesa. Tacciamo per ascoltare qualcosa d’altro. Io ho vissuto silenzi di tanti tipi, ne ho intere collezioni. E ho imparato a starci dentro. L’uomo di oggi invece ne è molto spaventato, ha paura dell’imbarazzo che avverte nel silenzio. E questo perché qualcuno gli ha messo in testa il mito della superiorità della forza. Ma è una menzogna: viviamo in un creato che ci dimostra quanto siamo piccoli. La nostra potenza non è nella forza, nel tentativo costante di affermare noi stessi. C’è una potenza che nasce dalla fragilità, nel non avere sempre le parole. Da quell’imbarazzo che avvertiamo davanti a noi stessi. Perché ci obbliga a trascendere, ad andare oltre. A stabilire nuove connessioni.”
Buona luce a tutti!
© ESSEC
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