lunedì 15 novembre 2021
Visitando una mostra di fotografie
Può capitare talvolta di visitare una mostra e, per l’immediata empatia che si viene ad instaurare fra i presenti, si abbia modo di parlare delle opere esposte, nell’ambito di un confronto di idee alimentate dalla partecipazione e dall’ascolto reciproco, cosa che costituisce oggi quasi eccezione in eventi di questo tipo.
Una parola tira l'altra e, nel presentare reciprocamente argomenti più variegati, saltano fuori in taluni dialoganti comunanze professionali o l’incrocio di identiche passioni coltivate.
In breve la fotografia, che era stato dapprima lo spunto per la visita della mostra, si rivela un’occasione per discussioni interessanti, per approfondire conoscenze e farne crescere di nuove.
L’incontro diviene anche l’occasione per verificare la mia sostanziale teorie sull’arte e la cultura in genere, compresa la fotografia, cioè quella di un’associazione multipla di divertimento, stimolo, partecipazione, nuove conoscenze, crescita.
Nell’occasione ho avuto, quindi, la riprova che, volendo, qualunque evento può essere lo spunto per allargare le proprie cognizioni, per recepire nuove visioni dagli ascolti che intrigano, perché liberi e senza pregiudizi, anche se le convinzioni e gli sperimentati modi di operare di ciascuno possono rivelarsi differenti.
Dopo queste mie brevi considerazioni, nel leggere il commento di accompagno alla mostra e scritto da Tiziana Mangia, ritrovo una citazione di Simona Galbiati che recita: “considerare la fotografia come un luogo d’incontro dove le traiettorie temporali e spaziali di diverse persone s’intersecano in un punto: lo spazio-tempo del dialogo, del riconoscimento e della trasformazione”.
Soffermandosi sulle opere esposte, Tiziana Mangia aggiunge, tra l’altro: “le fotografie di Citelli raccontano una realtà multiculturale, stratificata e colorata, dove il passato e il presente si intrecciano raccontando ‘le storie nella storia’".
Le stratificazioni e la multiculturalità sono quelle di cui è ricca la Sicilia d’ieri e di oggi, che la caratterizzano come terra di conquiste dei tanti popoli invasori, che hanno contribuito a formare la sua storia.
Il popolo "shakerato" e frutto di sintesi, che ancor oggi ripropone una miscellanea perpetua d'incontri con le migrazioni moderne; che va, nei tempi più recenti, da quelle dei pescatori tunisini pienamente integrati nel tessuto Mazarese a quelle dei migranti che alimentano flussi etnici provenienti da tante terre più o meno lontane.
Nel fare delle considerazioni sulla produzione di Zino, nella postfazione al suo libro che porta lo stesso titolo della mostra, Serena Marotta, dopo aver citato Henri Cartier-Bresson (“le fotografie possono raggiungere l’eternità attraverso il momento”), scrive a sua volta: “l’arte di fotografare è insieme un’emozione, un battito, un gioco che si impadronisce dell’anima dello spettatore. La fotografia accompagna ogni istante di vita, restituisce i ricordi e ne crea di nuovi.”
Per la cronaca, con i miei amici Salvo e Greg mi ero riproposto più semplicemente di visitare la mostra personale del comune amico Zino; il pomeriggio invece ha visto fluire il tempo velocemente con dialoghi d’interesse comune.
Tornando alla mostra, l’esposizione delle foto risulta allestita in una location molto particolare, immersa nell’atmosfera suggestiva di un luogo che in qualche modo richiama il fascino unico dell’Abbazia di San Galgano.
Il Complesso monumentale dello Spasimo di Palermo rappresenta, peraltro, uno dei siti più suggestivi di Palermo, recuperato dopo un lunghissimo periodo di trascuratezza, grazie alla forte volontà di far rinascere i territori principalmente alimentata dalla “Primavera palermitana”, capitanata dal Sindaco Leoluca Orlando con i suoi proseliti.
Per chi ne ha l’opportunità, costituisce una visita obbligata in occasione di una eventuale gita in Sicilia e se si visita Palermo.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
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