domenica 26 settembre 2021
Massimo Fini: "Il Green pass e Dostoevskij"
Sul Fatto Quotidinao d'ieri Massimo Fini ha pubblicato un articolo (Rilanciato pure nel suo spazio web) certamente da leggere ma che induce a riflettere.
L’obbligatorietà, più o meno nascosta, del Green pass ha sollevato un problema di fondo che, irresoluto, insegue il genere umano dalla sua comparsa: se la libertà (la sicurezza) di tutti, o della maggioranza, abbia diritto di prevalere sulla libertà del singolo o se il singolo abbia il diritto di fare le sue scelte. Sul tema sono intervenuti sul nostro giornale Gad Lerner, autorevole firma del Fatto, e Carlo Freccero, intellettuale di lungo corso. Se dovessi replicare ai due risponderei con le parole che Sancio Panza rivolge a Don Chisciotte: “Mio signore, io purtroppo sono un povero ignorante e del vostro discorso astratto ci ho capito poco o niente”. Sia Lerner che Freccero non resistono infatti alla tentazione di buttarla in politica inserendo argomenti come il referendum di Matteo Renzi, il sovranismo, il futurismo.
Il dilemma è più diretto e allo stesso tempo molto più complesso e si incarna nell’eterno conflitto fra Autorità e Libertà. Risale almeno al Seicento quando si incanala nel duello intellettuale fra Blaise Pascal e Cartesio. Pascal sostiene che non esistono certezze assolute sulla natura umana che è fluttuante nei suoi principi e nei suoi conseguenti costumi, Cartesio, al contrario, fonda il suo ragionare su una certezza opposta: esistono principi universali validi per tutte le genti. Questo dibattito si sviluppò non a caso nel Seicento, e ancor prima con Montaigne nel Cinquecento, all’epoca delle grandi esplorazioni che portarono quello che oggi chiameremmo Occidente a contatto con culture molto diverse dalle nostre. In un famoso capitolo dei ‘Saggi’, Dei Cannibali, Montaigne dice sostanzialmente: certo per noi i cannibali sono loro, ma ai loro occhi i cannibali siamo noi. Sarebbe molto istruttivo riprodurre l’intero capitolo perché è attualissimo da quando la Democrazia, vale a dire l’Illuminismo cartesiano, ha inteso proporsi come valore assoluto e universale. In termini meno antropologici e più politici Flaubert dice: “Ma nessun potere è legittimo, nonostante i loro sempiterni principi. Ma, siccome principio significa origine, bisogna riferirsi sempre a un inizio […] Così il principio del nostro è la sovranità nazionale, intesa in forma parlamentare… Ma in che cosa mai la sovranità nazionale sarebbe più sacra del diritto divino? Sono finzioni, l’una e l’altra”.
Ma se non c’è un principio, un qualsivoglia credo, una ‘roccia’ come la chiama Cartesio, cui ancorarsi, nasce lo straziante grido di Ivan Karamazov: “Se tutto è assurdo, allora tutto è permesso”. Si sarebbe tentati di credere che fra Libertà e Autorità l’uomo scelga istintivamente la prima. Ma non è così. L’uomo ha bisogno dell’Autorità, altrimenti non si capirebbe come mai per millenni, alle volte esplicita più spesso mascherata, sia sempre esistita un’Autorità. Il fatto è, anche se spiace ammetterlo, che l’uomo ha bisogno dell’Autorità perché lo libera dal torturante dilemma della scelta e nello stesso tempo gli lascia un quid inesplorato che lo sciolga dalle certezze dogmatiche. Lo chiarisce splendidamente Dostoevskij nell’apologo del Grande Inquisitore inserito nei ‘Fratelli Karamazov’. Siamo nel Cinquecento, Cristo è tornato sulla terra perché la Chiesa di Paolo ha tradito il suo messaggio libertario. Il Grande Inquisitore, il novantenne cardinale di Siviglia, lo fa mettere immediatamente nelle più profonde segrete della città e gli fa questo discorso: “Oh, ne passeranno ancora dei secoli nel bailamme della libera intelligenza, della scienza umana e dell’antropofagia, poiché, avendo cominciato a edificare la loro torre di Babele senza noi, andranno a finire con l’antropofagia! Ma verrà pure un giorno che la fiera s’appresserà a noi, e si metterà a leccare i nostri piedi , e ad annaffiarli con lacrime di sangue. E noi monteremo sulla fiera e innalzeremo la coppa e su questa sarà scritto: ‘MISTERO!’”. L’antilluminista Dostoevskij coincide dunque da una parte con l’illuminista Cartesio, che fonda la ragione moderna, perché riconosce che l’uomo ha bisogno di una certezza, di una qualsiasi certezza, ma d’altro canto se ne distacca profondamente perché proprio la certezza è ciò che lo uccide (“Amleto, chi lo capisce? È la certezza, non il dubbio che uccide” Nietzsche). Detto in termini più semplici: se io vivo in una stanza (mondo) dove tutto è illuminato, dove conosco anche il più piccolo pulviscolo, che altro mi resta da fare se non tirarmi un colpo di pistola?
Si potrebbe aggiungere con Eraclito che il problema è risolto in quanto irrisolvibile: “tu non troverai i confini dell’Anima, per quanto vada innanzi, tanto profonda è la sua ragione” e aggiunge che “la legge autenticamente ultima ci sfugge, è perennemente al di là e man mano che cerchiamo di avvicinarla appare a una profondità che si fa sempre più lontana”.
Il mediocre problema del Green pass, che in fondo, e in questo sono d’accordo con Freccero, nasce solo dalla paura, un’abbietta paura della morte, sconosciuta in questi termini dalle generazioni che ci hanno preceduto anche solo di una cinquantina d’anni, ha avuto se non altro il merito di togliere il dibattito pubblico, almeno per un po’, dagli infimi temi della politica per portarlo su una questione di fondo. Ma poiché siamo dei nani seduti sulle spalle di giganti non saremo proprio noi ad arrivare là dove non sono arrivati Pascal, Cartesio, Dostoevskij. Ci rimane però il piacere, da non sottovalutare, della dialettica.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 25 Settembre 2021)
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